di Antonio Impagliazzo
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- premessa
Gli abitanti delle isole, anni fa, furono associati a saggi perché eressero a baluardo della propria esistenza il rispetto della natura e della identità culturale.
Intorno a loro iniziò ad aleggiare, sin dagli anni ‘90, una nuova categoria di soggetti, detti “alieni” o fiancheggiatori, che si proponevano come obiettivo principale quello di ampliare e tutelare al meglio i propri interessi noncuranti della dignità e della fragilità di questi luoghi, sottovalutando i valori inestimabili delle relative risorse ambientali, di storia e di cultura.
I cittadini di Ponza e Ventotene ambivano ad erigere, a modo loro, un’opera a difesa del proprio patrimonio che li avrebbe connotati positivamente, mentre la firma di recenti Protocolli di Intesa e Convenzioni con Amministratori regionali e la società Acqualatina per la produzione di acqua dissalata senza VIA, VAS e VIS, con parametri inadeguati e non idonea all’uso umano, hanno determinato per questi luoghi molte ricadute negative.
Ma ben altra è la riga che segna la differenza tra la “legge della foresta“, scritta e vigilata da coloro che scelsero di vivere all’interno del proprio recinto, ed i cittadini delle isole di Ventotene e Ponza, relegati al ruolo di attori inermi di fronte al calo dall’alto di leggi e regolamenti Ministeriali e Regionali, provvedimenti (conferenze di servizi ed altro) senza appello e senza alcuna funzione partecipata.
Gli incantevoli “patrimoni ambientali e naturali”, le forti potenzialità culturali e storiche di questi luoghi, non hanno mai trovato, da parte degli organi superiori della Regione e del Ministero competente, la sponda adeguata alle scelte da compiere nel solco della tutela e della valorizzazione.
Infatti, custodire una risorsa naturale non dovrebbe tradursi solo in una semplice delimitazione territoriale (zona SIC- ZPS, vincoli regionali, ministeriali, etc. ), ma concretizzarsi anche in un obbligo di “disegnare un territorio da tutelare” e mettere in atto le modalità per la valorizzazione delle risorse dei luoghi, di concerto con l’ente locale, in maniera da determinare strategie idonee, adeguate, efficaci ed opportune.
Agli abitanti ed ai pescatori delle isole fu fatto divieto di catturare un pinto di re, una perchia, un calamaro o calare in mare un nasello intrecciato di cannucce, per indurli ad assistere poi, con deplorevole cinismo, al non veder vietato lo scarico nelle stesse acque di sostanze “tossico-nocive” provenienti dal pre-trattamento, dalla dissalazione e dai reflui urbani.
Gli Organi superiori, delegati alla vigilanza e ai controlli, che in questi anni avrebbero dovuto attuare il rispetto delle norme e dei Regolamenti, si sono dimostrati purtroppo “tecnocrati di basso profilo” e lascio a voi ogni commento.
- Un gesto d’amore non raccolto dalle istituzioni
I confinati politici non dimenticarono il soggiorno forzato sulle isole e ritennero che “l’acqua per l’uso umano” (sanitaria) fornita con navi cisterne della Marina Militare, un tempo destinata soltanto alle postazioni militari (Fari e fanali), alle Caserme dei militari e dei coatti, agli acquartieramenti dei “Confinati Politici” ed alle“Istituzioni Carcerarie”, fosse assegnata anche agli abitanti delle isole.
Finita la guerra (1945), i parlamentari memori dell’esperienza negativa, pensarono di fare ammenda della nefasta distinzione e vollero emanare due leggi a favore delle popolazioni delle piccole isole.
Qualche giorno fa in Piazza Capranica si è tenuto un “Convegno sulle Aree Marine Protette e sugli Ecosistemi Marini” cui ho partecipato. Nell’attraversare quella piazza mi sono ricordato – mi è sembrato ieri ma era il 1967 – quando poco più lontano, presso la Camera dei Deputati, fummo ricevuti in modo garbato ed affettuoso da Sandro Pertini. Presente il Segretario Antonio Maccanico, Pertini iniziò a parlare di più cose e di ricordi, soffermandosi anche sulla sensibilità dei Confinati per aver voluto introdurre il principio della “pari dignità” dei cittadini delle piccole isole e quindi il diritto di essere riforniti di acqua per uso umano (sanitario) e non utilizzare soltanto l’acqua raccolta dai tetti a cupola.
La Regione Lazio, delegata dallo Stato italiano alla fornitura dell’acqua alle stesse condizioni previste dalle due leggi speciali, evidenziò fin dall’inizio una conoscenza grossolana e poco lungimirante per questi “microcosmi insulari”, indicando scelte tecniche e soluzioni idriche non in linea con la delicatezza e la fragilità degli ambienti che, giorno dopo giorno, vedevano crescere una domanda di ospitalità turistica sempre più elevata. Si dimostrarono, di conseguenza, avulsi e distanti dalle esigenze e dalla storia di questi luoghi.
La scelta dei dissalatori per le isole di Ponza e Ventotene, indicata come unica soluzione possibile prima dall’assemblea provinciale e poi dalla Regione Lazio, risultò priva di uno Studio Comparativo costi-benefici, di una Valutazione di Impatto Ambientale sull’ecosistema marino e di Valutazione di Impatto Sanitario per la salute umana.
Sin da subito, gli isolani ebbero la sensazione di un “grosso business” e non quello di una scelta tecnica oculata e rispettosa dimostrandosi in seguito poco aderente alla realtà dei luoghi e giammai accettata dai loro abitanti.
- Acqua pubblica. Isolani: è tempo di alzare i tacchi
Gli organi dello Stato, della rappresentanza politica e del sindacato, che un tempo non vollero e/o non seppero riconoscere alle piccole isole la condizione di soggetti ”colmi” di straordinaria ricchezza ambientale, dotati di patrimoni marini e culturali eccezionali, oggi sono invitati ad un sforzo di qualità.
In questi giorni, in Commissione parlamentare alla Camera, si discute di “Acqua pubblica”, un tema che tocca anche le piccole isole beneficiarie di due leggi speciali dello Stato (la n° 307/1950 e n° 378/1967), che in questi anni sono state bistrattate ed escluse dalla rappresentanza delegata.
Non è tempo di tacere per le piccole isole: la scelta dei dissalatori (tout-court) fatta nel 2000 dall’Assemblea Provinciale non ha permesso agli isolani di essere “parte attiva” in assemblee dove Ponza e Ventotene rappresentano complessivamente lo 0,8 % del peso decisionale, causando in sintesi l’esclusione totale dalla pianificazione.
Questo modello assembleare, ha consentito agli “alieni” di poter attuare scelte tecniche poco sensibili rispetto alla fragilità dei territori e poco aderenti alla realtà dei luoghi, produrre acqua con caratteristiche organolettiche ed igienico-sanitarie pessime ed imporre inoltre il criterio della priorità e urgenza delle scelte.
E’ tempo che i cittadini, alla luce delle richiamate considerazioni, chiedano alla rappresentanza politica delegata di:
– poter partecipare alla ridefinizione della pianificazione per la fornitura e la gestione dell’acqua pubblica in maniera coerente e coordinata con le scelte territoriali di medio e lungo termine;
– prevedere un “Sub-ambito” per i territori delle piccole isole, che consentirebbe di poter pianificare iniziative congrue ed idonee, compatibili con il ruolo della salvaguardia e della crescita;
– consentire per le piccole isole di utilizzare la stessa formula adottata per l’energia elettrica, che permetterebbe di destinare una “somma perequativa” a carico della comunità nazionale per i costi legati alla fornitura e all’approvvigionamento dell’acqua potabile.