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I gabbiani sono monogami… (3)

di Francesco De Luca

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Tutto questo è nel passato. Il quale vive nelle memorie. Ebbene, le memorie raccontano della pescosità delle acque di Palmarola.

Allora la marina di san Silverio (detta il Porto)  si prestava a luogo di raduno ove arrostire ‘i rutunne su una graticola d’occasione. Dalle grotte uscivano bottiglioni di vino e la rena faceva da panca e da divano. Ci si radunava tutti e ci si rallegrava insieme. Un giorno erano rotondi, un altro erano i calamari a fare da cibo, accompagnati dagli asparagi selvatici. Nella stagione adatta erano le uova di gabbiano. Gli uccelli di passo catturati con le tagliole o sparati venivano invece inviati a Ponza. Se ne faceva commercio e se ne traeva moneta sonante.

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Rimaneva comunque luogo di fatica. E lo è rimasto fino a quando le condizioni economiche non hanno portato l’Italia fuori dai paesi poveri.

Col benessere le isole ponziane si scrollarono la cupezza dell’essere state terre di relegazione, di galera, di confino. Divennero impero del mare e del sole e, loro tramite,  belle per le coste e i fondali. Divennero mete turistiche.

Ponza fu additata a tutto il mondo come un’ isola prediletta dalla natura e perciò da visitare. Entrò a buon diritto nel circuito produttivo dell’industria turistica, e da lì trae ricchezza e risonanza mediatica.

E’ cambiato anche il rapporto fra i Ponzesi e Palmarola. Da isola di sacrifici è diventata luogo da cui trarre piacere.

Il cambiamento è iniziato nel dopoguerra. Le case-grotta sono diventate ambite e dunque oggetto di migliorìe e ampliamenti per affitto estivo. Sorsero ristoranti. Addirittura si è verificato che per trovare l’assoluta dimensione isolana di pace e serenità,  novelli sposi consumavano il periodo del viaggio di nozze lì, a Palmarola, in un appartamento frugale ma ospitale.

L’esotico attira la gente danarosa, l’originale intriga la gente facoltosa e l’isola è diventata ambita. Non rispettata nella sua natura ma ambita. E’ talmente evidente il rischio di essere manomessa nella sua bellezza che in tempi recenti la Regione Lazio ne ha decretato lo stato di oasi naturale.

Fu la Regione non il Comune a prendere l’iniziativa, perché le collusioni fra potere economico ed Ente Locale erano evidenti. Così come evidenti sono le colpe di alcuni ponzesi che si sono vantati d’essere integerrimi protettori quando Palmarola era palesemente contesa, mentre sottobanco appoggiavano i tentativi di manomissione. Mi duole accusare di miopia opportunistica i miei concittadini ma tacerei la verità se non lo dicessi. La realtà odierna vede l’isola frequentatissima in estate da turisti di passaggio e un esiguo numero di possessori di case che mal sopportano quell’ingerenza. E’ mancata e manca a tutt’oggi un chiaro intendimento di come il Comune di Ponza voglia valorizzare una bellezza così apprezzata e attraente qual è Palmarola.

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Si diceva sopra della ricchezza dei fondali di Palmarola, di pesci e di coralli. La popolazione di Ponza prese coscienza immediata di quella ricchezza. Il territorio di Ponza, per quanto coltivato in modo meticoloso, non riusciva a soddisfare il bisogno alimentare degli abitanti, allorché la comunità divenne stabile nella sua struttura. Il che avvenne alla metà dell’800. Inoltre è doveroso dire che finché si fu sotto il regno borbonico i coloni goderono di una considerazione particolare. L’isola veniva sostenuta dall’autorità di Napoli con derrate alimentari provenienti per lo più da Ischia. La colonia degli isolani fu sempre  considerata come una comunità da sostenere, da tutelare. Lo faceva attraverso leggi apposite, o con l’esenzione da alcune tasse. Il censo sui terreni veniva uniformato allo stato della famiglia del colono, sussidi agli invalidi, alle vedove, una legge che toglieva il carico penale ai coloni residenti. Tutto questo ebbe termine con la caduta del regno borbonico. La popolazione era cresciuta e le esigenze del sostentamento aumentarono.

Venne in soccorso la maestrìa nell’affrontare il mare, e la pesca. Ogni luogo, nel Tirreno, era buono per pescare. Seguivano i bastimenti che tenevano i collegamenti con i porti commerciali e con l’isola. Si divenne padroni di barche da pesca e di motovelieri da commercio. La Sardegna fu individuata come la più ricca di possibilità e di guadagno.

La pesca all’aragosta era redditizia perché il crostaceo era abbondante in quelle acque. Tanto che si riempivano stive intere di aragoste  e si trasportavano a Marsiglia, a Genova, a Napoli. Questo commercio diede sprone alla trasformazione dei motovelieri ponzesi in golette-vivaio. Furono chiamate ’mburchielle ossia bucate giacché, al di sotto della linea di galleggiamento furono praticati fori in modo tale da allagare in modo appropriato le stive. In queste venivano trasportate le aragoste, in modo da arrivare vive sul mercato. Ciò che valeva per le aragoste poteva funzionare anche per le anguille. Ed ecco fiorire il mercato delle anguille nei porti del Mediterraneo.

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Inoltre la Sardegna si scoprì essere terra di formaggi. E il pecorino, retaggio delle terre laziali subì il confronto col formaggio sardo. Nei mercati italiani della prima decade del 1900 non ci fu lotta: il pecorino sardo scompigliò ogni confronto. Merito dei motovelieri ponzesi che trafficavano fra Genova, Napoli, Civitavecchia, Porto Torres, Olbia. La flotta mercantile ponzese vantava 300 fra moto-golette e brigantini.

L’entrata in guerra bloccò ogni processo. L’isola cadde nella stagnazione. Dalla quale si poteva fuggire soltanto con l’emigrazione. Le Americhe (del Nord e del Sud) divennero le mete in cui poter sperare in un futuro.

Le isole implosero su se stesse. Si ritornò all’orticello, alla pesca nelle calette, Palmarola divenne di nuovo coltivata nei posti migliori. Anzi avvenne che per la lontananza degli uomini furono le donne a stabilirvisi per seguire le colture. Alcune vi dimoravano in modo continuato lasciando aneddoti di vita reale che si tramandano. Luogo di sacrificio Palmarola, che diveniva gioioso quando vi si fermavano le barche dei pescatori.

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Nel tragitto Ponza – Sardegna i gozzi ponzesi facevano scalo alle isole toscane. Col passare del tempo alcuni si fermarono lì. Fiorirono colonie ponzesi ad Arbatax, ad Olbia, a Golfo Aranci.

Qualcuno si avventurò nel sud del Mediterraneo. Era disabitata e pescosissima l’isola di La Galite, di fronte alla Tunisia. Fu popolata e si costituì una colonia ponzese. Dunque italiana. La Francia, smaniosa di colonizzare le terre africane, ne pretese il possesso. I Ponzesi divennero cittadini francesi (anni 1940). La Tunisia la sottrasse alla Francia e i ponzesi-francesi emigrarono a Le Levandu in Provenza.

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Cosa si pescava a La Galite? Soprattutto aragoste.

[I gabbiani sono monogami… (3) – Fine]

Per la prima parte (leggi qui [7])
Per la seconda parte (leggi qui [8])