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Álvaro Brechner: prigioni e libertàdi Lorenza Del Tosto . Del film “Una notte di 12 anni“ abbiamo già trattato sul sito, per aver assistito alla proiezione e alla successiva conferenza stampa. Lorenza in qualità di traduttrice, ha accompagnato il regista in tutti i suoi “giri” romani e qui cerca di approfondire il suo mondo e le motivazioni che lo hanno portato a quella realizzazione…
“La domanda del film è esistenziale: cosa ha permesso a questi uomini di mantenere acceso un lume di libertà di fronte alla barbarie? E di non impazzire privati come erano di stimoli sensoriali, senza luce, senza parlare, in celle, talvolta, della dimensione di un metro e mezzo”. Esempio ne è la radio in cui ci troviamo: Radio Onda Rossa, che sopravvive fedele ai suoi valori, in ambienti spartani, un divanetto rosso logoro, microfoni fissati con il cacciavite, e la passione, l’entusiasmo, i tempi lunghi delle interviste che ben si adattano ad Álvaro Brechner che, in radio, si dimentica dei video e dà risposte che sembra non debbano finire mai. Il film si basa sulla storia recente del suo paese: l’Uruguay che ha una forte tradizione democratica, con tanti italiani e tanti discendenti di italiani, sottolinea con un sorriso ironico, con istituzioni solide, il primo paese a dare il voto alle donne, una divisione centenaria tra Stato e Chiesa, un’educazione pubblica, laica e gratuita; un sistema penitenziario che funziona bene… eppure è arrivata la dittatura e questi uomini sono stati sottratti al sistema carcerario e sottoposti, come ostaggi, ad un trattamento speciale: “Invece di uccidervi vi faremo impazzire”. Ma Álvaro Brechner non si lascia intrappolare dal discorso politico, e subito torna al tema esistenziale: Allora gli occhi di Álvaro, invisibili in radio, si accendono di luce: “Pepe Mujica, quando ha visto il film, ha detto: la cosa più importante è quella frase che mi fate dire; nel momento in cui, finita la dittatura, è libero di andarsene, al sergente che continua a minacciarlo e a vessarlo, Mujica dice: le auguro il meglio. La cosa importante, per questi uomini, è stata guardare avanti; ci sono conti nella vita che nessuno ti può saldare, Pepe ha deciso di investire nel futuro senza aspettare di riscuotere i conti in sospeso”. Ma se gli chiedono altri dettagli – Come sono questi eroi con cui ha conversato per anni? Come hanno reagito alla visione del film? – lui si ammanta di riserbo: “Andare a rimuovere il passato è sempre doloroso”. C’è un’ intimità che non vuole tradire, di cui i video possono mostrare solo una minima parte, e una gratitudine per la generosità con cui gli hanno lasciato libertà assoluta: “Noi questi anni già li abbiamo vissuti” – gli hanno detto ridendo – “ora fate voi quello che vi serve”.
Il racconto continua fuori da Radio Onda Rossa, in hotel più lussuosi, in studi più ammobiliati, eppure Álvaro Brechner sembra, al pari dei suoi eroi, estraneo al decoro esterno, animato dal contatto con gli altri e da qualcosa che si porta dentro, uno spazio interno, quello stesso ridotto di libertà che ha permesso ai tre di sopravvivere, che nessuno può violare e forse nessuno davvero capire. Perché proviamo una strana impressione: il film è un’indagine esistenziale sulla resistenza umana, eppure è come se quei tre ci restassero ancora nascosti e misteriosi, e Álvaro Brechner con loro: quale convincimento profondo, quale esperienza umana li alimentava, quali sogni? Il “Pepe”, che è diventato presidente dell’Uruguay, continua ad essere un mistero, nonostante il whisky insieme e le lunghe conversazioni. “Penso che sia più un personaggio di fantascienza che di realtà: ha sei proiettili in corpo, detenuto quattro volte ed evaso due, dodici anni in carcere e poi presidente del suo paese, ha avuto mille vite, l’uomo che possiede tutto perché non ha bisogno di nulla, uno dei pochi oggi a parlare di temi che nessuno affronta: la grande domanda non è cosa ci rende più ricchi, ma cosa ci rende più felici? Lui, con l’incarico che ha ricoperto, ha offerto al mondo un modello sorprendente. E all’immaginazione, che è l’ultimo ridotto di libertà che nessuno ti può levare ma per non impazzire bisogna poter uscire da se stessi, per Pepe Mujica sono stati i libri, dopo nove anni una psichiatra è riuscita a fargli avere dei libri e allora ha cominciato a trovare un poco di pace, un ancoraggio concreto che lo ha liberato dalle voci. La giornata scorre, le ore si inseguono, e così le interviste e più un film è forte, più vive di vita propria e meno si indaga sulla natura del suo regista. Sappiamo le poche parole che si lascia sfuggire, in questa tournée infinita: “Al mio primo cane a quindici anni ho dato il nome di Brancaleone”; sappiamo che fuma, ed è felice del successo del film che forse non si aspettava: noi lo abbiamo già incontrato a Venezia, prima che il suo film esplodesse: se ne stavano lui e i tre attori, tutti, tranne Antonio de la Torre, timidissimi e come spauriti, attori meravigliosi, che hanno fatto un lavoro estremo, una discesa agli inferi, rabbiosi per la fame, spossati, con un senso di distacco dal mondo e dalla realtà. Anche lì a Venezia sembravano distaccati dal mondo, negli occhi ancora lo spavento, confinati in un angoletto spoglio di una grande stanza dove sfilavano divi splendidi e attrici mozzafiato, risate e dichiarazioni roboanti e nessuno aveva tempo per loro che, seduti su in disparte, umili, senza il vestito buono e con i capelli arruffati, sorridevano grati se qualche sparuto giornalista si avvicinava ad intervistarli; nei corridoi si diceva: gran bel film, ma nessun giornale aveva preventivato uno spazio da dedicargli. Che altro vediamo di lui? Álvaro Brechner si porta addosso i segni di un’America latina, pur vivendo ormai da anni in Spagna, che, con tutti i suoi orrori e i suoi disastri, conserva ancora per noi europei un ricordo degli anni ’70: una semplicità di gesti, una libertà di fumare, di vedersi a cena con gli amici e parlare, di guardare il mondo con curiosità, nella realtà oltre che nei video che arrivano sul cellulare, di fare citazioni dotte senza arroganza, come se Alessandro Magno, Adorno, Bob Dylan, Primo Levi o Conrad fossero amici suoi, compagni di bevute, a cui una sera è scappata una frase che lo ha colpito, e che ora gli mandano twits da angoli sperduti del mondo, che ha avuto coraggio sufficiente per conversare per anni con uomini che hanno rischiato di impazzire, e ascoltare storie piene di confusione, con il dubbio sempre di poterne estrarre un senso, con il timore forse che quelle parole disancorate e slegate gli restassero addosso. Ci sono brevi momenti in cui parla di loro, e sembra che parli di se stesso: “le cose che fai ti cambiano e dopo non sei più quello che eri. Uno crede che un film è il risultato di un regista, io direi piuttosto il contrario: un film cambia chi lo fa”. Non c’è stato tempo di chiedergli: come ha cominciato a fare film? La distanza dalla propria terra aiuta a raccontarla? Come ti sbarazzi della cultura che ti alimenta, perché non ti diventi un peso? Come della sceneggiatura di ferro che ogni giorno sul set veniva stracciata. “Improvvisavamo sempre, né io né gli attori sapevamo cosa sarebbe successo, con tutta l’umiltà del cinema volevo che anche noi vivessimo l’esperienza che loro avevano vissuto”. Perché ho fatto questo film? Non lo so, il cinema per me è esplorazione e scoperta dell’uomo. Mi piace andare alla ventura. E gli piace, abbiamo visto i suoi occhi illuminarsi mentre ne parlava, la complicità, quella sorta di fratellanza, una scintilla improvvisa che si accende tra due persone e rende possibili le imprese più folli: Don Chisciotte va avanti grazie alla presenza di Sancho Panza, una magia racchiusa in una scena di un film che ama: Lo spaventapasseri Gene Hackmann e Al Pacino, due vagabondi che si incrociano lungo una strada, vanno in direzioni opposte, uno chiede da accendere, l’altro attraversa la strada e gli offre l’ultimo cerino che gli è rimasto. Quel gesto basta perché tra i due si inneschi qualcosa, un riconoscersi, che li porterà a continuare l’avventura insieme. Come lo ha cambiato questo film? Come lo avrà reso più se stesso? Quale compagno di avventura avrà incontrato? Chissà. Il segreto che gli hanno rivelato i suoi eroi non è forse proprio questo? Come conservare un spazio interno inviolato, come reinventarsi di fronte agli assalti del mondo. 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