di Enzo Di Fazio
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Alle 19, quando il sole ancora riscalda il piazzale della chiesa, siamo lì, Franco De Luca e io, vicini al palco per verificare dove posizionare telo, proiettore, computer, microfoni, casse di amplificazione, insomma la strumentazione essenziale che consentirà la rappresentazione della serata.
Non abbiamo ancora nulla ma cerchiamo di farci un’idea, mettendoci nei panni del pubblico che avremo di fronte.
Ci accorgiamo così che forse il palco poteva essere sistemato meglio, rivolto più verso la scalinata della chiesa che non verso il porto com’è disposto. La posizione ci impone di fare delle scelte per la collocazione del telo e del proiettore che si concretizzano nel momento in cui da lì a poco arriva Beniamino con tutto quello che serve.
Mentre si gronda di sudore, sistemiamo attacchi, casse, microfono, collegamenti al pc e al proiettore e il telo dove scorreranno le immagini. Abbiamo delle scelte obbligate…
Il sole è ormai calato dietro Chiaia di luna ma il caldo rimane; la baia di Frontone, che scorgiamo piatta, oleosa dalla nostra postazione, è già piena di barche che accendono le luci di posizione man mano quella naturale scema.
La baia di Frontone (foto di Gaia de Luca)
Intorno alle 21,00 comincia ad arrivare gente. Ci sono alcune figure storiche dell’isola, ci sono gli affezionati che ci seguono da anni e che ci danno la forza di continuare, ci sono tanti che hanno risposto alle sollecitazioni degli inviti e dei messaggini inviati tramite whatsapp, ci sono diversi turisti che si interessano della nostra isola anche per la sua storia, c’è il nostro sindaco ed altri esponenti dell’Amministrazione: Mimma Califano, Gennaro Di Fazio, Carlo Marcone, giunto più tardi.
C’è Enzo Di Giovanni, delegato alla cultura del Comune, che interverrà per un saluto e per ricordare il progetto “Mare di Circe” nell’ambito del quale si colloca l’evento di cui parlo, c’è Luca Calselli, l’architetto ideatore del progetto in questione. C’è don Ramon.
Il pubblico. In prima fila, terza da sinistra, la signora Lidia Iodice
(foto di Luca Calselli)
Da lì a poco le sedie sono tutte occupate, così come gli spazi sui muretti del piazzale.
Le aspettative sono alte.
Il naufragio della Living Ship Tank, la nave americana meglio conosciuta con la sigla USS LST 349, è una vicenda che, ancora oggi, nella rievocazione di quanto accaduto, incuriosisce ed emoziona.
Con un quarto d’ora di ritardo rispetto all’orario previsto introduco la serata.
Vogliamo darle, io e Umberto Natoli, lo scrittore-giornalista ed esperto sub cui dobbiamo l’idea dell’incontro e della mostra che ne è seguita, un profilo emozionale perché intenzione è, al di là del racconto della vicenda storica, ricordare quello che la comunità dei fornesi ha fatto nel prodigarsi per salvare i naufraghi che la mala sorte ed una improvvisa tempesta di ponente avevano costretti a misurarsi con gli scogli appuntiti e taglienti di punta Papa.
La proiezione del breve video (vedi in fondo all’articolo) che ritrae la nave in preda ai marosi infrangersi contro la roccia, rivela attraverso la verità del documento, tutta la drammaticità di quei momenti. Scorgo nei volti della gente, soprattutto in quelli che assistono a quel video per la prima volta, lo stupore e l’automatica irrefrenabile proiezione del proprio essere in mezzo a quei soldati e a quegli eroici fornesi che dal costone di punta Papa calarono tutte le funi e le energie fisiche che riuscirono a mettere insieme per farle diventare ancore di salvezza.
Lo scorrere di quelle immagini deve aver fatto percepire, seppure per i pochi attimi della durata del video, tutto il freddo e la paura di quel 26 febbraio 1944.
L’Italia è ancora in guerra che finirà un anno e mezzo più tardi.
Ponza è isolata e stremata dalla fame per aver perso l’anno prima, il 24 luglio del 1943, il Santa Lucia, il postale che le consentiva il collegamento con il continente.
Il piroscafo Santa Lucia
Scarseggiano i viveri, si mangiano le erbe per nutrirsi, perfino le palette di fico d’india come racconta Gino Usai nella rievocazione storica di quegli anni. Il dottor Isidoro Feola presente all’incontro, qualche minuto prima che iniziassi mi ricorda che ci sono certificati medici di quell’epoca in cui è scritto “morto per fame”. A farne le spese sono soprattutto i vecchi e i bambini.
Ebbene, in questo contesto di estrema povertà la gente di Le Forna, soprattutto le famiglie più vicine al luogo della tragedia mettono a disposizione dei naufraghi il poco che hanno: l’ospitalità, la conoscenza dei luoghi, la forza della gente di mare, il calore umano delle proprie abitazioni, il fuoco di un braciere, le pezze sparse che si trovavano per casa. Senza distinguere i prigionieri tedeschi dai soldati americani e dimostrando coraggio, altruismo e solidarietà al di là delle privazioni e divisioni che la guerra aveva prodotto.
Ce lo racconta in uno dei momenti più emozionanti della serata la signora Lidia Iodice che all’epoca aveva poco più di undici anni.
Lidia è tra noi, in prima fila. Siede tra le figlie che amorevolmente l’hanno accompagnata. Le chiedo di ricordarci quei momenti.
– ’A case chien’ ’i surdate, tutte bagnate, – e, mentre si stringe nelle spalle quasi a volerli rappresentare – tutte ’nfreddelute” – e ancora – …caccene d’i ddivise i portafogli cu’ i fotografie d’i mugliere, d’i ’nnamurate, d’i figli, ’i mettene ’ncoppa ’a tavula, ’ncoppe ’u liette.
Ce damme tutti i panne ca tenimme pe’ falle asciuga’, peffine i cazettini che steveme facenne cu’ i fierre…
– Povere ’uagliune, povere ’uagliune, povere figlie ’i mamme…
Un momento dell’intervista a Lidia Iodice (foto di Isidoro Feola)
Adriana Di Meglio e Lidia Iodice mostrano la medaglietta avuta in dono,
in segno di gratitudine, da un soldato americano salvato (foto di Umberto Natoli)
C’è un grande e rispettoso silenzio che fa da contorno alle parole di Lidia. Percepisco tra la gente i brividi di quel 26 febbraio del 1944.
Il racconto continua…
E’ Umberto Natoli a rappresentarci, utilizzando le ricerche che ha effettuato e i documenti che ha consultato, tutta la storia della nave, i momenti che hanno preceduto la tragedia e quelli successivi. Lo fa insieme ad Andrea Donati, il titolare del Ponza Diving, che conosce molto bene i fondali ove giace il relitto.
Andrea Donati del Ponza Diving e Umberto Natoli
Sul telo scorrono le immagini di un prima e di un dopo: la nave, lunga circa 100 metri e varata appena un anno prima, il comandante Emmons, il soldato Irving Gerson che si adoperò per salvare tanti naufragi e che, per le sue imprese, venne in seguito insignito di una medaglia al valore, la cagnetta Suzy mascotte dell’equipaggio miracolosamente salvata, in un foto di qualche anno dopo… l’ufficiale di volo della RAF Fred Goddard di stanza a Ponza, che partecipò ai soccorsi da terra assieme ai ponzesi. Morì scaraventato dalle onde contro le rocce dopo il tentativo di salvare un prigioniero tedesco.
E poi il luogo della tragedia, alcune foto d’epoca e cosa è rimasto oggi di quella nave in fondo al mare di fronte punta Papa ad una profondità di 26 metri.
Ancora intatti il cannone di prua di 40 mm e le mitragliatrici, le scale degli ambienti, le brandine ove riposavano i soldati; stivali, elmi, i verricelli… e un grosso argano pieno di vegetazione rigogliosa e di gorgonie, simbolo di vita che si alterna alla morte.
Punta Papa, lo scoglio contro il quale si infranse la nave LST 349
Punta Papa vista dall’alto
Il cannone di prua di 40 mm
Alcuni elmetti
Un argano con la rigogliosa vegetazione
Tante storie che si intrecciano e si succedono. 64 immagini di cui molte trasferite, assieme ad alcuni documenti, nella mostra inaugurata a fine serata nei vicini locali museali di Via Roma e dove abbiamo accompagnato tutti i presenti.
Sul tavolo all’ingresso c’è un piccolo registro per le firme e le annotazioni dei visitatori.
A due giorni dall’inaugurazione già tante le testimonianze. La prima firma, la più importante, è quella di Lidia Iodice, la testimone della serata, con annotata la data di nascita 4/12/1932.
la prima pagina del registro con le firme dei visitatori
La mostra è lì a disposizione di coloro che non l’hanno ancora vista fino a venerdì 12 luglio con orario 22-24.
Nota: tutte le foto a colori del luogo della tragedia e quelle subacquee sono di Umberto Natoli
– Storia di un naufragio di Silverio Lamonica
A corredo del racconto della serata e a beneficio dei lettori di Ponzaracconta un breve video della durata di poco più di 4 minuti in cui sono ripresi gli interventi di Lidia Iodice e della figlia Adriana. Autore ne è Peter Alt, il professore tedesco innamorato di Ponza, che per la colonna sonora si è avvalso di Camillo Savone, un pianista in vacanza sull’isola conosciuto casualmente in quei giorni.
Enzo Di Fazio
12 Luglio 2019 at 22:57
A corredo del racconto della serata e a beneficio dei lettori di Ponzaracconta è stato inserito in calce all’articolo un breve video della durata di poco più di 4 minuti in cui sono ripresi gli interventi di Lidia Iodice e della figlia Adriana. Autore ne è Peter Alt, il professore tedesco innamorato di Ponza, che per la colonna sonora si è avvalso di Camillo Savone, un pianista in vacanza sull’isola conosciuto casualmente in quei giorni.