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La grande crisi della pesca. Le “prud’homie” provenzali

di Rosanna Conte
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Il problema dell’impoverimento dei nostri mari ha radici profonde. Certamente l’inquinamento è una causa importante ed è  anche quella più evidente.
Le attuali generazioni hanno potuto vivere personalmente la degenerazione dei fondali, sanno di aver contribuito a questo scempio per ignoranza, menefreghismo o anche puro egoismo e tentano di porvi rimedio con proposte che ancora non sono recepite, nemmeno come ultimo rimedio, da coloro che pensano di essere i padroni assoluti della terra e non dei semplici fruitori che devono rendere conto alle generazioni future delle loro azioni.

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E’ giusto pensare ad una tutela del mare con parchi  e aree protette, ed è anche giusto che gli interventi non siano solo proibitivi. La sciagurata situazione descritta da Sandro Vitiello (leggi qui [3]) è proprio l’esito di leggi miopi che, come ci ha spiegato il ricercatore Andrea Giordano all’incontro del 29 giugno, organizzato dal Centro Studi, non hanno fatto progressi nell’arco di ben trecento anni, da quando, cioè, è stata inventata la pesca a strascico con le paranze. Il danno provocato da questo tipo di pesca era visibile già nel 1700 e i diversi stati hanno cercato di porvi rimedio, proprio come oggi, con dei limiti temporali e con la misura delle maglie delle reti.  Sono gli stessi interventi fatti nell’ottocento e nel novecento, ripetuti dall’Unione Europea, che non abbattono l’impoverimento del mare e danneggiano i pescatori.

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Considerando l’aggravamento della situazione per l’inquinamento e la necessità di pescare più per l’aumento della popolazione, bisognerebbe trovare una soluzione alternativa o almeno, integrativa.

Andrea Giordano, il 29 sera (leggi qui [5]), ci ha parlato di un’esperienza particolare lungo le coste francesi che si affacciano sul Mediterraneo, quella delle Prud’homie, organizzazioni collettive di pescatori che hanno gestito le loro coste per circa dieci secoli. Sono cooperative suddivise per aree geografiche che si autoregolano nei tempi, negli attrezzi, e nei divieti di accesso alle aree interdette. In più, sono dotati di un loro tribunale interno, che punisce chi non rispetta le decisioni prese. Pare che questo sistema funzioni, come evidenzia l’articolo: Prud’homie del Mediterraneo [6]
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Si potrebbe applicare altrove e naturalmente anche a Ponza? Nel 1844, nel regno di Napoli,  lo propose anche il principe d’Aci prendendo a modello proprio i pescatori provenzali, ma precorreva i tempi ed i precursori non sempre sono compresi.
Oggi, come nei secoli passati, c’è chi, venendo da lontano, riesce a fare incetta di quanto hanno pescato gli altri e non possono portarlo a terra. E questo fa molta rabbia. Ma al di là delle misure restrittive si potrebbe pensare ad una organizzazione come le Prud’homie?

I nostri pescatori
, quasi scomparsi, ci potrebbero fare un pensierino e chiedere ai grandi urlatori che forse hanno votato e che vanno a Bruxelles da anni, senza fare nulla, di farsi promotori di una misura che li può rendere padroni del proprio lavoro con possibilità di scelta e controllo.
Del resto chi più dei pescatori conosce il loro mare, gli anfratti e le secche, i luoghi da non toccare in particolari momenti dell’anno? La tutela del mare non potrebbe essere affidata che a loro, mentre ai grandi centri legislativi regionali, nazionali e comunitari toccherebbe legiferare per combattere l’inquinamento.