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Pane nostro a Torre Mauraarticoli segnalati da Sandro Russo con un occhio a Ponza . Gli avvenimenti della Capitale, nel bene e nel male, sembra che diventino subito un affare nazionale, quindi si è fatto un gran parlare, sui media, delle manifestazioni per respingere i Rom a Torre Maura, un quartiere di Roma, e del famoso episodio del “pane calpestato”. Ne scriviamo qui perché del pane si è molto raccontato e scritto, sul Sito. Chi ha voglia può andare a rileggere qualcuno degli articoli sotto riportati: degli Autori più vari, si deve anche dire… (ne sono riportati solo alcuni, ma basta digitare – pane – nel riquadro “Cerca nel Sito” per trovare, a vario titolo, ben 98 x 7 = 686 articoli..! La copertina del libro di Predrag Metvejevic del 2010, dal titolo geniale che gioca col triplo senso del pane “nostro” e dell’assonanza con Padre nostro e Mare nostrum In coda due articoli dedicati all’episodio da Marino Niola su Repubblica di ieri e di Michele Serra – poteva mai mancare? – sullo stesso giornale, oggi.
Di Vincenzo Ambrosino del 19 gennaio 2012 Di Lino Catello Pagano del 22 gennaio 2012: Di Rosanna Conte del 28 sett. 2013 Di Martina Carannante del 12 e 14 luglio 2015 (in allegato a uno degli articoli ancora uno scritto di Marino Niola) Di Pasquale Scarpati del 23 e 25 luglio 2015 Commenti Il caso di Marino Niola (*) Calpestare il pane significa calpestare l’umanità. Ed è proprio quel che è accaduto martedì nel quartiere romano di Torre Maura dove una folla inferocita ha distrutto i panini destinati ai rom, ospiti indesiderati nel centro di accoglienza del Comune. Se è vero che ogni protesta legittima è possibile, questo gesto è intollerabile. Addirittura sacrilego. Perché fa scempio di quello che dagli albori della civiltà occidentale, ai cui valori si richiamano molti dei manifestanti, è il simbolo stesso dell’umano. Alimento ordinario dell’uomo civilizzato lo definiscono i dizionari. Come dire che chi oltraggia il pane si chiama automaticamente fuori dal consorzio civile. Non solo perché mal tollera che quegli “zingari”, temuti ed esecrati, sostino su quello che considera un territorio di sua esclusiva proprietà dimenticando che uno spazio pubblico è di tutti e non solo degli abitanti del quartiere. Ma soprattutto perché i trecento giustizieri, a quelle donne, a quegli uomini, a quei bambini non hanno riconosciuto lo statuto di persone. Li hanno trattati come residui ingombranti da smaltire con le buone o le cattive. Li hanno ridotti a nuda vita, verso cui ogni opera di misericordia è sospesa. È per questo che qualcuno ha urlato «devono morire di fame». Lo stesso messaggio gridato senza parole da coloro che hanno schiacciato rabbiosamente le fette di pane. Mettendosi sotto i piedi l’archetipo stesso del nutrimento, il cibo per antonomasia. Questi simboli vengono fatti propri dal cristianesimo che li rende più espliciti e fa del pane la materia prima dell’eucaristia. Perché il dio che si fa uomo per togliere i peccati dal mondo offre all’umanità il dono-perdono del suo corpo transustanziato in pane. Come recitano le parole di un’Enciclica di papa Francesco, il Signore “arriva a farsi mangiare dalla sua creatura”. E non è per caso che la preghiera dei cristiani si rivolga al dio padre come a un capofamiglia, per chiedere il pane quotidiano per tutti. Insomma per noi europei la civiltà è fatta da sempre della stessa sostanza di cui è fatto il pane. Al punto che fino alle soglie della modernità chi commetteva delitti efferati veniva interdetto il consumo del pane e non di altri cibi. Un modo per dire che la società li considerava alla stregua di belve che non avevano nulla di umano. Ecco perché chi a Torre Maura ha calpestato il pane di trentatré bambini e delle loro famiglie, insieme all’umanità degli altri ha distrutto anche la propria. E dovrebbe guardarsi dentro per cercare le cause di quel grumo oscuro di paura e rancore che gli chiude la mente e il cuore. (*) – Marino Niola è antropologo della contemporaneità e insegna all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa Da la Repubblica del 4/4/2019 L’AMACA di Michele Serra L’uomo che calpestava i panini è, nel suo piccolo, una figura memorabile. I media, ieri, gli dedicavano lo spazio (meritatissimo!) che si concede alle new entry, le poche novità che la nostra società ipervista, ipersentita, ipernarrata riesce ancora a concedersi. Non era facile trovare un posto ancora libero nel lunghissimo elenco dei miserabili, dei derelitti, dei casi umani che la vita (crudele) trasforma in malvagi e in aguzzini. L’uomo che calpestava i panini c’è riuscito. Da la Repubblica del 5/4/2019 Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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