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L’altra faccia del Natale

segnalato da Sandro Russo

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La canzone di John Lennon proposta nell’Epicrisi odierna di Giuseppe così come il testo che l’accompagna (leggi qui [1]) denotano, pur nelle modalità ‘ermetiche’ del nostro amico, il suo disagio a vivere il Natale “così com’è adesso”.
Non è “un’operazione nostalgia”; siamo pienamente aderenti alla realtà, solo che non ci piace… “not in my name”; non è il nostro Natale.
Uno sguardo insieme ironico e (per quanto possibile) leggero su queste sensazioni, l’ho ritrovato in uno scritto di Stefano Massini su la Repubblica dell’altro ieri, che qui propongo.
S. R.

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La storia
Buon Natale non buonista
Un decalogo per festeggiare senza rischi nell’era che ha messo al bando i sorrisi forzati e i buoni sentimenti

di Stefano Massini

Volete aggirare il rischio di trasformare il pranzo di Natale in una polveriera, schivando il fuoco amico di zie e cugine indiavolate nel darvi di spregevole buonista? Perfetto. Seguono le istruzioni per festeggiare questo primo Natale nell’era che ha messo al bando i buoni sentimenti.
Ricapitoliamo: c’era una volta un tempo lontano, in cui dicembre era il trionfo della finta tolleranza, dei sorrisi forzati, dell’ostinato accanimento nel farsi scongelare il cuore con endovene di “Christmas Carol” e “La vita è meravigliosa”.
Stavolta però, gente, è tutta un’altra musica, per cui – prima regola – sentitevi esentati da ogni farsa sentimentale, perché il minimo vagito di cristiana solidarietà potrebbe valervi la qualifica immediata di bolscevico filo-marxista.
Seconda regola: prendere esempio dai Trump, dagli Orban, dai Salvini, dai Bolsonaro, smascherando qualsiasi novella vetero-buonista con il massimo del cinismo. Esempio: ipotizziamo che un nonno nostalgico intoni la manfrina di “Babbo Natale che premia i bravi bambini coi doni assemblati dagli elfi in Lapponia”. In questo caso non vi resta che ingrigirvi in volto, inarcare il ciglio, e inveire contro il criterio marcio con cui per anni si è falsata la graduatoria degli aventi diritto, aggiungendo che gli elfi sono razza diversa (probabilmente clandestina), e i finlandesi fra i più bastardi sacerdoti del rigore europeista.
Terza regola: tenetevi lontani dal terreno minato di Betlemme e della famosa stalla, perché lì rischiate seriamente il linciaggio dai parenti ultras della neo-destra: all’occorrenza potrebbe esservi perfino chiesto di annuire a improvvide correzioni del dettato evangelico, per cui vi toccherà convenire che la Giudea non era in Medio Oriente, i re Magi non erano di pelle scura e il Salvatore non nacque per tutte le genti, ma solo per quelle col crisma del Sacro Romano Impero.
Quarta regola, prettamente alimentare: in tempi di agguerrito sovranismo, guai a mostrarsi golosi di pietanze non autoctone (datteri, ananas, cioccolati ecuadoregni, dolcetti nordici alla cannella, ecc.), per cui — qualora vi fossero offerti — arricciate il naso con disappunto, decantando la bontà genuina del made-in-Italy.
Farete eccezione (ed è il punto n. 5) solo per l’insalata russa, che viceversa elogerete con slancio filo-putiniano, incassando il plauso dei convitati.
Sesta regola, in tema di decorazioni: se vi sorgesse la malaugurata idea di appendere fuori dal balcone un pupazzo di Santa Klaus che si arrampica, ricordate che il decreto Sicurezza è entrato ormai nel comune sentire, e potreste ritrovarvi con la vicina armata di kalashnikov che apre il fuoco sul presunto ladro. Va da sé che il medesimo rischio si applica a sortite carnevalesche come “mi vesto da Befana”, “ho noleggiato un costume da Babbo Natale”, e qualunque altro camuffamento che nella migliore delle ipotesi potrà condurvi dritti in Questura.
Settima regola, in materia musicale: sono da escludere gli inni natalizi in chiave gospel, nonché i canti tradizionali di Ella Fitzgerald o Louis Armstrong, perché la generalizzazione dilagante vi vorrà subito difensori dell’immigrazione e delle ONG. L’ottava regola: non scordate – mai e poi mai – che il Natale 2018 non applica più i protocolli del politically correct, e di conseguenza nessuno vi simulerà riconoscenza per regalucci da mercatino cinese o palesemente riciclati dall’anno prima. Potreste sentirvi dire in faccia frasi come “questa robaccia mi fa schifo”, con improperi che farebbero incetta di like sui profili facebook dei parenti fino al quarto grado.
Nona regola: non vi passi in mente — neppure all’ennesimo spumante, strafatti di panettone — di dichiararvi simpatizzanti di sinistra, perché potrebbe esservi letale non tanto per le reazioni dei filogovernativi, quanto per l’immediata guerriglia fra hezbollah che opporrebbe cognati, nuore e cugini delle contrapposte anime Pd.
Infine l’ultima e più importante regola del nostro decalogo: cancellate il motto “per Natale siamo tutti un po’ più buoni”, o potreste trovarvi al Pronto Soccorso con un occhio nero.
Poi fate voi. Io per parte mia ve l’ho detto.

[Da la Repubblica del 21 dic. 2018; pag. 42]

Stefano Massini, 42 anni, è tra gli autori di teatro italiano più rappresentati al mondo. Ha scritto “L’interpretatore dei sogni” (Mondadori, 2017) e ”55 giorni. L’Italia senza Moro” (Il Mulino, 2018)

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