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Una canzone per la domenica (46). Il Festival di Woodstock e la fine di un’epoca

proposto da Sandro Russo

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Anticipo di qualche mese la grancassa mediatica che si farà per il cinquantenario di Woodstock – mi porto avanti col lavoro -, per ricordare qui un evento memorabile, che ha segnato l’immaginario della mia generazione.
Per me è stata la spinta – appena se ne è delineata la possibilità – per partecipare di persona ad un’esperienza simile: l’anno successivo a quel famoso agosto del ’69, ero all’isola di Wight, zaino in spalla, sogni e grandi idee per la testa…
E questa è una storia già raccontata sul sito:
https://www.ponzaracconta.it/2014/11/16/altre-isole-la-mia-isola-di-wight-1/ [1]
https://www.ponzaracconta.it/2014/11/17/la-mia-isola-di-wight-2-il-1970-rock-festival/ [2]
https://www.ponzaracconta.it/2014/11/23/ripensando-alla-mia-isola-di-wight-molti-anni-dopo-3/ [3]

Ma tutto era cominciato (e finito) l’anno prima in America; in Europa – in Inghilterra soprattutto (l’Italia ancora dormiva della grossa) – ne arrivavano solo gli echi.

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Da allora gran tempo è passato; con la maturità e il “senno di poi” molto ho letto, visto, sentito di quello “storico” evento. Ne vorrei scrivere anche di più: vedremo…

Perché Woodstock fu unico e irrepetibile
Erano (in America) gli anni della cosiddetta “rivolta giovanile”, della generazione hippie, cresciuta nell’incubo della guerra del Vietnam e di una possibile chiamata alle armi; Richard Nixon si era insediato il 20 gennaio 1969 (succedendo a Lyndon B. Johnson. Si dimetterà con ignominia nel 1974).

Herbert Marcuse
fu il filosofo di riferimento per la sottocultura americana degli anni Sessanta. Emigrato negli USA nel 1937 e massimo esponente della Scuola di Francoforte, apportò ai “movimenti” americani la sostanza della filosofia europea: la profondità teoretica e speculativa, sostenuta dalla sociologia e dalla psicoanalisi, fece da sostegno a quelli che sembrano banali slogan ingenui e spontanei.
Libri come Eros e civiltà e L’uomo a una dimensione furono la base teorica e filosofica di slogan come “L’immaginazione al potere” e “Liberazione sessuale”. 
Il fondamentale Saggio sulla liberazione uscì nel 1969.

Woodstock, l’evento
Un piccolo gruppo di entusiasti (due tecnici del suono e due finanziatori) organizzò a Bethel nello stato di New York (a cento km da Woodstock, in realtà) un raduno musicale pubblicizzato come 3 Days of Peace & Rock Music, “Tre giorni di pace e musica rock”.
Era prevista una partecipazione di 50.000 persone. Ne arrivarono 800.000!

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Non parteciparono Bob Dylan, né John Lennon e nemmeno i Rolling Stones. Sui giornali musicali dell’epoca (e oltre ) ci furono polemiche infinite su un evento funestato dalla disorganizzazione, dal cattivo tempo (un temporale di abbatté sul palco durante il concerto) e problemi tecnici di ogni tipo. Inoltre vi furono questioni tra quelli che per i motivi più svariati avevano rifiutato di partecipare o di inserire la loro performance nel filmato (come i Jefferson Airplane); mentre altri (Joe Cocker, per esempio) proprio in quell’occasione decollarono verso in successo.

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Ma Woodstock fu anche l’evento più grande e importante di quella stagione musicale e di un’esperienza che era lì sul punto di finire (anche se per riproporsi con connotati diversi).
Alla nascita del «mito di Woodstock» contribuì senza dubbio il filmato montato da Martin Scorsese (a quel tempo anche lui “capellone”) e Thelma Schoonmaker, per la regia di Michael Wadleigh (ne esistono diverse versioni con diversa durata e colonna sonora).
Il tono struggente e malinconico che molti vi hanno riscontrato conferma che Woodstock non è stato solo una celebrazione della cultura hippie, ma un «requiem».

“Non solo l’esaltazione di una fase storica ma la presa di coscienza struggente della fine di una stagione che trova nel suono sgraziato della chitarra di Hendrix alla fine, la sua  forma espressiva.
Stanno finendo gli anni Sessanta, finisce una fase fondata sulla speranza e sull’ideale di pace e comunitarismo; per questo il concerto si protrae fino alle 9 di mattina invece che concludersi la sera prima; perché i presenti sanno che sta finendo non solo un concerto, ma qualcosa di decisamente più grande”.
“A Woodstock troviamo il folk lirico di Joan Baez e Cosby Still e Nash e il soul di Janis Joplin, la black music di Sly and Family Stone e la musica indiana di Ravi Shankar, il southern rock dei Creedence Clearwater Revival e il tribalismo esotico e latino di Carlos Santana: sono tutte linee di fuga a cui un’intera generazione ambisce per sottrarsi dalla morsa micidiale del modello borghese occidentale, claustrofobico e soffocante” (da Alessandro Alfieri, lezioni Upter; 2019).

L’ultimo brano del concerto di Woodstock 1969. E’ la riproposizione molto personale di Jimi Hendrix dell’inno nazionale americano. Alcuni hanno voluto cogliervi un’irrisione, altri vi hanno sentito un suono di mitragliatrici (era in corso la guerra del Vietnam). Jimi dice semplicemente che lo trova bellissimo…

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Poi ci furono certo altri festival musicali; ma per esempio il Concerto di Altamont (1970), ultima data del tour dei Rolling Stones, con il servizio d’ordine affidato agli Hell’s Angel, finì in tragedia, con disordini e violenze.

Ad altri festival presentati come epigoni di Woodstock, artisti come Leonard Cohen, Kris Kristofferson, Joni Mitchell vennero fischiati e interrotti, come espressione di settarismo musicale che il rock delle origini non conosceva.

All’isola di Wight (1970, esperienza personale), fece la sua comparsa l’eroina, e noi che andavamo a curiosare dalle parti del “boschetto della perdizione”, alla base della collina, non ci rendevamo bene conto che una modalità associativa comunitaria cui guardavamo con interesse, aveva già preso un’altra strada.

Lo stesso Hendrix morì poco più di un anno dopo (sett. 1970), per una micidiale miscela di barbiturici e psicofarmaci (e non per eroina, come pure si disse).
L’illusione dell’amore universale finisce con Woodstock; poi comincia la follia.

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