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“Ventotene: una comunità per decreto”. Un bel libro

di Francesco De Luca

 

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Ho letto con interesse il libro di Filomena Gargiulo (Ventotene una comunità per decreto – Ultima Spiaggia – 2017) e l’ho trovato ottimo. Perché scritto bene, e soprattutto illuminante per conoscere la storia dell’isola ‘sorella’ a Ponza e dei Ventotenesi ‘fratelli’ ai Ponzesi.

Fino a settantadue anni ho letto delle vicende di Ventotene in libri che trattavano dell’intero arcipelago ponziano, mentre questo libro è interamente ristretto a Ventotene. Le isole dell’arcipelago sono menzionate a corredo ma ciò di cui si parla è la vicenda di Ventotene dalla colonizzazione borbonica.

Il titolo già mi ha catturato perché anche la mia poca conoscenza storica mi ha portato a concludere come la gente delle nostre isole  (Ventotene e Ponza) sia stata costretta a costruirsi un identità culturale in quanto costituita da famiglie provenienti da luoghi diversi, con storie diverse alle spalle. Le univa la miseria della condizione e l’aspirazione a migliorare.

La mia non è una recensione perché troppo influenzato a trovare confluenze e/o discrepanze fra le storie delle due isole. Ed è con questa visione che ho letto e introiettato il contenuto. Meritevole secondo me perché mostra come la vita sulle nostre isole sia stata davvero dura. Doppiamente. Vuoi perché il territorio e il mare dovettero essere sottomessi alla caparbia volontà degli isolani di sopravvivere, vuoi perché la gente che scelse di campare nelle ristrettezze dei confini isolani dovette subire la coabitazione con una popolazione di guardie, di malfattori, di amministratori, tutti a succhiare linfa vitale da chi lavorava la terra e predava il mare. Isole come carceri. Per tutti coloro che ne calpestavano il suolo.

E’ evidente il coinvolgimento ideale della Gargiulo ed è netta la sua scelta sociale. Al sudore della fatica dei Ventotenesi si è sempre contrapposto (come a Ponza) la corruzione e il ricatto dei funzionari statali. I Borbone, ad onor del vero, tennero una considerazione speciale per lo stato ‘soggetto’ degli isolani e ne accoglievano le richieste di aiuto e di sussidio, ossessive e snervanti. Stessa considerazione non ha avuto lo Stato unitario (monarchia, fascismo e repubblica). E la Gargiulo mi appare sulla stessa linea se nell’ultimo capitolo, nell’ Epilogo, distoglie lo sguardo dagli isolani e si affoga nella natura dell’isola.

Se verace è la cattura dell’animo da parte del territorio isolano altrettanto vivo deve essere l’impegno a che queste terre (insieme a Ponza), gettate nel mare a mostrare il brillore, siano vissute con rispetto e trasporto.

Non posso chiudere questa nota senza ricordare a Filomena Gargiulo, conosciuta in campo professionale, la stima che allora nacque e che tuttora nutro.