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Lettera a Irena Sendler

di Gabriella Nardacci

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Cara Irena
qualche notte fa ho fatto un sogno strano.
Ho sognato di aver trovato un bimbo solo e indifeso che cercavo di salvare dalla cattiveria di alcune persone sconosciute. Escogitavo il momento giusto e una possibile strategia per riuscire in questo obiettivo. Volevo restituirlo alla madre che, ero certa, lo stava cercando da qualche parte…
Tralascio il resto del sogno perché non ricordo bene se l’abbia portato a buon fine. Ricordo che non trovavo nessuno che potesse aiutarmi ed era assente anche la polizia e qui credo di essermi svegliata perché, probabilmente, ero già rientrata nella realtà!
Mi sei tornata in mente tu, eroina nazionale polacca, riconosciuta nei Giusti tra le Nazioni per aver salvato 2.500 bambini dal ghetto di Varsavia.

Mia madre dice che quando una radice è buona viene bene anche l’albero. Certamente l’esempio di tuo padre ha lavorato nel tuo cuore. È stato un uomo da prendere come esempio per la passione con la quale ha svolto il suo compito di medico morendo di tifo per aver assistito dei malati di tifo che altri colleghi medici non avevano voluto curare.
Per riconoscenza all’opera di tuo padre, i responsabili della Comunità ebraica di Varsavia del tempo, hanno finanziato i tuoi studi; così hai potuto frequentare l’università, anche se ti ha sospesa tre anni per esserti opposta alla ghettizzazione di alcuni studenti ebrei! Già allora era evidente la tua propensione alla salvezza dei più deboli e di certo non ti faceva paura la vita in quei tempi brutali: eri giovane e piena di ideali.
Posso solo immaginare i tumulti del tuo cuore e la tua sete di giustizia davanti a tutti quei bimbi impauriti, magri e persi dentro la cattiveria dei grandi che si divertivano a giocare alla guerra!

Sai cara… mia madre che ha 91 anni parlando di quella guerra, la chiama ‘ la mia guerra’ e io credo sia così per tutti quelli che l’hanno vissuta. Ogni guerra è stata la guerra di ciascun individuo e non per tutti è finita allo stesso modo, purtroppo. Per questo la memoria dell’orrore dovrebbe essere ricordata non solo nelle feste nazionali…

Sono stata un’insegnante e credo di aver svolto il mio lavoro con amore e dedizione. Spesso, nei momenti difficili di attentati, terremoti e altro, mi son sempre chiesta cosa avessi scelto qualora mi avessero fatto optare tra due soluzioni: salvare me stessa e correre dalla famiglia lasciando i bambini oppure restare con i miei alunni e rischiare?
Difficile vero? Eppure vengono questi pensieri. Non ho mai avuto dubbi su cosa avrei fatto: sarei certamente rimasta con i miei alunni mentre altri sarebbero corsi a casa; cosa altrettanto comprensibile. Non so dire se giusto. Del resto qui, qualcuno ha lasciato la sua nave con i passeggeri per salvarsi…

Ma tu non ti sei arresa e ti è bastato un impiego nei servizi sociali per rendere conto al tuo buon cuore! Rimango sempre interdetta quando mi accade di vedere come, alcuni fatti, si rendano straordinari perché girano in lungo e in largo per poi canalizzarsi in un’unica via, simili se non identici.

Tuo padre aveva dato la sua vita per salvare i malati di tifo e il tifo è ritornato in qualche modo nella tua vita per darti l’opportunità di una missione che avrebbe dato memoria della tua persona al mondo intero…
Ti è stato dato il permesso di entrare nel ghetto per vedere se c’erano casi di tifo perché i tedeschi temevano che un’epidemia potesse diffondere  anche fuori di là. Tu sei entrata e lì ti sei resa conto di quanti bambini c’erano… che speravano in te perché di sicuro hanno riconosciuto il tuo cuore pieno di amore. Immagino sia scattato, nella tua mente, il desiderio di fare qualcosa per loro! Hai pensato in grande. Non un bambino, ma 2500!

Sei riuscita a procurarti 3000 passaporti falsi con nomi cristiani così che potessero vivere tranquilli nelle famiglie e nelle comunità cristiane e nel frattempo sei riuscita anche ad addestrare il tuo cane ad abbaiare alla vista dei tedeschi per nascondere il pianto dei bimbi. Sei riuscita a farteli affidare promettendo ai genitori che un giorno li avrebbero potuti riprendere con loro.
E ti immagino con il cuore a mille quando li hai nascosti dentro i sacchi di iuta e nelle casse dei furgoni per portarli fuori da quel luogo di morte!
Sei riuscita a portarne fuori 2500! Dopo averli salvati, hai nascosto gli elenchi dei nomi veri con accanto quelli dei nomi falsi, dentro bottiglie e vasetti di marmellata, seppellendo tutto sotto un albero del tuo giardino. Grande Donna!

Hai taciuto anche quando ti hanno presa fratturandoti gambe e braccia, rendendoti invalida per tutta la vita. Forse la forza del tuo pensiero per quei bambini salvati ti ha resa potente?

Un’azione di così ampia portata benefica, può renderti anestetizzata al dolore? E quando ti hanno condannata a morte, a cosa hai pensato? Forse a quei barattoli sepolti sotto al tuo albero e alla promessa fatta ai genitori di quei bambini?
Immagino a come ti si sia alleggerito il cuore quando quell’organizzazione cristiana ti ha salvata dalla morte e immagino il tuo vivere in anonimato da quel momento in poi, quando, invece, avresti avuto voglia di correre per riprenderti quei barattoli sotto l’albero!

Hai dovuto aspettare la fine della guerra per recuperare quel prezioso bottino.
Insieme a un Comitato Ebraico siete riusciti a rintracciarne 2000 di quelle famiglie che finalmente hanno potuto riabbracciare i loro figli; molte famiglie erano state sterminate.

Te ne sei andata senza far rumore e senza che qualcuno avesse potuto darti quel valore che avresti meritato. Ho letto che il Papa Giovanni Paolo II nella lettera del 2003, ti ha elogiata per quello che hai fatto e in seguito a ciò ti fu conferita la più alta decorazione civile in Polonia.

Tu hai semplicemente risposto: “Avrei potuto fare di più. Questo rimpianto non mi lascia mai. Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra e non un titolo di gloria”.
Io avrei chiesto anche la tua santità, in verità.

Tempo fa ho visto su Voyager l’intervista a Bieta, la bambina più piccola salvata dal ghetto. Emozioni allo stato puro!

Il tuo libro “Life in a Yar” non è facile da trovare e la tua nomination al Nobel per la pace non è stato accettata perché le azioni che meritano di essere premiate devono risalire a non più di due anni precedenti alla richiesta (certe cose non le capisco..!).

Se non fossero stati quegli studenti del Kansas a scoprire la tua storia, nel 1999, saresti rimasta senza memoria alcuna!
Mi dispiace che a causa della tua non condivisione della politica comunista polacca, pur essendo partigiana, la tua grandezza sia stata oscurata per circa sessanta anni, ma anche qui rimango basita perché alcuni uomini rimangono dentro certezze sbagliate anche quando i fatti dimostrano altro, pur nella condivisione degli stessi ideali (beati coloro che vivono nel dubbio!).

Il mio sogno mi ha portato a te, cara Irena e voglio ringraziarti perché fra le numerose testimonianze che abitano la stanza della mia memoria, ci sei anche tu e sei un regalo prestigioso perché in questo presente che si veste sempre più di passato che di futuro, io, come hai detto tu, penso sia importante: “…lottare per ciò che è buono, perché io credo che il buono prevarrà. Finché vivrò la cosa più importante è la bontà”.

In uno spettacolo teatrale visto qualche giorno fa, la follia domanda: “E se invece quello che viviamo fosse un sogno e ci svegliassimo nella vera e bella realtà?”.

Spero sempre possa esserci un paese straordinario dove vivi anche tu e dove qualcuno possa recapitarti questa lettera umile ma molto sentita.

Gabriella Nardacci

Da Wikipedia
Irena Sendler, da nubile Irena Krzyżanowska (Varsavia 1910 – 2008), è stata un’infermiera e assistente sociale polacca, che collaborò con la Resistenza nella Polonia occupata durante la Seconda guerra mondiale.

Irena Sendler da giovane infermiera e, sotto, nel 2005

 

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