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Stevenson, i novanta fari di famiglia

proposto da Enzo Di Fazio

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Quando qualche giorno fa è stata pubblicata, con la traduzione di Silverio Lamonica, la poesia Il vento [2]di Robert Louis Stevenson, la mente è andata indietro ad alcuni anni fa, e precisamente al 10 agosto del 2012, allorché, in occasione della serata dedicata al faro della Guardia, ci capitò di parlare della famiglia degli Stevenson, una dinastia di costruttori di fari tra ingegno e letteratura.
Confesso che fino ad allora conoscevo Robert L. Stevenson (1850-1894) solo per essere l’autore di due grandi libri che avevo letto, rimanendone affascinato, negli anni dell’adolescenza: L’isola del tesoro e Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde.
Con meraviglia, occupandomi del faro della Guardia e facendo delle ricerche sui fari, ho scoperto che il nome di quel geniale scrittore era anche legato a una famiglia di ingegneri che, tra il 1790 ed il 1940, ha avuto tra le proprie fila otto membri progettisti e costruttori dei 97 fari che tuttora costellano le coste della Scozia.

Ogni qualvolta sento l’odore dell’acqua salmastra, so di non essere lontano da una delle opere dei miei antenati – ha scritto Robert Louis Stevenson – e quando i fari si accendono lungo le coste della Scozia sono orgoglioso di pensare che brillano più luminosi grazie al genio di mio padre

Quasi per magia telepatica mi è arrivata, di lì a poco, sulla posta personale – mittente Sandro, il caporedattore – un articolo che teneva conservato dal 2005 tra i documenti di archivio.
Il titolo: Stevenson, i novanta fari di famiglia, due pagine tratte dall’edizione domenicale del maggio 2005 di La Repubblica, rubrica I luoghi, tra terra e mare, con i disegni di alcune poderose lanterne scozzesi firmati dal viaggiatore acquerellista Giorgio Maria Griffa.

E’ stato un tutt’uno associare l’articolo a quella storica famiglia i cui uomini avevano una sola ossessione: costruire fari…  Ad eccezione del ribelle Roberto Louis Stevenson che, gracile e debole di petto, sospese gli studi di ingegneria perché attratto dai sogni e dalla passione per la scrittura.

Allego, per gli appassionati della materia, le pagine dell’articolo, in f.to pdf,  estrapolando dallo stesso gli acquerelli riprodotti.

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L’autore Giorgio Maria Griffa, partendo la libro Lo splendore degli Stevenson, di Bella Bathurst, ha ricostruito la saga di questa famiglia di ruvidi e tenaci costruttori di “lighthouse” e ha percorso le rive della Scozia e delle sue isole per dipingere e raccontare tutte le loro opere ricavandone un libro e una mostra.

Tra questi lavori c’è anche il famoso faro di Bell Rock realizzato da Robert Stevenson (1772-1850), tra il 1807 ed il 1810, su uno scoglio spigoloso e tagliente a pelo d’acqua a 18 chilometri dalla terraferma.

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La costruzione di questo faro (alto 35 metri), ritenuto oggi una delle sette meraviglie del mondo industriale, procurò, per le difficoltà logistiche, molta fatica ed apprensione al nonno dello scrittore. Si racconta che per realizzare le fondamenta venne creato con i picconi un buco di 12 metri di diametro e 60 cm di profondità lavorando solo durante i mesi della bella stagione, mentre i blocchi di pietra venivano numerati, caricati su una chiatta e assemblati sullo scoglio. Quell’opera, però, diventando la salvezza per le navi dirette verso l’insenatura di Edimburgo decretò anche la notorietà e la gloria di Robert Stevenson.

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L’articolo: Pagine da Domenica di Repubblica. 8 Maggio 2005. Stevenson pp. 34-35 [8]