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L’home run di Frankie (1)

di Emilio Iodice (traduzione a cura di Alice Cutini Calisti)

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Le famiglie di immigrati sono tutte diverse e allo stesso tempo tutte simili. Affrontano la difficoltà dell’integrazione in una nuova cultura pur restando aggrappati ai valori che hanno lasciato dietro di sé. Questo era il caso di un bambino nato nel South Bronx nel 1946. Sua madre scrisse Francesco sul suo certificato di nascita. A casa sua, che era un piccolo pezzo di Italia nel Nuovo Mondo, aveva un nome ma quando metteva piede fuori dalla porta, nel mondo degli americani, ne aveva un altro. Nell’enclave di New York City di persone provenienti dall’isola dalla quale i suoi genitori erano immigrati, era noto come Francesco; negli Stati Uniti era spesso chiamato “Frankie”.

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Little Italy nel Bronx, 1946
(per gentile concessione di Bronx Historical Society)

I suoi genitori provenivano da un’incantevole roccia nel Mediterraneo. Ponza era una terra magica. La sua bellezza incomparabile, l’eleganza selvatica di colori vulcanici e l’acqua turchese la rendevano una Mecca, dove i suoi figli e figlie volevano tornare anche dopo essere andati a vivere in quella terra di latte e miele che era l’America. Molti non tornarono mai, i loro figli divennero nativi di questa nuova nazione e si allontanarono dalle tradizioni dell’Italia e dell’isola. Era triste, eppure un naturale fenomeno di sopravvivenza.

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L’isola di Ponza negli anni ’50

Frankie nacque in un ospedale che prendeva il nome dal santo patrono d’Italia. Per sua madre, Lucia, era di buon auspicio.
Il St. Francis Hospital era il luogo dove venivano curate molte delle persone provenienti da Ponza e dove nascevano molti dei loro bambini. Francesco era anche il nome dello zio di Lucia, zio che lei adorava. L’aveva battezzata e unita in matrimonio, ed era il suo mentore e il suo educatore. Era il leggendario parroco della chiesa dell’Assunzione di Le Forna a Ponza. Don Francesco era un prete brillante, intelligente e appassionato che servì due generazioni di famiglie a Ponza.

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Il St. Francis Hospital, in East 142nd Street e St. Ann’s Avenue
(per 
gentile concessione di Bronx Historical Society)

Lucia aveva perso sei bambini. Li aveva tenuti tutti in grembo per nove mesi ma, alla nascita, erano senza vita. Era risoluta, questo bambino sarebbe vissuto, a qualunque costo. Il suo dottore sarebbe ricorso al parto cesareo, cosa molto rara a quei tempi. Le donne rischiavano un’infezione e di morire per la perdita di sangue. Fecero firmare un modulo speciale a Lucia. La costringevano a fare una scelta fatale: se ci fossero state delle complicazioni, il dottore chi avrebbe dovuto salvare? Lei o il suo bambino? Lucia fu chiara con il dottore. Disse: “Se deve scegliere fra me e il mio bambino, salvi lui e lasci morire me”.

Francesco nacque il 13 aprile, il compleanno di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti e creatore della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Nel giorno della sua nascita la sua madrina, Angelina, disse: “Questo bambino arriverà alla Casa Bianca un giorno”. Frankie era un bambino bello e sano. Aveva i capelli lunghi, biondi e ricci e una personalità gradevole. Sorrideva ed era giocoso, intelligente e obbediente.

La famiglia di Frankie non era una famiglia normale. Suo padre, Silverio, non aveva un lavoro a tempo pieno. Ne aveva due. Uno consisteva nel gestire la sua impresa: un piccolo alimentari nel North Bronx.

Quando il padre di Frankie non era in negozio, era al lungomare, a caricare e scaricare navi. Era un lavoro duro e pericoloso, ma ben pagato. Le navi negli anni ’50 trasportavano ancora casse, balle, frutta e verdure e tonnellate di valigie sfuse da maneggiare. C’erano pochi container.

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Scaricatori di porto su una nave, Silverio è in alto a destra con il cappello a falde

Gli scaricatori di porto, come Silverio, sollevavano e spostavano il carico dalla nave sul molo e lo caricavano su dei camion che distribuivano la merce in tutto il continente. Sul lungomare, lesioni e morti erano frequenti. Era un posto selvaggio e rischioso dove lavorare. Silverio era forte e resistente. Doveva esserlo per sopravvivere sul lungomare di New York.

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Scaricatori di porto che trasportano banane
(per gentile concessione di New York Historical Society)

Silverio alle 5 del mattino si trovava già al molo. A volte lavorava per 12 estenuanti ore. Era così esausto da sentirsi come se avessero drenato tutto il sangue dal suo corpo. Anche così, guidava attraverso tutta New York per recarsi al negozio e restarci fino all’ora di chiusura. Diverse volte a settimana si svegliava alle 2 del mattino, viaggiava fino al Bronx Terminal Market, comprava diverse casse di frutta, verdure e generi alimentari e li portava al negozio. Dopo aver scaricato tutto, tornava al Cantiere Navale di Brooklyn o ai moli lungo il North River. Alle 7 del mattino il negozio veniva aperto dalla moglie e dai ragazzi di Silverio.

La madre di Frankie, Lucia, lavorava. Suo fratello, Ralph, lavorava. Anche Frankie stesso lavorava. Iniziò ad andare al negozio all’età di 5 anni. All’epoca vivevano a Little Ponza. Nei giorni in cui lui e suo fratello non andavano a scuola, prendevano la metropolitana dal South Bronx al North Bronx dove si trovava il negozio. All’età di 8 anni, Frankie era un esperto che sapeva come vendere ai clienti, andare con suo padre al mercato a caricare il loro furgone con la fornitura, riempire gli scaffali, tenere il negozio pulito e consegnare la spesa. A 10 anni la sua famiglia traslocò di fronte al negozio. Ora che quel vecchio garage era stato convertito in un posto dove vendere merce, divenne il centro delle loro vite.

[L’home run di Frankie (1)Continua]

Nota (da Wikipedia, a cura della Redazione)
Il fuoricampo (home run in lingua inglese), nel baseball, è una battuta valida grazie alla quale il battitore può girare tutte le basi, finendo a casa base e realizzando in tal modo un punto per la propria squadra, oltre a “portare a casa” tutti i compagni che eventualmente si fossero trovati già in base.