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L’amaca
di Michele Serra
Prendendo per buone o almeno per semi-buone le cose che gli scienziati dicono a proposito del futuro del pianeta (futuro recente: pochi decenni), risulta che il novanta per cento di tutto quello che viene detto e contraddetto in politica, e in televisione, e sui giornali, e financo sul mitico web, è in buona sostanza un dettaglio a breve termine. Se per esempio è vero che il combinato disposto di desertificazione e scioglimento dei ghiacci (col conseguente innalzamento dei mari) porterà non nei prossimi secoli, ma nei prossimi anni a migrazioni dieci volte più imponenti di quelle attuali, tanto il cosiddetto sovranismo quanto il volonteroso umanitarismo che gli si oppone sono paurosamente sottodimensionati.
Vero è che la sotto-dimensione sovranista è eticamente miserabile e la sotto-dimensione umanitarista, perlomeno, decente. Ma cosa vale, l’attuale dibattito sui migranti così come sull’insieme dei problemi economici, sociali, politici, di fronte all’ipotesi che sì, effettivamente, l’umanità abbia sovvertito almeno un paio di leggi fondamentali della natura?
Ogni volta che sento parlare un evoluzionista o un climatologo o un demografo mi auguro che sia una persona di cattivo umore. Nel caso non lo fosse, e le sue mappe e i suoi numeri siano la fotografia plausibile del nostro immediato futuro, la sola deduzione possibile è che la scala locale e nazionale è solo un comico, patetico trabiccolo; e la scala globale, lo sguardo globale, uno strumento ancora tutto da inventare.
[Da la Repubblica del 2 ottobre 2018]
Rinaldo Fiore
10 Ottobre 2018 at 00:18
Michele Serra, dalle pagine di Repubblica, confronta le pochezze locali e nazionali rispetto alla incredibile prospettiva che ha il nostro futuro: ci agitiamo, preoccupiamo, ci disperiamo per quotidiane sofferenze di ogni genere mentre il nostro Paese e il mondo intero stanno
letteralmente soccombendo a causa dei disastri ambientali causati dall’uomo.
Devo condividere la riflessione di Serra perché è questa la realtà ma, c’è un ma… anche nelle condizioni più estreme l’uomo cede alla stanchezza e si addormenta per recuperare le sue energie e per dimenticare, almeno per qualche ora i suoi guai.
Analogamente, pur avendo consapevolezza dei rischi connessi ai disastri ambientali, l’uomo, i cittadini sono letteralmente costretti, e in modo praticamente automatico, non ad ignorare
ciò che accade, ma a metterlo in un angolo non lontano ma sempre a latere al fine di preservare la loro vita, occupandosi della quotidianità (lavorare mangiare dormire).
L’uomo non ha la capacità di affrontare più problemi gravi contemporaneamente perché è autoregolato secondo i minuti, le ore e i giorni : qualcuno, per le sue capacità, può ampliare
l’orizzonte fino al limitare dell’Universo, ma non può trascinare con rapidità la restante popolazione mondiale.
Ricordo come una cinquantina d’anni fa si parlasse molto della fame del mondo, in un convegno internazionale… Ebbene, appena scattò l’ora del pranzo si misero tutti a tavola, e non con i grissini, ma con un lauto pranzo… Una cosa è parlar di morte, un’altra è morire.
Guardare al di là dell’orizzonte va bene, ma del particolare non si può fare a meno perché si tratta della nostra vita, respiro dopo respiro, battito dopo battito…