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I gabbiani sono monogami… (1)

di Francesco De Luca

 

I gabbiani sono monogami. La coppia si costituisce secondo regole definite dall’evoluzione e perdura per tutta la vita. Fino al venir meno di uno dei membri della coppia. E ancora, i gabbiani scelgono il luogo dove costruire il nido e, se il posto è affollato, lo occupano preventivamente. Come? Mettendoci un sasso. Che informa tutti gli altri che quel nido ha già un occupante. Un pre-possesso, perché soltanto dopo l’accoppiamento le uova saranno deposte.

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Giovanni, frequentatore assiduo e appassionato di Palmarola, avvalora le sue parole con l’esperienza che ha fatto in quell’isola scelta da centinaia di gabbiani come luogo di nidificazione, perché è disabitata, e i luoghi sono tanti e inaccessibili. Le colonie di gabbiani perciò sono numerose.

Giovanni è uno dei pochi che in primavera va a Palmarola, vi si ferma e va a prendere le uova di gabbiani.

“Mamma mia che schifo … – interviene Antonietta – Mi hanno detto che sanno di pesce…”

Sbotta Giovanni: “ Sì … ma non quelli che prendo io …”. Lui infatti – confessa – le uova che trova nei nidi le butta, ingenerando nel gabbiano lo stimolo a produrne altre. E quelle nuove, le prende. Sono grosse, rosso il tuorlo come fuoco, sono buone e non sanno di pesce.

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Quando procurarsi gli alimenti quotidiani era l’occupazione principale dei membri della famiglia perché la vita richiedeva come primo obbligo la sussistenza, si andava a Palmarola col preciso intento di procurarsi le uova. Si parla del passato.

Conosciuti erano i posti e le abitudini dei volatili. Non del tutto supini alla razzia. Anzi. Difendono il nido con strategie difensive. Anzitutto gracchiano pesantemente in modo da coinvolgere tutta la colonia. Si levano in volo e volteggiano minacciosi, e vociano. Tutti si agitano contro i predoni. E c’è qualche uccello più ardito che si getta in picchiata sul capo degli intrusi. Il becco diventa un’arma temibile e l’aggressività lo rende ancora di più. Muovere le braccia è un espediente valido ma meglio è – suggerisce Giovanni – dotarsi di una canna. Più alta del corpo, offre all’uccello un bersaglio innocuo per l’uomo.

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Ma chi poteva permettersi di raggiungere Palmarola? Oggi è méta per tutti, ma 60-70 anni fa la poteva visitare soltanto chi possedeva una barca ( non un barchino o una lanzetella ). Arrivare a remi a Palmarola impegnava i vogatori, dell’ordine minimo di quattro. Per ore. Vi si recavano i pescatori o quelli che vi risiedevano per lavorare i campi. O i cacciatori, nel tempo della migrazione.

Le case-grotta erano a beneficio esclusivo dei coloni possessori: i Mazzella, i Vitiello, gli Scotti, i Sandolo e altri. I capifamiglia che lo richiesero ebbero la possibilità di scavare nel tufo della falesia retrostante alla spiaggia di san Silverio (chiamato il Porto). Dando vita a quell’insieme di abituri scavati nella roccia, uno sopra l’altro, uno accanto, uno sotto. Come un villaggio trogloditico di uomini delle caverne. Oggetto di curiosità ma anche di studi. C’è chi lo intestava alla presenza di cavernicoli. Niente di più errato.

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Quel villaggio abbozzato, come suggerisce l’immagine, ha una data precisa di inizio. E’ quella che porta il decreto regio del monarca Borbone (25 settembre 1788), il quale concesse ai coloni di Ponza, in uso, il territorio dell’isola di Palmarola, in cambio di un censo. Giacché lo stato dell’isolotto, non protetto, lo rendeva oggetto di disboscamento da parte di ladri partenopei, che si vendevano la legna procurata.

Tanucci, il lungimirante ministro del regno di Napoli, capì che col dividere il terreno di Palmarola in particelle da dare in uso ai Coloni si otteneva il controllo dell’isola contro i pirati arabi e i malfattori nostrani e, in più, si ricavava un utile per la corona. Con ancora un altro vantaggio: si permetteva ai Coloni ponzesi di migliorare le loro condizioni economiche. La qual cosa era, nell’illuminata mente di Tanucci, un obiettivo non secondario. La colonizzazione dell’arcipelago fu sostenuta da questo convincimento ideale: quello di elevare lo stato di vita dei sudditi.

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Oggi ogni attività di oltraggio al territorio è interdetta. Palmarola è oasi naturale ma la presenza di abitazioni sorte in modo subdolo negli anni di tolleranza dell’abusivismo mette a rischio la prerogativa primaria di quell’isola: la sua bellezza.

E’ la ragione per cui negli anni ’50 si formò una cordata di speculatori che la volevano rendere meta di vacanze esclusive, a totale beneficio degli imprenditori, e nel disprezzo dei Ponzesi (leggasi il capitolo a pag. 289 del libro di Silverio Corvisieri: Zì Baldone, Caramanica Editore, 2003). E oggi ancora, con la connivenza di poteri economici romani, c’è chi cerca di sottrarre l’isola all’uso dei Ponzesi, per farne luogo di residenza esclusivo personale.

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Tutto questo con l’appoggio di isolani che con miopia tutelano la loro personale fonte di lavoro a danno del patrimonio pubblico. Col tacito assenso degli Organi di controllo.

[I gabbiani sono monogami (1) – continua]