di Sandro Russo
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Qualche settimana fa – attraverso una concatenazione di eventi troppo lunga da spiegare ma tutto sommato non importante -, sono stato invitato a partecipare all’ultimo momento ad una specie di concorso letterario: il “Premio Fattucchiera”. “Specie” non è per nulla un termine denigratorio; solo definisce una competizione tra amici (dieci in tutto) che debbono produrre un racconto di max 1200 parole su un tema definito, stabilito per decisione insindacabile dal vincitore dell’anno precedente.
Il tema quest’anno è stato “Allevamenti intensivi”.
Abbiamo scritto, consegnato entro il tempo stabilito e letto i racconti degli altri partecipanti. Il regolamento prevede che ciascun concorrente porti un amico; oltre ad un comitato di dieci probiviri, super partes, in modo tale che alla fine sono trenta persone a votare, con l’ovvia avvertenza che chi ha scritto e il suo mentore non possono votare per il racconto in cui sono coinvolti.
La votazione finale in diretta è avvenuta durante una riunione conviviale in una bella casa fronte mare, in quel di Santa Severa, dove il carattere amicale dell’iniziativa si è rinsaldato e ampliato.
Il mio raccontino non ha vinto, ma mi fa piacere presentarlo qui, per le ragioni che saranno evidenti leggendolo.
Allevamenti intensivi. L’isola delle farfalle
di Sandro Russo
Lei stava nell’isola più bella del mondo e si riteneva una persona fortunata, per questo. Anche la mammana disse che avrebbe avuto una vita fortunata, per una piccola voglia a forma di farfalla sull’avambraccio destro.
Un’infanzia felice, una famiglia numerosa e multiforme. Avvolgente.
Poi una vita anch’essa varia. Tutte cose! (in italiano non rende, ma in dialetto tutt’cos’ dice molto di più).
Era arrivata a non tenere in troppo conto quel che pensavano gli altri di lei – in una comunità isolana ognuno trova il suo modo di difendersi ; lei sentiva di essere speciale, per tanti piccoli motivi che cercava di tenere ben celati, tranne uno, che nel corso degli anni era trapelato. La passione per le farfalle.
Se provava a ricordare da dove nasceva e come si era sviluppata, vedeva se stessa – bambina piccola nell’orto della nonna – battere le mani, e centinaia di farfalle, in una piccola nuvola blu, sollevarsi tra il basilico.
Quelle, aveva imparato poi, erano le Argo azzurre, e a quel tempo – non troppi anni fa, alla fin fine -, ce n’erano davvero tante.
Poi crescendo, aveva ampliato le sue conoscenze, ma senza mai vederci un’applicazione pratica; aveva sfogliato libri, approfondito le modalità di riproduzione dei lepidotteri; si era armata di una macchina fotografica e battuto l’isola in tutte le stagioni, per itinerari non troppo frequentati (soprattutto non amava incontrare i cacciatori).
Le farfalle le trovava dappertutto e aveva cominciato a riconoscerle per nome e abitudini: la Vanessa del cardo (Vanessa cardui), per esempio, o il Macaone (Papilio machaon), meno selettivo per gusti alimentari, che trovava più spesso sulle lantane o sulle bouganvillee. E la Vulcano (Vanessa atalanta), dalle ali ornate di rosso arancio.
Nessun utilizzo di queste conoscenze; anche se a volte aveva pensato che avrebbe potuto farne una professione; se avesse fatto studi diversi, se le fosse capitata un’occasione da prendere al volo. Se… se… se…
Ma forse meglio così. Anche ora che era arrivata a saperne molto di più, non pensava a loro in termini di biologia – uovo – bruco – crisalide – fase adulta – breve vita segnata dall’urgenza della riproduzione – ma ancora in termini poetici.
Vederle la metteva di buonumore; inseguirle tra la macchia mediterranea per rubare uno scatto, una inusuale combinazione di colori tra farfalla, fiore e sfondo – verde-foglia o azzurro-mare che fosse – le faceva dimenticare ogni altro pensiero.
Profonda emozione le aveva dato l’esperienza di una visita alla ‘Casa delle Farfalle’ di Londra (che anni, quegli anni a Londra!). Qui aveva intravisto per la prima volta la possibilità di un allevamento “in cattività” (che brutto termine! Non avrebbe mai voluto tenerle prigioniere!). Intensivo, controllato dall’uomo.
Aveva passato in rassegna, prima con curiosità poi con sempre maggiore interesse, le varie stanze, facendo domande agli addetti che dopo un po’ avevano cominciato a riconoscerla: perché ci era tornata spesso, in quel posto, a volte per starci più tempo, a volte anche solo per cambiare aria dopo una giornata pesante. In qualche modo lì, attraverso le farfalle, le sembrava di tornare sull’isola e questo l’aiutava a stemperare la nostalgia (ah! La nostalgia degli isolani! Peggio delle altre!).
Poi le cose, quasi insensibilmente, erano cambiate. Sull’isola come dappertutto.
Lei era stata tra le prime ad accorgersene.
L’allarme era stato lanciato dai proprietari di api che vedevano i loro alveari decimarsi, pur avendo applicato tutte le misure contro l’acaro parassita più comune; si attribuiva la colpa alla diffusione dei pesticidi in agricoltura.
C’erano state le incertezze del clima; il freddo e la grandine a maggio avanzato.
Si imbatteva in corpicini di rondini stecchite dal freddo dopo essere arrivate dall’Africa, attraverso il grande mare, come tutti gli anni a primavera.
Che sarà mai la morte di una rondine!? Era un aspetto minimo di un allarme più generale che rimbalzava sui notiziari e occupava le prime pagine dei giornali. I cambiamenti climatici, la diffusione della plastica nell’ambente marino, la scomparsa entro tempi brevi di migliaia di specie. Un’angoscia che entrava sottopelle. Ormai il pensiero della natura era doloroso a qualunque livello.
Si chiedeva, come molti, se avesse potuto fare qualcosa. Vero che le scelte personali sono poca cosa, rispetto a una deriva che ormai sembrava inarrestabile, ma lei aveva una capacità speciale… Non aveva sempre pensato così?
Si continuava a vivere, sempre un po’ in allarme, sempre più sospesi…
Lei continuava a seguire i suoi animali.
Solo l’anno prima aveva scovato e fotografato un nido di pigliamosche (Muscicapa striata) sotto una sporgenza del tetto; quest’anno non erano tornati.
Anche le farfalle sembravano di meno, dopo essere comparse anzitempo; sperava che trovassero riparo dal freddo in qualche fenditura di vecchi muri.
Il caldo sarebbe tornato, prima o poi!
In uno dei primi giorni di sole e mare calmo si era incamminata verso una delle sue mete preferite; un posto che si chiama ‘Bagno Vecchio’. Sulla falesia ci sono delle rocce tagliate dagli antichi forzati del ‘bagno penale’; meno di tre secoli fa.
A mare c’è come un anello di rocce che abbraccia una spiaggia sassosa.
Si era stesa a mezza costa, prima della discesa più ripida verso mare, in un anfratto riparato dal vento, sotto delle ginestre già fiorite di giallo e profumate. Era un piccolo spazio – non poté fare a meno di pensare – facile da modificare per farne una incubatrice perfetta.
Forse si era assopita, così al calduccio… quando aveva sentito come un fruscio e una sensazione di leggerezza, e mille e mille piccole farfalle blu che si posavano sui fiori intorno. Era completamente felice, ora. Per un attimo pensò che sarebbe stata una fotografia meravigliosa, ma restò così, immobile, la testa reclinata all’indietro, in quell’azzurro battere di ali che uscivano dalla sua bocca.
Aggiornamento del 28 giugno
Mi mandano tante foto di farfalle, da Ponza!
Pare che l’isola sia invasa dalle farfalle… Erano anni che non se ne vedevano così tante!
Sarà colpa del mio scritto?!
Qui di seguito, due foto inviate da Biagio Vitiello e due da Silveria Aroma:
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Antonio Marciano
6 Giugno 2019 at 11:42
Per Hemingway esistono due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi. Per te Parigi è Ponza, per me quel piccolo paese dove anch’io, affascinato, seguivo le farfalle.
Difficile immaginare come sarebbe stato il tuo mondo senza l’isola. Certi amori fanno giri e poi ritornano, il tuo per Ponza non torna perché non l’hai mai lasciata!
In questo siamo uguali.
N.d.A. – Antonio è stato mio compagno di banco per tutti e cinque gli anni del Liceo scientifico
Sandro Russo
28 Giugno 2019 at 11:59
Mi mandano tante foto di farfalle, da Ponza!
Pare che l’isola sia invasa dalle farfalle… Erano anni che non se ne vedevano così tante!
Sarà colpa del mio scritto?!
Annesse all’articolo di base, due foto inviate da Biagio Vitiello e due da Silveria Aroma