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La semplicità dell’incomprensibile

di Gabriella Nardacci

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Capita di mettersi a rovistare tra i libri e di ritrovarsi, tra le mani, qualcosa di prezioso.

Conoscevo la Szymborska, ma non ricordavo la sua poetica. L’ho letto in tre giorni e le sue poesie hanno risposto a tanti quesiti esistenziali rimasti in sospeso. Alcuni hanno trovato un’altra verità e altri hanno aperto nuove domande.
Fare una recensione dettagliata e giusta è impresa ardua, ma provo a raccontare le emozioni e i pensieri che il suo libro mi ha lasciato.

La raccolta di poesie di cui parlo è ‘Basta così’ edita da Adelphi di Wislawa Szymborska poetessa e saggista, nome così difficile da pronunciare, ma che nasconde un animo poetico gentile e pensante. Nata in Polonia il 2 luglio 1923 è morta il 1 febbraio del 2012. Premio Nobel per la Letteratura nel 1996.

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All’interno del libro ho ritrovato un piccolo taccuino nel quale avevo trascritto dei versi di altre sue poesie.

Spesso ci ritroviamo ingarbugliati dentro domande esistenziali che non trovano risposte certe e ci piace metterci alla ricerca di contenuti filosofici che difficilmente convergono in un’unica direzione. Ci perdiamo per vie difficili e inutili che spesso ci inducono ad abbandonare il percorso intrapreso e ci riportano al punto di partenza più avviliti di prima.

E’ difficile pensare che la Semplicità possa essere la Rivoluzione perché i più, pensano che per trovare una soluzione a certi quesiti, occorre, per forza entrare in contesti e concetti difficili.

Quante volte leggiamo poesie che non ci ricordiamo neanche subito dopo averle lette? Che sono ricche di parole altisonanti messe lì in forma stilistico- letteraria perfetta, ma che sono incomprensibili? Che si definiscono ermetiche solo perché anche il ‘poeta’ che le scrive si è perso strada facendo? Che non ti fanno provare la gioia di rileggerle anche dieci volte talmente ti sono entrate dentro?

Una volta scrissi una ‘poesia’ fitta di parole difficili. Ne curai lo stile e la forma. Erano parole messe lì senza senso, senza un significato. Erano solo parole. La feci leggere ad un professore universitario che s’intendeva di letteratura e poesia. Mi fece una recensione bellissima e ci trovò significati che non c’erano… Beh, che dire!

Dove siete andati cari Leopardi, Pascoli, Saba, Omero, Neruda, Pasolini (tanto per citarne alcuni dei tanti che amo…)? Voi che mi avete sollevato l’animo, che mi avete spiegato l’amore, che mi avete regalato il vostro sentire, che mi avete descritto la natura ed i tormenti del cuore? Che mi avete offerto la semplicità del verso per comprendere l’incomprensibile?

Sarà questo autunno anomalo, ma quanta nostalgia di questa semplicità!

Così ho aperto questo libricino e ho ritrovato la descrizione di una quotidianità ovvia ma che mi ha fatto pensare, sin dai primi versi, a quanto è facile vedere nell’ovvio la risposta a tante domande.

E Wislawa se ne fa tante di domande nelle sue poesie…
Domande che ciascuno di noi si fa per tutte le occasioni che la vita ci offre. Domande che ci regalano nuove prospettive per visionare paesaggi esteriori ed interiori che credevamo fossero unici.

I versi che lei ci dona, sono liberi e il bilancio del senso delle parole è equilibrato.
Ogni poesia è una scoperta, una meraviglia: gli stessi pensieri di tutti, sotto forma di poesia.

Così a proposito della poesia “Amore felice”:

“Un amore felice. E’ normale?
È serio? È utile?
Che se ne fa il mondo
di due esseri
che non vedono il mondo?…”

Quante risposte siamo in grado di percepire da queste semplici domande!E ancora con “Contributo alla statistica”, cita percentuali in merito a ‘insicuri, buoni, non invidiosi, innocui, crudeli, dolenti, degni di compassione… e
“…mortali
Cento su cento.
Numero al momento invariato”.

Insomma solo un evento come la morte ci rende tutti uguali. Quante persone lo hanno detto e quante volte lo diciamo noi? Però ritrovarselo scritto è come una scoperta, è come una domanda da non porsi più. Insomma una sua risposta certificata!

E in “Ogni caso”:

“…poteva accadere…
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non da te.
Ti sei salvato perché.
Per fortuna che c’era un bosco.
Per fortuna che non c’erano alberi…”

La vita a un dito dalla coincidenza – ’A vita è ’n mozzico –, come si dice a Roma. Ma ecco che basta uno spiraglio piccolissimo che ci permette di salvarla, questa vita fragile… e che “non c’è vita che almeno per un attimo non sia stata immortale”.

Ogni sua poesia mi ha regalato qualcosa che, tra il “serio e il faceto” (l’ironia è un altro sintomo di intelligenza creativa che le appartiene), mi ha collegata al suo sentire, somigliandole un pizzico, come a proposito della dedica che lei fa alla sua poesia.

“A una mia poesia”

Nel migliore dei casi,
poesia, sarai letta attentamente,
commentata e ricordata.

Nel peggiore
Sarai solo letta.

Terza eventualità:
verrai sì scritta,
ma subito buttata nel cestino.

Potrai approfittare di una quarta soluzione:
scomparirai non scritta,
borbottando qualcosa soddisfatta.

 

Mi unisco a questa dedica e inneggio alla poesia, quella semplice e concreta concludendo con le stesse sue parole:

“…eh già devo proprio ritornare
la mia poesia si nutre solo di nostalgia
e per avere nostalgia devi venire da lontano…”.

 

Nota
Sul sito, oltre ad occasionali citazioni di poesie di Wislawa Szymborska (leggi qui [3] e qui [4]), anche un articolo pubblicato in occasione della sua morte, nel febbraio 2012. “Morte con filo d’erba” [5]