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Son tornate a fiorire le mimose?

di Rosanna Conte
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Stamattina, otto marzo, ho avvertito tutto il peso dello sforzo di contribuire, in qualche modo, nel mio piccolo, a mantenere viva la necessità di riflettere sulla condizione della metà femminile del genere umano.

Camilleri, qualche giorno fa, dagli schermi televisivi ha fatto l’elogio della donna parlando del suo cervello poliedrico e delle sue capacità di gestire contemporaneamente situazioni diverse. Troppo faticoso per un cervello abituato ad essere maschile da una vita.

Eppure il frutto di questa intelligenza per millenni non è stato né riconosciuto né apprezzato. Anzi, le donne che manifestavano la loro intelligenza hanno subito persecuzioni, roghi e, quando è andata bene, l’oblio dopo essere state spogliate delle loro scoperte o invenzioni. Capire come e perché sia stato possibile ciò ci porterebbe lontano, ma va sottolineato che lo ha consentito il potere.

Nato dalla ancestrale forza fisica e dalla ignoranza, ad esso la donna non si è quasi mai opposta, impegnata prioritariamente nella difesa e tutela dei figli, scelta tutt’oggi presente.

Escludendo un percorso plurisecolare sulle lotte delle donne per poter essere riconosciute capaci non solo di intendere e di volere, ma anche di ragionare, organizzare, produrre, dirigere, si può partire, almeno per le società occidentali, dalla liberazione sessuale del ’68 per pensare che ci possa essere stata una svolta.
C’è stata veramente questa svolta?

Sembra di sì perché sono state fatte leggi che escludono la disparità fra uomo e donna, ma nella realtà il cambiamento non è stato veramente recepito. Il problema è il cambio di mentalità che già di per sé è un fenomeno di lungo periodo, come si dice in storiografia. Se poi pensiamo che questo cambiamento comportamentale tocca l’essenza più profonda dell’io quella che incide sull’identità, ci rendiamo conto che siamo ancora molto, ma molto lontano dalla svolta.

Cosa sono i femminicidi e gli stupri se non l’espressione della paura del maschio di aver perso le ragioni del proprio essere al mondo: il proprio io che intanto esiste perché comanda, perché vuole, cioè la volontà di potere?
E non c’è niente di peggio del debole che fa il forte.

Ma se questo è quanto emerge maggiormente e fa inorridire di più, ci sono tanti altri comportamenti che, spesso, vengono accettati/subiti/sostenuti dalle stesse donne sia nell’ambito privato che pubblico.
Basta guardarsi intorno.

Il nostro concetto di bellezza dell’essere umano è diventato tout court bellezza femminile e, per di più, vista con lo sguardo maschile. La bellezza femminile deve sempre e comunque– perché questo è il punto- manifestarsi come sollecitazione all’attrazione sessuale. Da qui anche le mode dall’uso in tutte le ore del giorno di tacchi che deformano i piedi, agli abiti attillati e scomodi in ogni situazione. Le ragazzine hanno modelli infallibili nelle Barbie e nelle immagini dei media: imparano presto a privilegiare quanto piace allo sguardo maschile trascurando se stesse, il piacere per il proprio corpo.
Sono ormai convinte che sia esclusivamente il corpo l’essenzialità dell’essere umano.

Ora, al di là dell’importanza fondamentale del corpo e della sessualità, è la sua pervasività esclusiva in ogni contesto che è deleteria e deformante perché spinge la donna a mostrarsi in ogni istante nelle vesti di bellezza seduttrice. Ma la cosa ancora più grave è che questo viene affidato tutto e solo all’esteriorità – abito, trucco, andatura – trascurando quella capacità seduttiva che ogni donna, al di là di ogni forma fisica, può costruire dentro di sé con l’intelligenza, l’esperienza e la saggezza.

E’ vero che siamo nella società dell’apparenza e dell’effimero, ma questo vuoto interiore porta certamente a dimenticare da dove veniamo e ci fa correre il rischio di ritornarci per le vie che ci sembrano lastricate di nuovo.

Il rischio di nuove differenze tra uomini e donne c’è: è presente nel divario fra salari e stipendi dai più bassi ai più alti, nella diminuzione della presenza delle donne nei luoghi apicali e nel mercato del lavoro, nell’attacco alle leggi che ne volevano garantire la libertà all’autodeterminazione. Ogni attacco alla democrazia si ripercuote sulle donne ed oggi si sono sdoganati pensieri e parole impensabili fino a qualche anno fa, come la recente proposta di Salvini di riaprire le case chiuse o che le donne stiano a casa a fare figli e a badare alla famiglia indipendentemente dalle loro scelte. Ormai questo viene detto con assoluta convinzione da parte di una fetta di società che si sta allargando paurosamente e noi donne come reagiamo?

Forse, oggi, invece che andare a festeggiare in maniera stupida sarebbe il caso di fermarsi un attimo a guardarsi intorno e chiederci: per cosa vogliamo valere? Possiamo, qui dove siamo, autodeterminarci? La nostra dignità in cosa consiste?

Beh, poi ognuna può continuare a porsi domande come vuole e come può, cercando naturalmente delle risposte.
Forse così ha senso la ricorrente annuale fioritura delle mimose.

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Commenti sulla ricorrenza dell’8 marzo.

di Sandro Russo

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La mia frequentazione “professionale” di Latina Oggi – tutte le mattine per la Rassegna Stampa cartacea -, mi porta a notare tra le pagine che sfoglio, assurdità e incongruenze che cerco di inquadrare in una “antropologia pontina”…
Come questa notizia flash (e relativa foto) sul giornale di oggi 9 marzo (a pag. 18):
“Lega in piazza, mimose in regalo alle donne”.
Chissà – mi chiedevo guardando la foto e leggendo la notizia – se a tutte le donne che hanno offerto le mimose e le hanno accettate, era nota la proposta di Salvini di riaprire “le case chiuse” abolite dalla legge Merlin nel 1958?

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Poi nel prosieguo della giornata ho letto anche altri giornali (di preferenza la Repubblica); in particolare della cerimonia voluta da Mattarella in Quirinale per festeggiare l’8 marzo
Dal giornale di oggi, 9/3, ho espunto due “epifanie”: