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L’Isola e il Tempo. Una leggenda

di Dante Taddia

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Prendendo spunto da un suo stesso recente commento (leggi qui) [1] a proposito dello scorrere del tempo e delle stagioni a Ponza, l’autore colora quel concetto con toni da favola trasformando il mare, la terra, il tempo, in figure mitologiche, come aveva già fatto in passato (leggi qui e  [2] qui) [3].

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Non era mai successo prima. Chrono, il grande padre di Gea e Nettuno, indiscusso Signore di tutti i suoi abitanti, era stato disturbato nella sua statica/dinamica condizione di demiurgo dell’alternarsi dei giorni e delle notti proprio da quegli abitanti di Gea e Nettuno: gli uni, per le sconcezze che avevano contaminato il regno dell’altro, per cui  anche le infaticabili formiche non erano state più capaci di ripulire  tutto se non al prezzo di trasformarsi nelle lapidee guardiane che ben conosciamo; gli altri, dalle chiamiamole marachelle che avevano visto Bianca e Rosso, figli di Gea e quindi suoi bis nipotini, protagonisti di quel bel putiferio che aveva irrimediabilmente rovinato  la festa e la grande parata di colori senza uguali  che avrebbe dovuto concludere quella bellissima estate, e invece si era trasformato nella giusta punizione che meritavano.

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Alla loro irrequietezza aveva fatto eco la staticità quasi eterna  in cui erano stati trasformati  come  “Piana Bianca” e “Scoglio Rosso”. E di eternità il grande Chrono se ne intendeva decisamente molto. Ma non era finita:  il bipede uomo, per lui non esisteva la diatriba se facesse parte del regno di Nettuno per quei mesi iniziali che aveva  trascorso nell’acqua materna o invece del regno di Gea, per quei mesi o anni trascorsi per così dire all’asciutto.
Il Bipede aveva arrecato un grande affronto ai due regni e un’offesa anche a lui, Chrono, proprio per quello che rappresentava, cioè il Tempo. Occorreva in qualche modo punire quell’essere arrogante e spocchioso per fargli sempre ricordare quanti stoltamente aveva offeso senza alcuna considerazione.
“La staticità…? Mhh, si disse Chrono, non fa per lui. Non sarebbe la giusta punizione. E poi  priverei  gli altri di un’evoluzione  che al contrario non solo auspico ma addirittura incoraggio. Forse un’idea confusa del mio fluire lo renderebbe più attento ai vari avvenimenti… ? No, non sarebbe una buona soluzione. Deve avere invece l’esatta percezione ad ogni istante della mia indiscussa presenza da sperimentare su sé stesso col lento ma inesorabile passare  di ogni attimo della sua esistenza”.
Questa era la decisione appropriata, e molto democraticamente Chrono pensò che era giusto informare Gea e Nettuno.

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Scrutò l’orizzonte per vedere dove fossero e chiamarli per dare loro la notizia, ma non li trovò dove pensava dovessero essere e dove fin dai remotissimi  albori dell’esistenza li aveva collocati. Guardò meglio e vide che il regno di Nettuno abbracciava teneramente una piccolissima porzione di quello di Gea in una fantasia di colori in cui il blu cobalto del liquido regno ben armonizzava con quello policromo di verde, giallo, rosso, marrone, bianco, nero, di Gea. Era una piccola ma stupenda isola in cui il lento fluire di Chrono aveva una dimensione molto particolare: e di questo lui era soddisfatto e forse lusingato.

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In quest’isola infatti gli abitanti, proprio per il grande rispetto nei confronti di Chrono, vivevano in piena armonia con lui e con gli altri due regni, anche se di tanto in tanto “qualcuno” dimenticava di mantenere salda questa meravigliosa armonia e  guastava il grande equilibrio con azioni non proprio ortodosse. Gea e Nettuno sapevano che era solo un momento di “debolezza”, una situazione momentanea, e che tutto sarebbe rientrato nel grande equilibrio delle cose che loro e Chrono avevano stabilito. Perciò chiudevano un occhio.
Rimasero quindi di stucco quando Padre Chrono li chiamò per comunicare loro la sua decisione: “Il Bipede uomo deve essere punito per le offese arrecate a voi e a me: perciò ho stabilito che  il gran dono del tempo-non-tempo che ho fatto loro lo riprendo; dovrà avere invece in ogni istante l’esatta percezione della mia indiscussa presenza e della vostra, s’intende, e la deve  sperimentare su sé stesso col lento ma inesorabile scorrere  di ogni attimo della sua esistenza”. Gea e Nettuno volevano obiettare ma sarebbe stato inutile, e del resto anche loro erano governati da “l’inesorabile passare  di ogni attimo della loro esistenza” da Chrono.

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Quasi leggesse nei loro pensieri: “Lo so cosa volete obiettare. La mia è una decisione molto dura, e forse non tutti gli abitanti dell’isola la meritano, disse Chrono, forse avete ragione e per quei pochi che ‘ci’ rispettano la modificherò.
Solo per coloro che  vivono o arriveranno sull’isola da ospiti e non da padroni, per quanti ameranno Gea e Nettuno, per tutti coloro che  avranno coscienza  di dipendere totalmente da quegli elementi come il vento, le nuvole, i caldi raggi del sole, quelli algidi della luna, il profumo del mare, delle piante e dei fiori, e  che scandiscono anche  il mio trascorrere in giorni, mesi e anni: per loro non sembrerà veloce come per gli altri, ma lo percepiranno come  infinito. E se anche sul  loro corpo il mio trascorrere lascerà il segno, il loro animo ne resterà indenne: un dono che avranno per sempre, fintanto che rispetteranno queste regole.

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Gli ‘altri’ al di fuori dell’isola penseranno forse che questo potrebbe rappresentare un limite alla loro esistenza di isolani. Si accorgeranno invece di quale prerogativa speciale questi ultimi hanno avuto, paragonando la sempiterna e infinita giovinezza del loro animo e dei loro sentimenti  con la ristretta e finita vecchiaia dei non isolani.
Questo è detto e questo è deciso: confido in voi due, Gea e Nettuno, perché sia rispettato”

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E Chrono  scomparve dalla loro vista. I due si guardarono  ammiccando, e stringendosi ancor più in quell’abbraccio di mare e terra come fosse una ruffiana stretta di mano: “Gli abitanti dell’isola saranno unici… ovunque  vivranno” conclusero soddisfatti.