Ambiente e Natura

Erotika ’60. (7). ’I maruzze

di Silverio Guarino

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A settembre, con le prime piogge, le “maruzze” e i “maruzzielli” uscivano allo scoperto e diventavano oggetto di raccolta per le isolane golosità.
Ma era l’occasione tanto attesa per tendere l’agguato amoroso alla tanto desiderata preda. Sì, perché la raccolta avveniva sempre dopo la calata del sole, perché le “maruzze” uscivano di sera e di sera bisognava andarle a raccogliere con l’ausilio di lampade ad acetilene (le stesse dei totani) o, per i più “modernizzati”, con torce elettriche con pile.

Si usciva in gruppo, ragazzi e ragazze, ma si sa, le “maruzze” si trovavano sparse, qua e là nei campi e negli anfratti dove magari c’era meno luce e dove ci si poteva appartare per scambiare un segno “tangibile” di affetto con la tua ragazza.
C’era sempre la “sentinella” di turno a fare la guardia, il famoso (o famosa) “San Martino” inviato di turno dai genitori prudenti, incaricati di sorvegliare l’integrità morale e fisica delle belle ragazze dell’isola.
Ma c’era sempre il modo per distrarli o per coinvolgerli, magari portandoli loro stessi a cercare quelle sensazioni “vietate”, ma tanto desiderate.
Cose che: “Catullus volebat, nec puella nolebat…”

La cattura delle “maruzze” durava poche ore, tempo necessario e sufficiente per tutte le nostre effusioni amorose.
E a sera, tante “maruzze” da “spurgare”, portate in famiglia con il piglio dei grandi cacciatori che avevano potuto compiere il loro compito istituzionale e che andavano a dormire con tanti sogni in più (sempre che si riuscisse a dormire…).

E Peppino di Capri cantava: “Si mme suonne ’int’e suonn’ che faie’, nunn’è peccato!… E si, ’nzuonno, ’nu vaso me daie… nunn’è peccato”.

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