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Di isola in isola. Ireland’s eye. Lasciamo Dublino per andare a Howth. Siamo in tre in questo piccolo viaggio in Irlanda. In treno ci confrontiamo fra noi sull’Irish breakfast (mi raccomando mai English, da queste parti potrebbero guardarvi di traverso), uova, bacon, salsiccia, fagioli, funghi. Se la giornata che vi attende si prospetta freddina e di lunghe camminate non è una cattiva idea, anzi. Il vagone è riempito a gusti misti, per caratteristiche, lingue e provenienza. Volti si illuminano trepidanti di scendere, il sole fuori cerca di aprirsi un varco, non la spunta col grigio ma rende la temperatura gradevole. E’ un porto di pescatori quello lungo il quale cammino, fra le reti a maglie grosse spuntano anche dei contenitori bianchi usati per la pesca. Ovunque le scritte sono prima in gaelico irlandese poi in inglese. Punto verso il faro. Anche qui su tutti vigila la Garda, il corpo di polizia della Repubblica d’Irlanda. Procedo velocemente ma qualcosa attira la mia attenzione e mi fermo. Ci sono due occhi a pelo d’acqua. Cos’è? Sembra quasi un cane che nuota. No! E’ una foca, libera di entrare e uscire dal porto. Aspetta di ricevere un pesce omaggio. Peccato nuoti in una macchia colorata. Nel piccolo porto chiuso l’acqua si tinge dei colori di scarico. Poco più avanti scorgo un’altra foca. Sono proprio lontana da casa, allora. Soltanto pochi passi e cambio idea. Passeggiamo per un po’ senza una meta precisa, ciascuno immerso nel proprio sguardo sulle cose. Velocissimo consulto: sì! L’uomo avvia il motore, controlla qualcosa sulla plancia, poi – muto – passa a raccogliere il prezzo del pedaggio. E siamo tutti pronti, senza parlare, a passare la banconota da dieci euro nelle sue mani. Usciti dal porto l’acqua è verde senza arcobaleni in superficie. Sull’isola una torre Martello e i resti di una piccola chiesa dell’VIII secolo sono gli unici segni del passaggio dell’uomo; tra il verde basso e intenso e la roccia è un fiorire di bianco. Sono margherite, crescono ovunque anche fra pietra e pietra del molo. Le piante piccole ospitano fiori grandi dai capolini gialli molto pronunciati. L’imbarcazione rallenta. Il comandante ci indica una coppia di foche con il piccolo, un batuffolo bianco. Sentendomi sicura in barca, anche in un altro mare, chiedo al marinaio irlandese di poter andare verso prua. Mi guarda. Per un istante mi perdo nei suoi occhi di un colore mai visto prima, eppure dell’occhio ceruleo sono una profonda estimatrice, ne ho sposato un paio di celesti. Un istante, un tuffo, in un azzurro liquido sotto il cielo d’Irlanda. Allunga una mano e batte sul legno della cabina dicendomi di fare attenzione alla testa: è un sì. Camminando verso prua mi sento pienamente isolana, anche se in uno splendido altrove. Il giro finisce. Sbarcando incontriamo un signore di Frosinone, sorride scambiando qualche parola con noi nella sua lingua madre. E’ partito per una vacanza trentuno anni prima, a casa ci torna di tanto in tanto ma nei suoi occhi non trovo traccia di nostalgia, è con gioia che dice: la mia vacanza non è ancora finita! Qui si mangiano molti granchi ma io punto direttamente sul dolce, brownie con gelato alla vaniglia, un dolce che servono quasi ovunque nei paesi anglosassoni, di solito senza panna… sì, la mia via per l’inferno più che popolata da granchi e creature mitologiche è lastricata di cioccolato. . Nota Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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