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Ancora sulla dissalazionea cura della Redazione . A commento e integrazione dell’articolo di Antonio Impagliazzo di qualche giorno fa sull’esperienza di Ventotene (leggi qui), riprendiamo da la Repubblica – RLab un servizio (dello scorso 20 febbraio) che avevamo messo da parte perché pertinente al tema e attuale.
RLAB Si sa da sempre: il mare è un infinito serbatoio di acqua potabile. E mentre il bisogno di “oro blu” si fa molto più pressante in tutto il mondo (in alcuni Paesi poi è una drammatica emergenza), si discute sui pro e sui contro della dissalazione di acqua marina. Una tecnologia che può presentare impatti sensibili sul territorio, gli impianti sono enormi e quasi sempre sulle coste, ma che negli ultimi anni è diventata più competitiva dal punto di vista energetico e ambientale. Renato Drusiani, technical advisor di Utilitalia, la Federazione delle aziende che si occupano di acqua, ambiente ed energia, ci fa il quadro della situazione: Intanto in Italia il prelievo delle acque marine è appena lo 0,1% del prelievo totale (13,619 milioni di mc su un totale di 9,108 miliardi di mc di acqua totale prelevata dalle sorgenti) in soli due distretti: in Sicilia e nell’area dell’Appennino Settentrionale (il restante 7,5% diviso tra Toscana e Liguria). Un dato insufficiente per l’ormai enorme fabbisogno della Penisola. C’è poi l’impianto di dissalazione per la raffineria del gruppo Saras (Cagliari) con una produzione di 12mila metri cubi al giorno di acqua demineralizzata. Realizzato nel 2017 rappresenta l’impianto a osmosi inversa di maggiore capacità operativo nel nostro Paese. A fronte dei milioni di mc di acqua dissalata nel mondo, questa soluzione ha avuto finora degli svantaggi che sembravano insormontabili: un consumo energetico molto alto e la restituzione in mare della “salamoia”, il residuo del processo di dissalazione con l’osmosi inversa, che, soprattutto in golfi chiusi, causa gravi danni all’ecosistema marino. Il problema rimane la salamoia che spesso finisce in mare senza trattamenti, magari insieme ai residui di disinfettanti e additivi. Uno studio apparso su Science of the Total Environment e coordinato dall’Istituto per l’acqua, l’ambiente e la salute dell’Università delle Nazioni Unite ha stimato la produzione di salamoia in 142 milioni di metri cubi al giorno a fronte di 95 milioni di metri cubi d’acqua dissalata ottenuti: circa il 50 per cento in più rispetto alle previsioni precedenti. A proposito di energia solare, invece, gli ingegneri del Politecnico di Torino hanno sviluppato il prototipo di un dissalatore di acqua marina low cost e a energia solare, capace di garantire quasi il doppio della resa rispetto ai sistemi simili esistenti. Uno studio che a dicembre scorso era sulla copertina di Nature Sustainability. L’obiettivo del team – coordinato da Pietro Asinari e Eliodoro Chiavazzo con Matteo Fasano, Matteo Morciano e Francesca Viglino – è mettere a punto una tecnologia sostenibile facile da gestire e accessibile anche ai Paesi in via di sviluppo. Nei laboratori del Politecnico di Torino – dove un anno e mezzo fa è nato il Clean Water Center – si lavora alle membrane distillation e la forward osmosi, tecnologie che si basano su membrane alimentate da flussi termici di scarto o solare termico. Soluzioni promettenti per il prossimo futuro. RLAB L’ emergenza idrica è oggi una realtà. Siccità e contaminazione delle falde condizionano sempre più le scelte tecnologiche e politiche. Nel 2030, circa il 47% della popolazione mondiale potrebbe avere problemi di scarsità idrica. La dissalazione di acqua di mare può rappresentare una valida alternativa. Le tecnologie di dissalazione disponibili possono essere raggruppate in due tipologie: separazione dell’acqua dai sali e separazione dei sali dall’acqua. La prima, in pratica consiste nel far evaporare l’acqua e recuperarla condensandola; le temperature di evaporazione sono diverse a seconda delle tecnologie. La seconda è basata sull’osmosi inversa: in pratica l’acqua salata viene filtrata a pressioni elevate attraverso membrane permeabili solo all’acqua e a pochi altri elementi. Le tecnologie generalmente più diffuse, anche in Italia, specie nelle isole minori, si basano sull’osmosi inversa. La “salamoia” nella generalità degli impianti è costituita da acqua ipersalina e da vari prodotti (tra cui detergenti, antiscalant, acidi e basi) utilizzati per il lavaggio e la manutenzione. Viene generalmente smaltita lungo la fascia costiera, spesso a poche decine di metri dalla costa o addirittura sulla battigia. Interessa così il primo tratto costiero, un ambiente in cui, in termini biologici, è massima la produzione primaria, cioè una vera “nursery del mare”. In queste acque si svolgono i primi stadi di vita della gran parte degli organismi marini (planctonici, bentonici e nectonici) un meraviglioso e complesso mondo più che vulnerabile. Turbare il naturale equilibrio degli ecosistemi marini costieri e la biodiversità ha notevoli conseguenze: sul piano sanitario, sulla fruibilità turistico balneare dei tratti di mare, sulla produttività ittica sia naturale (pesca) che artificiale (allevamento, molluschicoltura). Numerosi sono gli studi sull’impatto delle salamoie. Tutti evidenziano la indubbia tossicità dei reflui degli impianti di dissalazione, a diverse concentrazioni. Da ciò le prime norme e linee guida che diversi Paesi hanno imposto agli scarichi che producono stress o shock osmotici, legati alla ipersalinità, soprattutto per le specie incapaci di sopportare variazioni del contenuto salino, che possono incidere negativamente sui fondali costieri. Anche la Posidonia oceanica, noto segnale di stabilità degli ecosistemi e bene da salvaguardare, può subire danni. Le alterazioni non sono sempre evidenti nell’immediato ma in tempi più o meno lunghi, quando diventa impossibile intervenire. Il degrado ambientale legato agli scarichi ipersalini non trova riscontro adeguato nella normativa ambientale italiana, pertanto vengono a mancare utili ed efficaci misure di corretta gestione. Le possibilità di prevenire o mitigare il rischio sono molteplici: trattare la salamoia senza smaltirla, trattare separatamente le soluzioni di lavaggio altamente tossiche, smaltire i reflui lontano dalla fascia costiera più vulnerabile. Per uno sviluppo sostenibile è fondamentale non limitare gli sforzi per la mitigazione dell’impatto antropico sui tratti costieri, indicando e valutando le possibili alternative che concorrono alla salvaguardia della risorsa marina costiera. (*) – L’autore è docente di Igiene generale e applicata, Dipartimento di Biologia, Università Federico II Napoli File.pdf con le tre pagine dell’articolo citato: RLab del 20 febbr. 2019. Acqua dolce dal mare
[Da la Repubblica RLAB del 20 febbraio 2019 pp. 49-51] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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