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La storia raccontata dai film (4). La fame nel cinema italiano (seconda parte). Per la puntata precedente, leggi qui I soliti ignoti e Il sorpasso Iniziano gli anni cinquanta, la breve ed intensa parabola del Neorealismo si esaurisce, ma la semina è stata feconda e il raccolto generoso. Il cinema italiano s’avvia a conoscere la sua età dell’oro; da un lato crescono e si affermano registi come Fellini e Antonioni, dall’altro Risi e Monicelli, mentre tra gli sceneggiatori comincia ad apparire il nome di un giovane venuto dal sud, si chiama Ettore Scola e ne riparleremo a breve. Il nostro viaggio cine-culinario arriva al 1958, anno in cui esce un altro capolavoro I soliti ignoti, diretto da Mario Monicelli che ha al suo attivo già un bel numero di film, alcuni di ottima fattura, come Totò e Carolina, del 1955.
Capannelle ha sempre fame, come vediamo nella scena corale dove Mastroianni ha in braccio il figlioletto e Capannelle sgraffigna qualche biscotto dell’infante. Comico, sicuramente, ma anche graffiante, nel suo affermare che il primordiale bisogno di mangiare è tutt’altro che sotto controllo. Il momento clou il film lo raggiunge nell’indimenticabile finale. La scalcinata banda di ladri (tra gli interpreti a far compagnia a Gassman e Capannelle troviamo Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Tiberio Murgia e Totò) decide di rapinare un Monte di Pietà, la cui sede confina con un appartamento. Architettano il colpo in ogni minimo dettaglio, forano la parete di un appartamento vuoto che confina con la cassaforte, ma si ritrovano nella cucina dello stesso appartamento. La rapina è andata male, ma il gruppo di scalcinati ed inadeguati ladruncoli può almeno consolarsi con un piatto di pasta e ceci. La scena è costruita magistralmente da Monicelli: il gruppo di scassinatori capitanato da Gassman è riunito in una stanza e ha costruito un complicato marchingegno per abbattere la parete che li divide dalla cassaforte. Quando la tensione raggiunge il climax Peppe er pantera (Gassman) chiede a Capannelle di andargli a prendere un bicchiere d’acqua. Passano alcuni secondi, la parete crolla… e cosa vediamo? Capannelle in cucina! I nostri hanno buttato giù la parete sbagliata. Ma l’aspetto che ci interessa di più è quello che vede chi altri se non l’affamato cronico Capannelle nel tempio del cibo, ossia la cucina.
Tre anni dopo, è il 1961, esce Il sorpasso, Risi mette in scena un’italietta spensierata e cicaleggiante, quella dell’effimero boom dei primi anni sessanta che ha il volto bello e sfrontato di Vittorio Gassman. L’Italia ha raggiunto il benessere, il film è ambientato a Ferragosto, giorno di festa deputato allo svago e all’abbuffata. Nell’itinerario che compiono i due protagonisti (Trintignant affianca Gassman) – non dimentichiamo che Il sorpasso è un road-movie – trattorie, picnic, feste campagnole, banchetti in spiaggia fanno da fil-rouge. Tuttavia Bruno e Roberto sembra destinati a non riuscire a mangiare; vuoi perché un ristorante è chiuso, vuoi perché un altro è pieno, la loro ricerca sembra destinata a rimanere frustrata. I due occasionali amici arrivano così a Civitavecchia dove finalmente soddisfano il loro stomaco.
Un atteggiamento impensabile per Pina in Roma città aperta, per il piccolo Bruno in Ladri di biciclette, per Capannelle in I soliti ignoti, che avevano per il cibo un rispetto ai limiti della venerazione, davanti al pane, alla mozzarella in carrozza o alla pasta e ceci non c’era spazio per nient’altro, per nessuno. Qui da YouTube la scenetta del passaggio al “villico” col sigaro puzzolente. Il film ‘lanciò’ tutta una serie di modi di dire, già il termine ‘villico’, ma anche… “Nun core ’sta machina” …quante volte l’abbiamo sentito? . . [La storia raccontata dai film (4). La fame nel cinema italiano (seconda parte) – Continua] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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