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L’home run di Frankie (3)

di Emilio Iodice (traduzione a cura di Alice Cutini Calisti)

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per la seconda parte con il .pdf del testo completo in inglese, leggi qui [1]

I suoi anni di esperienza al negozio gli avevano insegnato molto sulla natura umana, sul giusto e sullo sbagliato, sul sacrificio e sul servire gli altri. Cosa più importante, aveva imparato i suoi limiti e la sua visione del futuro con le sue ambizioni.
Un sogno era così importante per lui che risparmiava ogni nichelino, decino e penny delle sue mance per realizzarlo. Voleva un paio di “sneakers”.

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Sneakers (per gentile concessione di BF Goodrich)

Queste scarpe erano molto di moda a metà degli anni ’50 e divennero le calzature degli atleti. Tutti i compagni di classe di Frankie avevano delle sneakers. Lui non poteva chiedere ai suoi genitori di comprargliene un paio perché capiva quanto duramente lavorassero solo per guadagnarsi da vivere. Così risparmiò fino ad avere denaro abbastanza per vedere il suo desiderio diventare realtà.

Ricordava vividamente il giorno in cui comprò il suo primo paio. Frankie si recò al negozio di scarpe dietro l’angolo. Era lì da sempre. La stessa famiglia lo gestiva da venti anni. Avevano ogni tipo di scarpe, ma un paio spiccava tra le altre agli occhi del ragazzo. Per settimane Frankie era passato vicino al negozio e aveva letteralmente premuto il suo naso contro la vetrina di vetro, fissando un paio di sneakers nere e bianche. Ora era pronto a realizzare la sua fantasia.

Entrò nel negozio con in mano una busta di carta piena di monete. “Quanto costano le sneakers in vetrina?”, chiese. “7,99 più tasse”, rispose il negoziante. “Ho esattamente 8,00$”, disse Frankie. “Bastano?”, chiese. Frankie aveva contato cinque volte i suoi soldi. Sapeva precisamente quanto aveva. “Bene, con le tasse fanno 8,03 $”, disse il negoziante. L’uomo guardò il ragazzo e capì che aveva risparmiato duramente per questo paio di scarpe. “Ti darò le sneakers per 8,00 $”, disse. Frankie iniziò a contare velocemente. Gli ci vollero circa 15 minuti per contare tutti i suoi soldi. La sua busta era vuota ma era emozionato. Indossò le scarpe e iniziò a camminare per il negozio. “Sono perfette. Grazie signore”, esclamò. “Prego, Frankie”, disse mentre il ragazzo si precipitava fuori dal negozio. Aveva le sue vecchie scarpe di cuoio in una scatola sotto il braccio mentre sfrecciava per il quartiere.

A Frankie sembrava di volare, non solo di correre. Il marciapiedi sembrava sciogliersi. Le sneakers erano leggere e sembrava come se avessero messo sotto i suoi piedi delle molle che lo facevano balzare mentre sfrecciava lungo le strade verso il negozio. “Mamma, guarda”, esclamò mostrandole il suo nuovo paio di scarpe. Lucia era felice per suo figlio. Era un bravo ragazzo. Lavorava duramente, era un bravo studente ed era gentile, affettuoso e rispettoso. Si meritava un paio di sneakers.

Quello che mancava di più a Frankie era l’opportunità di giocare con altri bambini. Suo padre aveva paura che potesse immischiarsi con qualcuna delle gang del quartiere. Di conseguenza, gli era proibito socializzare con altri bambini della sua area. Lucia, invece, faceva finta di non vedere. Conosceva i genitori della maggior parte dei bambini e la maggior parte dei ragazzi veniva da famiglie rispettabili. Amava suo figlio, sapeva che doveva socializzare per crescere e si fidava del suo buon giudizio.

[3]

Giocatori di strada di stickball
(per gentile concessione di New York Historical Society)

Dietro l’angolo del negozio c’era un gruppo di ragazzi del vicinato che giocava a stickball 1 [4] ogni giorno dopo la scuola e nei fine settimana. Era un gioco semplice e allo stesso tempo sofisticato, che richiedeva precisione, velocità, pratica e determinazione. Era uno sport per bambini poveri, si giocava con una semplice palla di gomma e delle mazze fatte con dei vecchi manici di scopa. Era, sotto molti aspetti, il gioco della vita al quale ogni genere di persona prendeva parte e dove ciascuno imparava a conoscersi sulla base del proprio rendimento in ogni sorta di condizioni. Il carattere veniva formato e definito sull’asfalto di New York.

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Giocare a stickball a New York, 1956
(per 
gentile concessione di New York Historical Society)

Ai bambini non era quasi mai permesso giocare a stickball nei parchi giochi e nei cortili delle scuole. In genere, gli unici posti a disposizione erano la strada, un campo vuoto o ovunque riuscissero a trovare spazio. In alcune zone di New York, come il North Bronx, era proibito giocare a stickball perché era pericoloso per pedoni e automobilisti e perché le mazze erano considerate armi letali. Venivano spesso confiscate o distrutte dalla polizia. Di conseguenza, i bambini facevano sempre attenzione alle auto di pattuglia o agli ufficiali in divisa, visti come potenziali nemici.

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Una mazza da Stickball e una palla Spalding
(per gentile concessione di A.G. Spalding Company and Pinterest)

Le basi per giocare a stickball erano avere una solida mazza di legno e una palla “Spalding”. Nessuno aveva molto denaro, quindi i bastoni generalmente venivano da un vecchio mocio o una scopa. Erano sottili e leggeri. La palla non era economica, in particolare per dei bambini con pochi soldi. Nel 1956, una Spalding nuova costava 0,99 $, a volte perfino 1,50 $. Era costosa, quando una famiglia come quella di Frankie guadagnava meno di 3.000 $ in una buona annata. Le palle erano preziose ed era una tragedia quando venivano smarrite

Quando la scuola finiva, a fine giugno, i bambini si riversavano nelle strade della Grande Mela per giocare a stickball. Iniziavano il mattino presto e continuavano fino al tramonto. Esistevano diverse forme del gioco. Uno era con un lanciatore e un ricevitore simile al baseball. Lanciava la palla e il battitore aveva tre strike per colpirla. Un’altra forma utilizzava un muro invece di un ricevitore.

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Stickball a strike unico
(per gentile concessione di New York Historical Society)

Forse il tipo di stickball più difficile era quello in cui il battitore faceva rimbalzare la palla o la lanciava in aria e poi faceva uno swing. Aveva a disposizione un solo strike, e non tre. Si giocava così nella comunità di Frankie. Era un gioco duro, spietato, con solo un’unica e rara opportunità di successo.

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Yankee Stadium, Bronx, New York
(per gentile concessione di New York Daily News)

Nella City, la misura di un home run era generalmente la distanza di tre tombini. Erano circa 90 metri. Nella zona di Frankie, un home run si misurava lanciando la palla oltre la recinzione che delimitava la strada più lontana. Era quasi a 120 metri di distanza. Nello Yankee Stadium, la distanza tra la casa base e il centrocampo era di circa 125 metri. Anche per un battitore forte, un home run era un’impresa quasi impossibile nel feroce gioco dello stickball nelle strade del quartiere di Frankie.

 

Note

1 [9]  Sport derivato dal baseball [N.d.T.]

  • “Frankie’s Home Run” è tratto dall’ultimo libro di Emilio Iodice: “Across Time and Space: Chronicles of Courage, Family, Hope, Love, Persistence and Leadership”.

[L’home run di Frankie (3) – Continua]