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Il cinema, visto di lato. “Non ci resta che vincere”

di Lorenza Del Tosto

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Lorenza, amica di Ponza e nostra – vedi Del Tosto nell’indice per Autori -, fa un lavoro molto interessante: è traduttrice (dall’inglese e dallo spagnolo) e spesso si trova a fianco di registi e attori famosi che presentano i loro film; questa sua attività spesso la porta “per Festival” (Cannes  e Venezia, tanto per dirne due) e quando può, racconta le sue esperienze agli amici. Come stavolta per un film che sta per uscire in Italia (il prossimo 6 dicembre).
La Redazione

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Un sole ottobrino splende sulla Casa del Cinema, a Villa Borghese, dove sta per iniziare la proiezione di Non ci resta che vincere, (titolo originale: Campeones) commedia scelta per rappresentare la Spagna agli Oscar, e un gruppo di ragazzini si precipita in sala: oggi le scuole sono chiuse per il referendum romano e saranno loro ad incontrare il regista e l’attrice che, due piani più sotto, si concedono un caffè prima delle interviste: da molto tempo ormai viaggiano dietro questo loro film che ha spopolato in America Latina, in Asia e in Europa e la cui storia è presto detta: l’allenatore di un’importante squadra di basket, a causa di guida in stato di ebbrezza, viene condannato dal giudice a eseguire lavori socialmente utili: dovrà allenare, per tre mesi, una squadra di atleti con disabilità intellettive.
Il lavoro imprevisto, e all’inizio tanto denigrato, lo porterà a cambiare il suo sguardo sul mondo.

Attrice e regista, dicevamo, prendono un caffè al bar.
Lei, Athenea Mata, nel film è Sonia la compagna dell’allenatore, ha lunghi e morbidi capelli castani, freschi di parrucchiere che le ricadono sulle spalle, un tubino bordeaux, un giacchino attillato di pelle nera, occhi castani luminosi e un sorriso sbarazzino da fata gentile.
Lui, Javier Fesser, è considerato uno dei grandi cineasti spagnoli del momento: uno sguardo speciale il suo, si direbbe umanistico, ma di lui, in Italia, è arrivato solo un film di animazione mal distribuito e subito scomparso, ha un look da ingegnere: jeans, giacca e occhiali a squadrargli il viso sui capelli sale e pepe, un ingegnere che scrive, gira e monta i suoi film e si avventura in paesi lontani e in formati insoliti, come i medio-metraggi, ad esempio, che permettono di catturare il mondo e aprire gli occhi della gente.

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Il regista e l’attrice del film con (al centro) uno dei ragazzi della squadra italiana degli atleti paraolimpici

Si dice che in Spagna, dove il film è nelle sale da aprile e l’affluenza, da allora, è scesa solo di poco, le persone escono dalla sala felici. E la felicità, una sorta di gioia luminosa, sembra accompagnare anche loro, oggi, qui: sono appena tornati da Los Angeles dove hanno presentato Non ci resta che vincere agli Accademici a cui spetta la selezione dei cinque film che andranno alla notte degli Oscar e poi lui, Javier, andrà nelle Filippine per un suo prossimo progetto.

Le ore a Roma sono poche “vengo sempre, di corsa, senza mai tempo di vedere niente” perché il tempo serve a cercare altro, a portare magari la vita nel cuore del nulla, come con il FiSahara, il Festival Internazionale del Cinema nel Sahara, di cui è uno dei fondatori: l’unico Festival in un campo profughi “Non c’è nulla, assolutamente nulla li, al confine tra l’Algeria e il Sahara Occidentale” spiega con trasporto “ma almeno una volta l’anno hanno l’occasione di avere un contatto con il mondo”.

Se qualcuno fosse disposto ad ascoltarlo, lui racconterebbe tutta la storia del popolo Saharawi ma i giornalisti, pochi, hanno il tempo contato. Così, regista e attrice, si siedono sul set delle interviste: vivaci, sorridenti, una corrente di leggerezza tra loro, il regista ingegnere dà risposte puntuali, affinate nel tempo. “Poteva essere una difficoltà , lavorare con attori non professionisti, e invece si è trasformata in un vantaggio: i dieci meravigliosi interpreti, con disabilità, hanno portato sul set una carica incredibile di vitalità e di ottimismo, una sorta di magia, ho imparato molto da loro e dalla generosità con cui lasciano che siano gli altri a brillare. E’ stato il mio film più facile, girato in poche settimane, con un budget limitato: è incredibile quello che le persone sono in grado di fare quando sentono che ti fidi di loro.”

Ma qual è il segreto del successo? gli chiedono, perché il film ha tanta presa sulla gente?. “Perché è una boccata di ossigeno nel cinismo e nella competizione imperante, un modo di mettere da parte gli ego, l’Io, l’Io e ritrovare il piacere del gruppo. Perché è un sollievo accorgersi che la paura è la più grande disabilità di cui tutti soffriamo, ed è dovuta all’ignoranza e ai pregiudizi. C’è una scena che mi sembra importante: quella dove l’allenatore incontra la squadra per la prima volta e c’è un lungo silenzio durante il quale lui giudica ogni ragazzo per come è vestito, per la forma fisica e l’ aspetto, i ragazzi invece non lo giudicano, sono lì e aspettano di vedere cosa fa. Il bello di questi ragazzi è che non ti giudicano per la tua apparenza, a loro non importa se sei alto o magro, brutto o bello, ma per quello che fai in quel momento. Sono persone in grado di dare un’energia enorme, dovevano recitare se stessi e per un attore non è per niente facile…”
E’ diretto e veloce Javier Fesser, conosce i tempi delle risposte e le sintesi esatte, con ampi squarci di ironia, e accanto a lui Athenea Mata lentamente si libera del riserbo e lascia che la sua gaiezza si riversi tutto attorno.

Una perfetta sconosciuta in Italia: in realtà è attrice, drammaturga, insegnante di teatro e… ingegnere agronomo. Guarda tu. Dunque è lei l’ingegnere, mai fidarsi delle apparenze… il film ci aveva avvisato. E’ incuriosita dalle domande degli italiani, “che domande profonde e dirette fanno gli italiani, i nordici non se lo sognerebbero mai.”

Il suo personaggio era esiguo in sceneggiatura, ma insieme a Javier hanno lavorato per darle spessore, perché possa parlare di cose che le donne hanno bisogno di dire: è la compagna di un uomo che si finge pieno di sicurezze ma che, in realtà, è molto solo, e l’occasione che il giudice gli offre, l’apparente punizione, lo mette a contatto con persone che, a differenza di lui, non si nascondono dietro una maschera. Sonia ama il suo compagno, ma vuole avere un figlio e se lui non vorrà seguirla su questa strada lo lascerà, perché è bello che, al cinema, si vedano donne che amano, ma che sanno anche dire di no.

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Sono tutte belle le donne del film: la madre del protagonista che vuole godersi la sua nuova giovinezza, il giudice e Collantes, l’unica atleta donna della squadra, sempre pronta a divertirsi e giocare.

Athenea Mata, come i dieci ragazzi protagonisti del film, offre uno sguardo diverso sulle cose. Così femminile nel suo tubino, nei suoi capelli freschi di parrucchiere ed insieme così poco seduttiva. Ci strizza l’occhio quando si accorge di aver parlato troppo in fretta e si accalora nel raccontare come sia stato bello lavorare sul set con i ragazzi e non sentire, per una volta, il peso dell’Ego. “Gli attori in genere nelle pause si chiudono nel camper a preparare le nuove battute, invece loro restavano con me, mi sostenevano, mi appoggiavano sempre pieni di amore… dal punto di vista professionale, è stato tornare alle origini: guardarsi negli occhi, comunicazione istantanea e sincerità…E quando poi sono andata a vedere il film con i miei figli è stato bellissimo perché in sala c’erano le madri: sapevamo che sarebbero venute armate e con gli artigli perché subiscono tante umiliazioni in una società che ha paura del diverso, ma dopo erano felici, felici anche che si ridesse e ci fosse ironia e tenerezza”.

Più tardi, alla conferenza stampa tra i pochi giornalisti, ci sono i campioni italiani dei Giochi Paraolimpici e i ragazzi delle scuole che hanno applaudito a lungo alla fine della proiezione e il regista ingegnere racconta che il film non si basa su un fatto di cronaca specifico, ma sulle esperienze, i comportamenti e le caratteristiche reali dei dieci protagonisti selezionati dopo un casting di 600 persone, e di ognuna di quelle 600 si è imbevuto il film. “Dopo il casting abbiamo riscritto la sceneggiatura, io e lo sceneggiatore, perché questo è il mio primo film che non ho scritto io, per metterci dentro tutto il mondo che avevamo conosciuto e scoperto, è stato un apprendistato enorme anche in termini di flessibilità”.
Ha la voce sicura, i modi ironici e veloci: “Lo sport per questi ragazzi è un modo per crescere e fare nuove amicizie, per confrontarsi e condividere, uno sport diverso da quello a cui ora siamo abituati con campioni che guadagnano cifre assurde e ragazzini aizzati dai genitori a tenersi su quei livelli, un argento per loro va bene ugualmente…”
Allora i campioni italiani paraolimpici, seduti in prima fila, ridono, contenti del grande elogio, però ad essere sinceri, lo interrompono, loro all’oro ci tengono. Eccome!
E, più tardi, non perderanno occasione per andargli vicino e ricordargli con un sorriso: “Guarda che a me l’oro piace!”.

Javier Fesser, che ha fatto lezioni di flessibilità, ride: “Va bene, va bene, ragazzi, non prendetela tanto sul serio ogni cosa” e Amathea sorride rannicchiata nella sua poltrona e si gode la scena, parla un poco di italiano e un magnifico inglese per aver studiato teatro negli Stati Uniti e non si cruccia se nessuno le chiede dei suoi prossimi progetti, è una domanda che ci sta sempre: al regista per reale curiosità e all’attore magari per farlo contento, per fargli dire qualcosa, ma Athenea Mata chi la conosce in Italia? A chi importa cosa farà?
Lo star system ha le sue regole ferree che lasciano fuori anche i progetti futuri più degni di nota, ma a lei non sembra importare, la fata sbarazzina e il finto ingegnere hanno creato un film campione d’incassi e i loro progetti futuri riguardano la gioia di essere qui, di sfuggita, a Roma tra pochi giornalisti e tanti ragazzi delle scuole che, all’inizio, esitano a fare domande ma poi si scaldano e non smetterebbero più ed è questo il pubblico a cui vogliono arrivare, un pubblico ancora in grado di pensare che poi si riversa giù dalla platea e li circonda per gli autografi, che l’ingegnere firma veloce tra un’intervista e l’altra mentre Athenea scrive divertita frasi piene di luce e racconta del calore che i ragazzi le hanno trasmesso e di certi episodi che l’hanno colpita. Quando ad esempio, uno dei ragazzi, a cui hanno chiesto se era felice durante le riprese, ha risposto con grande saggezza: “eravamo contenti così potevamo essere tutti contenti”, o racconta della tenerezza di Collante che, quando ha scoperto che in una scena avrebbe usato gli sci, si è chiesta “e dove li trovo io adesso gli sci?” nella sua ingenuità non immaginava che sarebbe stata la produzione a procurare ogni cosa. “Quando stai con loro altre cose diventano importanti: sanno godere della vita e di ogni istante. In genere ai Festival c’è sempre tanta tensione, sono tutti un po’ tirati, invece andare con loro alla Festival di San Sebastian è stata una grande festa, avevano solo voglia di divertirsi”.  

I suoi occhi si sgranano nel ricordo di tutte le persone che hanno incontrato e li hanno ringraziati per il film: come la ragazzina autistica che non poteva controllare il suo corpo ma aveva una mente desiderosa di esprimersi e sullo schermo del tablet ha scritto: “Grazie per non averci fatto vincere perché noi spesso non vinciamo.”

Ora, finiti gli autografi e le interviste, anche a pranzo resta l’allegria nell’aria: questa coda di promozione del film, che in Italia uscirà il 6 dicembre, arriva come un bel dono del cielo: un piccolo squarcio di Roma e di cibo squisito.
Javier Fosser, che fa bei film, tiene anche bene i suoi conti: numero di spettatori e cosa fare perché crescano, parla del remake di Perfetti Sconosciuti che in Spagna ha incassato più dell’originale italiano e sembra sapere come va il mercato, cosa vende e cosa porta la gente nelle sale in ogni angoletto del mondo, mentre Amathea, con gli occhi di velluto scuro, racconta che il suo italiano (che a volte si confonde con il catalano) lo ha studiato in Calabria. “In Calabria?” – a tavola ridono e si sorprendono tutti. E cosa ci faceva lei in Calabria? E scopriamo così che l’ingegnere agronomo ha insegnato teatro per tre mesi in un campo di emigrati e ogni sera “…veniva qualcuno a farci vedere la tarantella” muove le mani sul tavolo: – “La tarantella bella la prima sera, bella la seconda, ma alla fine non ne potevamo più di tarantella!”.
Ride di questo giorno di libertà, di questa giornata di grazia leggera. E’ un periodo di grazia nella sua vita, lo senti quando qualcuno, vicino a te, vive nella grazia.

E l’Oscar volete vincerlo?
“Non so se vogliamo, ma ci piace sognare, è un’altra cosa che abbiamo imparato da questi ragazzi: insegui sempre i tuoi sogni anche quando gli altri ti dicono che è impossibile, e se non li raggiungi non importa, nel frattempo è stato bello sognare.”

Athenea domani sarà di nuovo a Madrid. E’ professoressa all’Università: insegna teatro. E Javier Fesser nelle Filippine per il suo nuovo progetto: una storia ambientata in una discarica, un mediometraggio – “una mezz’ora va bene per le scuole” – spiega e di nuovo affiora la sicurezza dell’ingegnere e dei suoi conti – “fa parte di una trilogia sulla povertà e la fame che bisogna poter raccontare con le storie perché gli altri capiscano”. Perché i ragazzi, finché sono in tempo, capiscano o per regalare nuove immagini ad uno scherno in mezzo al deserto.

Sarà difficile che nel Sahara lui possa fare i conti degli spettatori o degli incassi, forse possiede una calcolatrice segreta dove lui ed Athenea hanno inserito altri tasti in grado di calcolare la dignità, l’umanità, il piacere di vivere giornate degne di fate e ingegneri, come questa dell’autunno romano nella macchina in cui ora scompaiono e che di sicuro avrà motori e finestrini speciali da cui anche Roma offrirà il suo volto più umano.

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Lorenza (al centro) alla Casa del Cinema, alla presentazione del film per la Stampa

 

Da YouTube: trailer ufficiale del film:

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