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Il mondo di Fra’ Diavolo (2). La festa di fidanzamento e il matrimonio del reContinuazione dalla puntata precedente (leggi qui) …Quindi proseguì per Itri che si stendeva lungo la via Appia. Il Borgo era circondato da mura. Ad esso si accedeva dalla parte di Fondi attraverso la porta di S. Spirito e si usciva dal lato opposto da quella di S. Gennaro. Il Borgo si arroccava da una parte intorno all’antico maniero, dall’altra seguiva il torrente Pontone. Attraversando il Borgo si giungeva al quartiere moderno e pianeggiante la cui strada era “lastricata di brecce per la lunghezza di circa mezzo miglio ed era fiancheggiata dai migliori palazzi cittadini”. Al centro del Borgo vi era la piazza dove la coppia reale ricevette l’omaggio del Governatore e di tutta la numerosa (2600 abitanti) “Università”. Questa “Università” non solo era abbastanza attiva ed operosa (vi erano: oltre ad un notaio, due giudici, due fisici, alcuni professori di legge ed inoltre anche… 4 barbieri di cui uno era… “ cerusico”) ma contava anche ben 54 sacerdoti – …quanti priévete! – sottoposti al vescovo di Gaeta (non ancora arcivescovo). Un antico sentiero – ’na via stretta – portava ’ncoppa a monte Fusco sulla cui sommità era (ed è) situato il venerato santuario della Madonna (s’intende la Madonna della Civita) – ’U quadr’ d’a Madonna pare che l’ha pittate addirittura San Luca! Da ogni parte sovrastavano i monti Volsci (gli attuali monti Aurunci) dove, oltre ai pascoli, vi erano le “nevare”. Pozze dove in inverno si conservava la neve che poi, d’estate, veniva trasportata con i muli nei paesi vicini ed era utilizzata per conservare i cibi. Ricevuto l’omaggio, il corteo proseguì il viaggio per l’Alta Terra di Lavoro tra colline coltivate soprattutto ad olivo, fino a raggiungere l’antico monumento a forma di tronco di cono chiamato “tomba di Cicerone” perché in quelle vicinanze il grande oratore e politico Romano fu decapitato dai sicari di Antonio e si pensava che il corpo troncato (la testa fu portata a Roma) sia stato sepolto lì; ma più probabilmente iss’ (il grade oratore)) fu sepolto a poca distanza, alle pendici della collina dove in precedenza era stata sepolta l’amata figlia Tulliola (la località prende nome di Acervara: acerba ara: altare crudele). – Almen’ iss’ se putette arrepusà vicine a’ figlia soia! I giovani Sovrani, invece di dirigersi a Gaeta, come aveva fatto re Carlo, preferirono proseguire per il territorio di Mola di Gaeta, dove parteciparono al sontuosissimo banchetto: – pecché tenevano fretta ’i se i’ a cucca’ – nel maestoso, nuovissimo e bellissimo palazzo fatto costruire a Caserta da ’u tate suie, re Carlo. La grandiosa villa del principe di Caposele e tutte le altre ville erano addobbate a festa. Dopo la benedizione di S. E. mons. Gennaro Carmigniani, vescovo di Gaeta, si misero tutti a pranzo. Pranzo a base di specialità locali: mazzancolle, frutti di mare, pesce della migliore qualità e araustelle provenienti dalle Isole: addò già ce steve cocchedune d’a gente toia (i tuoi antenati – NdR) che già avevene mise mane a taglia’, a zappa’e a fa’ parracine’ ’nfaccia i Prunell’ oppure ’nfaccia ’u Ciglio, oppure dint’ Frunton’… e pure ’nu poche dint’ ’a pezza (a Santa Maria – NdR), addo’ ce steve parecchia acqua. – Nunn’u saccie si a pranzo ce stevene pure i fellune… Certe che ammiezz’a tutta chella bella gente, ’i chist’ animale dopp’ ce ne stettene paricchie – Qui scoppiò in una larga risata. Guardandosi intorno, la fanciulla Maria Carolina e ’a sora sgranavan’all’uocchie pecché nunn’avevene mai vist’ ’nu paesaggio accussì bell’… A nord i muntagne che p’a cuntantezz’ parevano scennere doce doce fin’a mmare; verso est, dall’ata parte, n’atu promontorio tutto verde. ’A Reggina sgranava’all’uocchie e pensava: – Marìteme è brutt’ ma ’stu Paese è tropp’ bell’! Nun parlamm’ quann’ dopp’ vedett’ ’u Vesuvio che fumava! I vasti agrumeti t’addicriavene perché dappertutto si spandeva il profumo dei loro fiori o e le bocche di leone facevano festa sui vecchi muri dell’antico castello appoggiato sulle antichissime mura ciclopiche che pare fossero state costruire nientemeno che dai feroci Lestrigoni che distrussero tutte le navi di Ulisse lasciandone soltanto una. Castellone arroccato nel castello guardava il corteo e tutta ’a ggente scenneva pe’ vede’. Castellone e Mola di Gaeta in quel tempo non avevano assunto ancora il nome di Formia né erano comune a se stante ma erano considerate ancora Terra di Gaeta. Il primo di questi due borghi era ubicato su una collinetta dentro le antiche mura del castello voluto da Onorato dei Caetani. La maggior parte dei suoi abitanti si dedicava all’agricoltura. Solo una piccola parte che abitava fuori dalle mura, nei resti dell’antico teatro Romano chiamato gliu cancieglie, si dedicava alla pesca. Alla base della collina una stretta strada, ancora la via Appia, attraversava giardini con ricchi agrumeti fino a giungere a Mola di Gaeta che era l’altro borgo posto vicino al mare a ridosso della torre Angioina, abitato per lo più da pescatori. Il mio interlocutore riprese: Alle 5 del pomeriggio ripartirono da quei luoghi meravigliosi e, a tappe forzate cambiando continuamente i cavalli alle numerose poste che si trovavano lungo la via Appia, alle ore 11 di sera giunsero alla reggia di Caserta che era tutta illuminata. Stanchi per la lunghissima giornata, scossi dalle strade sterrate e dai continui sobbalzi delle carrozze (’u cul ’u tenevene a piezz’), pieni di polvere, cavalli, cavalieri e passeggieri passarono sul corpo una bella pezza umida attorniati da nugoli di servitori. Colà trascorsero la notte e vi rimasero alcuni giorni per sposarsi in chiesa, per riposare e per andare a piedi o a cavallo nel vastissimo parco, ammirando le numerose fontane e le cascate da cui sgorgava copiosissima acqua proveniente da Maddaloni attraverso un ardito acquedotto. Ma un ombroso laghetto appartato accoglieva gli amanti, evitava la confusione e li nascondeva perché con una barchetta si poteva raggiungere un isolotto posto al centro di esso. Nemmeno nell’austera Vienna, circondata e stretta tra alte mura, Maria Carolina aveva visto simili cose. Gaeta era, al pari di Gibilterra, una fortezza ritenuta inespugnabile. Si arroccava intorno al promontorio di monte Orlando. Questo era ed è circondato da tre parti dal mare “mar di Terracina” ad ovest e “mar del Golfo” ad est (così si chiamavano). Il paesaggio pertanto, quello subito a ridosso della fortezza e quello sul lato ovest si presentava bianco, abbacinante, senza alcuna alta vegetazione. Battuto, inoltre, dai venti freddi di tramontana detti anche “del Garigliano” prendeva il nome di “Montesecco” (Montesicc’, te muor’ de sicch’ – di freddo). Ma poco più oltre, i declivi delle colline circondanti la Piazzaforte si presentavano ricchi di vegetazione, soprattutto olivi (a Calegna, famm’, fumm’ e… legna). Come la chioccia cova le uova e le protegge, così la “fedelissima” (l’appellativo le era stato dato dal re Carlo III, padre di re Ferdinando, il quale colà si era sposato effettivamente ed aveva trascorso la prima notte di nozze) proteggeva e rassicurava tutto il circondario da Sessa Aurunca a Fondi passando per Traetto (Minturno) e tutto il territorio circostante, Mola di Gaeta e Castellone (l’attuale Formia), Itri ed infine Spelunca (Sperlonga) e Fondi. “Ma questo ‘onore’ comportò anche non poche ‘noie’. Egli continuò… [Il mondo di Fra’ Diavolo (2) – Continua] Immagine di copertina. Panorama di Gaeta e Mola tratto dall’opera Curioses Staats-Kriegstheatrum in Italien pubblicata da Johan Stridbeck il Vecchio (1641-1716) e da suo figlio Johan Stridbeck Junior (1666-1714) Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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