Ambiente e Natura

8 gennaio 1810: cosa accadde a Ponza? (1)

proposto da Francesco De Luca

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Propongo ai lettori del Sito il libricino: 8 gennaio 1810. Lo scrissi nel 2000 dopo la lettura, per me illuminante, di un documento redatto da Tommaso Montaruli, sottintendente del Distretto di Gaeta, al servizio di sua maestà Gioacchino Murat, re di Napoli, in data 8 gennaio 1810.
Il contesto storico, le vicende in cui è inserito, la stesura stessa del documento e talune note preziose a margine, saranno tutte chiarite nella lettura del libro. Se piacerà ai lettori.
Il tutto sarà presentato a puntate. Perciò raccomando la persistenza, altrimenti si perde il filo.
Ancora. Mi preme ringraziare chi mi ha fornito il documento storico. Fu Salvatore Perrotta, al quale va il mio ricordo. E spero che gli arrivi nel lontano Brasile.
Nota. Al termine vedremo insieme se sarà il caso di fare qualche considerazione. Il documento porta luce sulla condizione di Ponza e dei Ponzesi nel lontano anno 1810. Chi accende la lampadina è un militare, estraneo alle vicende dell’arcipelago, ma serio e attento alle tematiche sociali degli isolani.
F.D.L.

Il 17 marzo 1805 fu creato il Regno d’Italia e il 26 maggio dello stesso anno Napoleone fu incoronato Re d’Italia (NdR).

Napoleone Bonaparte, re d’Italia, ritratto da Andrea Appiani (1805)

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“Mi chiamo Luigi Bianchi e mi accingo a scrivere questa memoria perché le vicende che si stanno vivendo a Ponza sono degne di ricordo.

Oggi, giorno otto del mese di gennaio dell’anno 1810 a Ponza regna la più assoluta calma, nonostante che l’isola sia priva di qualsivoglia autorità vuoi amministrativa vuoi militare. Ci sono rimasti soltanto i preti a governare le anime degli isolani.

L’anno appena trascorso è stato denso di turbamento, di ansia e la disperazione è stato il sentimento più diffuso. Basti pensare all’ultimo, conclusivo episodio avvenuto nel   passato novembre del 1809, quando il giorno 23 Antonio Capece Minutolo, principe di   Canosa, decise in fretta di abbandonare l’isola con tutte le guarnigioni militari e con l’intero apparato governativo borbonico, per seguire il sovrano di Napoli Ferdinando IV, trasferitosi già dal 1806 (o dovrei dire fuggito) in Sicilia. L’abbandono dell’isola fu causato dalla notizia dell’imminente assalto da parte delle milizie di Gioacchino Murat.

Il parroco, nella omelia di capodanno l’ha detto che quest’anno vedrà un memorabile avvenimento. La sua previsione voleva preavvisare che presto avremmo visto i Francesi.

Sono anni che Napoleone Bonaparte spazia per l’Europa disponendo degli stati e delle popolazioni a suo piacimento. Dovunque, sullo scontento popolare verso le monarchie e su una classe dirigente pronta a sostituire quella costituita dal vecchio regime, detronizza le famiglie reali di discendenza divina e insedia nuovi sovrani imparentati con la sua famiglia.

Ero a Napoli, impegnato negli studi superiori, quando si seppe della costituzione del Regno italico (1805 ) e, subito dopo, del regno d’Olanda. Così che l’Europa appariva una immensa sontuosa sala, approntata per il balletto dei sovrani.

La corte di Ferdinando IV ebbe un sussulto di tremarella. E fuggì. Non così la gente. L’atmosfera era ben diversa da quella del 1799, quando si respirava il brivido della rivoluzione, la sua rabbia e l’ansia di libertà.

Avevo 14 anni allora e stavo a Ponza. Pure qui la notizia della presa del governo da parte dei repubblicani diede fremito alla vita sonnacchiosa dell’isola. Si scosse dall’apatia del quotidiano la gente e scese in piazza. Sì, è vero, ad accendere le micce della protesta furono i militari, guidati da Luigi Verneau e dal padre Francesco.

Le nostre famiglie, quella dei Verneau e dei Bianchi, erano molto amiche. Francesco Verneau era stato comandante della guarnigione militare e mio padre Pasquale Bianchi era governatore dell’isola.

Ricordo il dissidio scoppiato fra le due famiglie in quel febbraio del 1799. I Verneau (padre e figlio) aderirono incondizionatamente alla Repubblica mentre mio padre volle tenersi fermamente lontano.

Di Luigi si poteva arguire che avesse avuto familiarità con i club giacobini nella sua permanenza di formazione a Napoli. Ma in quanto tenente alfiere non ci si attendeva una così aperta ribellione. Mio padre, ricordo, intimò a tutti di casa di non rivolgergli la parola, dopo l’affronto fatto alla casa reale. Soltanto mia madre si vedeva di nascosto con la signora Elisabetta Scognamiglio (moglie di Francesco e madre di Luigi Verneau).

Ricordo che non disdegnava di sederle accanto in chiesa durante le funzioni. E il giorno di San Biagio, il 3 febbraio, mia madre, che non era potuta andare alla funzione e dunque non aveva imbevuto l’ovatta nell’olio santo, mi mandò dalla signora Elisabetta a chiedere se per piacere le dava un po’ di quell’ovatta unta, per curare le tonsille e il mal di gola.

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[8 gennaio 1810: cosa accadde a Ponza? (1) – Continua]

 

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