Ambiente e Natura

Il colosso di Rodi, ovvero le immagini del nulla (5). La natura

di Pasquale Scarpati

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Il plauso della natura

Una volta, non molto tempo fa; incontrai una persona seduta su di una pietra.
Mostrava un corpo un po’ strano: pareva sommasse in sé tutte le età. Aveva, infatti, da una parte i capelli colorati come i giovani, dall’altra un po’ brizzolati come gli anziani. Aveva una guancia attraversata da rughe mentre l’altra si presentava rosea e con la pelle liscia; aveva una mano callosa e rugosa, l’altra liscia; le labbra, poi, giovanili nella parte inferiore si mostravano sottili in quella superiore come avviene quando una persona, molto avanti negli anni, è affetta anche da recessione gengivale.
Non ricordo bene dove la vidi; forse nell’odorosa Sicilia o nella ventosa Sardegna, forse nell’assolato Salento o nella Terra dei Fuochi o forse nella Terra dei Santi o in quella del Chianti o nella vasta pianura attraversata dal lungo fiume o più semplicemente ’ncopp’ ’u chian’i viol’ (*) dove, adolescente, andavo a fa’ ’u pascòne con amici di quel tempo.

Non appena mi vide il suo viso si scurì come se mi conoscesse da tempo ma nello stesso tempo abbozzò un sorrisino di circostanza. Non capii questo suo comportamento nei miei confronti.
Prima che io parlassi mi apostrofò dicendo: – Vedi quante bellezze ci ha donato il Creatore: il mare, la flora multicolore e la fauna. Entità grandi ed entità piccole: montagne, pianure, fiumi e ruscelli. Ma tanta bellezza all’uomo non è bastata e non basta. Come sui comò o sulle credenze o nelle cristalliere o nelle vetrine si pongono, per ornamento, gingilli di materiali più disparati, dalle forme più varie e di diversi colori, così lui, per abbellire ulteriormente il creato, abbandona e lascia qua e là, dappertutto, “gingilli” di tutte le dimensioni e di tutti colori. Vedi come galleggiano sul mare e giocano con le onde; come, simili a meduse, si fanno trasportare dalle correnti marine a mezz’acqua; come scendono lentamente nell’acqua e vanno a poggiarsi delicatamente sui fondali e restano lì tra i sassi multicolori e gli scogli multiformi. Poi, trasportati dalle onde impetuose, stanchi di stare nell’elemento liquido, molti di loro vanno a depositarsi sulle spiagge, ornandole di vari colori. Spettacolo bellissimo perché rendono le rive, altrimenti uniformi e rozze, più appariscenti! Non voglio parlare, poi, di tutto ciò che esce da lunghi tubi sottomarini e che si spandono, quasi invisibili, in tutti i mari. Anche gli abitanti dei mari e degli oceani ne traggono giovamento perché invece di finire in qualche padella, muoiono nel loro ambiente e fanno da nutrimento agli altri abitanti.

Vedi come altri gingilli si lasciano mollemente trasportare dalle correnti dei fiumi e si depositano lungo le rive o giocano a nascondino tra i cespugli. Essi costellano, anche, i sentieri, anche quelli più nascosti, le strade asfaltate e cementate e come le statue degli dei che ornavano i cigli delle antiche strade consolari, così essi ornano i cigli delle strade moderne. Li vedi dappertutto. Tant’è che rimani meravigliato e pieno di disappunto qualora non dovessi vederli. Aspetti di vederli dopo aver svoltato una curva o allunghi l’occhio sul rettilineo per vederli in lontananza. Essi giacciono alle basi degli alberi per proteggere le radici dal freddo. Queste spesso si allungano in superficie e alzano il manto stradale per renderlo meno monotono anzi più vivace per chi transita. Li noti anche in piazzuole di sosta perché se ti fermi puoi dire che qualcuno ti fa compagnia”

Tacque un attimo forse per riprendere fiato o forse perché si era consumata la saliva. Non mi guardò nemmeno perché se lo avesse fatto avrebbe visto la mia espressione che diceva:
“Questo è peggio di Attila, il “flagello di Dio”, perché è vero che distruggeva tutto ma poi tutto ciò che andava distrutto sarebbe potuto ricrescere o essere rifatto! Ora, invece, tutto questo materiale è indistruttibile”.
Quello, però, nella foga proseguiva: – Questa bellezza si nota non solo lungo le strade di molte città, ma anche nei greti dei torrenti asciutti o dove scorre un rigagnolo d’acqua. Lì puoi notare anche “gingilli” di grandi dimensioni. Alcuni hanno un occhio solo come Polifemo, altri hanno le bocche spalancate, altri assomigliano a scatole arrugginite. Per non parlare poi di quelli dalla forma rotonda e dal colore nero che pare stiano lì per essere presi da bambini che non possiedono salvagenti. Tutti questi oggetti non solo fanno bella mostra di sé ma danno ricovero a molti esseri viventi. Questi, però, sono molto timidi e quasi mai si fanno vedere. Infatti essi, ratti, si nascondono. Altre creature, sia pur spelacchiate, si aggirano nei dintorni e trovano cibo.
Non è, forse, un bellissimo spettacolo? Da cui si elevano, a volte, anche soavi effluvi?

Tacque ancora, guardandomi con un fare interrogativo. Ma io in quel momento ero un po’ distratto perché pensavo malinconicamente a quella bellissima canzone di Domenico Modugno là dove dice: “ … Ma guarda intorno a te/ che doni ti hanno fatto/ Ti hanno inventato il mare/….”
Pensavo: – Dovrebbe essere l’inno di tutte le scuole, cantato più volte durante l’anno per…. non dimenticare”.
Visto che il “Caronte” si era zittito, ripresomi dai miei sogni, immediatamente replicai: – Ma tutte queste cose che hai tu nominato non fanno parte della Natura!

– Non è vero – rispose e con fare saccente proseguì – Non conosci tu il “panta rei” di Eraclito (di nuovo la filosofia!?) e ciò che disse Lavoisier? “Niente si crea e niente si distrugge ma tutto si trasforma”, e pertanto anche questi abbellimenti ritornano alla terra da cui sono nati”
Tacque e sorrise compiaciuto. Non ne potevo più: – Cosa dici!? – gli risposi inviperito – simili oggetti “di abbellimento”, come li chiami tu, non vengono dalla Terra ma da sotto terra. Essi si sono formati e giacciono in pozzi sotterranei che somigliano alla fetida palude stigia, che gorgoglia puzzolente; dove non a caso il Poeta, lungimirante, ha posto coloro che nel denaro hanno posto il bene supremo della loro vita. Poiché simili oggetti hanno origine in quella sozzura, dovrebbero tornare da dove sono venuti e non dimorare sui sentieri, lungo le strade, nel mare, sulle spiagge e persino sugli alberi perché trasportati dal vento. Nuocciono a tutti gli esseri viventi: vegetali ed animali. Nuocciono indirettamente anche a tutte le altre cose. Ma vaffa….!
Ma una folata di vento portò via la mia imprecazione. La stessa però fece volare i suoi capelli: in realtà mi accorsi che era una parrucca. Apparve un cranio non solo rasato ma anche sporco, come le sue parole; pieno, inoltre, di chiazze giallognole e di pustole. I nascosti pidocchi, disturbati nel loro ambiente scappavano dovunque accompagnati da una nuvola di polvere. Lo stupore alla mia violenta reazione gli fece aprire la bocca; così facendo gli caddero i denti anch’essi finti. Apparve la gengiva nella sua nudità, squallida e senza mordente. Insomma il mostro apparve in tutta la sua realtà. La stessa forza del vento lo squassò, lo sollevò, lo fece sparire nel nulla.

Ma ecco, finalmente, alcuni che dal basso e soprattutto concretamente, si muovono attraverso i sentieri dell’Isola – Bravi, ragazzi! Penso sia la strada giusta! E come tutti gli impervi sentieri non sarà lastricata né di cemento né di asfalto (…orrore per la Natura!) ma sarà piena di sassi e di fosse.
Qualcuno dirà, per demoralizzarvi: “Ma chi ve lo fa fare!?”; qualcun altro tirerà fuori i soliti cavilli della città turrita; un altro paventerà “rappresaglie” perché vi vuole incutere timore. Un altro ancora… E’ il solito gioco. Comunque questa strada sarà più vicina alla Natura del luogo e darà molte più soddisfazioni di un oggetto meccanico!
Non è forse meglio una bella remata o camminare a piedi piuttosto che fuggire di qua e di là con mezzi motorizzati come mosche che volano, si posano un attimo e poi riprendono a ronzare?
L’antico moto produce molteplici effetti: a) irrobustisce i muscoli; b) fa osservare i particolari delle cose; c) preserva la Natura; d) tiene lontane molte malattie cosiddette sociali; e) aguzza l’ingegno; f) mantiene stretti i rapporti umani; g) abitua alla tenacia e al sacrificio senza i quali il mondo avvizzisce; h) corrobora lo spirito; i) fa esplodere una delle più belle prerogativa dell’uomo: la fantasia.
Essa, insieme con il riso, appartiene esclusivamente al genere umano.

Tutto è fantasia: navighiamo con la fantasia, ci addentriamo nella fantasia. Quando lei ci abbraccia, il tempo scorre, vola.
Chi, ad esempio, preso dalla narrazione di un film, riesce a contare le ore ed i minuti? Esse passano in un attimo. Il film stesso, nelle varie sequenze, fa galoppare la fantasia nello spazio e nel tempo. La fantasia ci fa andare oltre gli abiti che indossiamo, oltre a ciò che in quel momento gustiamo, oltre a ciò che amiamo; ci proietta nel futuro e ci fa immergere nel passato; ci fa navigare oltre l’orizzonte e nello spazio infinito (ma non oltre), ci trasporta persino nell’aldilà.
Immaginiamo e continuiamo ad immaginare.
Immaginiamo anche una bella Isola, intatta, non deturpata, accogliente, circonfusa dal Sole e dalle stelle, dove il mare solletica gli scogli: sfrugulea (solletica dolcemente) nelle piccole cavità dove si annida ’a vavosa e ’u mazzone: la vita dei piccoli che si nascondono e ti guardano con occhi timorosi ma curiosi.
Dove il piccolo granchio corre incessantemente sugli scogli al confine tra l’onda e la roccia: timoroso ma non difficile da catturare. Dove il filo d’erba marina, attaccato alla roccia, si agita sinuosamente carezzato dalla corrente e dall’onda. Tu lo vedi ed immagini che anche un suo antenato sia stato visto da un antico Eroe. Immagini che una fanciulla abbia bagnato i piedi nelle sue acque forse per raccogliere il sale formatosi nelle fenditure o forse semplicemente per bagnarsi al riparo da occhi indiscreti… giù, giù fino a cap’ ianc’: sospeso sul mare, muto e solitario. Abbagliato di sole. Dove il vento, onnipresente, non tace mai: ulula a volte; sussurra altre volte. Il levante furioso ed il ponente mostruoso sferzano le ginestre perché esse, nonostante i loro sforzi, rimangano attaccate alla loro terra.
Al contrario di molti uomini che essi sono riusciti a sollevare in alto e, nella tempesta, a disperdere in ogni parte del mondo. Colà hanno posto altre radici, ma non possono non pensare da dove sono stati sradicati. Gli insensibili venti, però, non smettono di correre in mezzo a loro, assecondati dalle canne che oscillano all’impazzata.

Ma le ginestre hanno salde radici e sanno che da esse, in seguito nella stagione degli amori, usciranno fiorellini dal colore vivace che plasmeranno i declivi.
Allora il vento, stupefatto, le accarezzerà e scivolerà in mezzo a loro come morbida seta tra le mani; ama anche l’agave che gli resiste, ed il mirto che, tagliato con cura, faceva bella mostra di sé nella solennità del Santo Patrono ed il rosmarino odoroso ed il cappero che ama ornare i vecchi muri. Tutti gli esseri viventi raccontano la loro storia e desiderano che venga tramandata non soltanto dalle pagine dei libri ma e soprattutto dal vivo perché hanno la certezza che solo in questo modo ognuno se ne può invaghire.
Oggi simili “fantasie” divengono, pertanto, un dovere: un… “imperativo categorico” (accidenti, ancora filosofia!).

Dalle piccole cose nasce la concretezza! Dalle piccole cose di tutti i giorni nascono le grandi cose. Quando si vuole strafare o non si ottiene nulla o si combinano disastri. Nella barca bisogna cercare il piccolo angolo più nascosto e di là ripartire. Per pitturare quest’ angolo, però, bisogna fare più fatica. A volte bisogna incunearsi, bisogna fare come il contorsionista perché non è semplice: è faticoso e scomodo. Non si può sempre adoperare la pittura a spruzzo, veloce e semplice, ma bisogna adoperare il vecchio pennello e prendere la pittura dal barattolo girandosi su se stessi. Il resto sono solo belle parole.

Ma, oggi, le fantasie, quelle dolci da accarezzare con la mente, pare siano confinate in un cantuccio o siano del tutto bandite da questa società:
Qualcuno però, obietta: – Ma è un moto lento, non adeguato ai tempi!
– Un altro risponde: – La velocità non vuol dire attuare la cosa giusta, anzi spesso si incorre nell’errore e poi per riparare “si perde” più tempo. Quante volte, ad esempio, un sorpasso azzardato perché si va di fretta, si trasforma, nella migliore delle ipotesi, in una perdita di tempo?
Allora, forse, sarebbe meglio camminare lentamente per i sentieri; respirare a pieni polmoni l’aria salubre che viene dal mare, impregnata, nel suo andare, dei profumi della Natura.
A me, incallito sognatore, piace “ascoltare tra pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi… osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare… (E. Montale: “Meriggiare pallido e assorto”).
Ma se non ci sono i pruni e gli sterpi non ci possono essere neppure i merli e le serpi. Se non ci sono frondi che alleviano la calura neppure si possono osservare le scaglie di mare

Tornando alla Natura: – In bocca al lupo, ragazzi!

Pasquale

Nota
(*) – u chian’i viol’ – Luogo di Ponza, dove adesso è ubicato l’eliporto, così nominato perché era pieno di violacciocche, che in primavera lo facevano fiorire di viola; bruciarono quai tutte nel devastante incendio del 1980, prima ancora che l’area venisse destinata ad altri usi.

 

[Il colosso di Rodi, ovvero le immagini del nulla (5). Fine]

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