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Una canzone per la domenica (10). La scoperta della poesia… l’amore!

di Sandro Russo

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Fine anni ’60 – primi anni ’70. Alle radici del progressive rock.
Lo so che forse qualcuno dei nostri lettori non era ancora nato, ma se faccio i nomi dei gruppi che “fiorirono” in quella stagione irripetibile, tutti cominceranno ad agitarsi, o almeno a provare un vago senso di disagio; come per aver perso qualcosa di importante.
Fuori i nomi allora, con le date di nascita: Pink Floyd (1965) , Jethro Tull (1967), Yes (1968), King Crimson (1969), Gentle Giant (1970), Van Der Graaf Generator (1967), Genesis (1967) ed Emerson, Lake & Palmer (1970)… e non sono tutti!

In Italia, pur con un certo ritardo rispetto all’onda che veniva dall’Inghilterra, c’era un analogo fermento. Comparvero i New Trolls (1967), Banco del Mutuo Soccorso (1969), Premiata Forneria Marconi – PFM (1971), Area (1972). Anche qui tanti altri che non nomino, come ho omesso del tutto i gruppi e le influenze che venivano dagli Usa, nello stesso periodo.

Ma restiamo al Banco e al loro esordio discografico, con due vinili, entrambi del 1972. Il primo, dall’originale forma a salvadanaio che portava come titolo il nome stesso del gruppo, e il secondo Darwin!, un concept album.

Fu appunto, l’album concept, un’invenzione di quegli anni: una tematica unitaria sviluppata come un filo che legava tutti i brani dell’album.
Seppur con precedenti illustri, quello che più di tutti contribuì a diffondere l’idea di concept album nella musica pop-rock è stato Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles (1967).

Tornando al Banco, l’opera prende il nome da Charles Darwin ed sviluppa il tema dell’evoluzione della vita sulla Terra. Basta scorrere i titoli di Darwin! per rendersene conto: 

Era necessaria questa discesa alle radici per presentare il brano scelto oggi per “Una canzone per la domenica”: la quinta traccia dell’album è 750mila anni fa… l’amore? (lyric di Vittorio Nocenzi e Francesco Di Giacomo, musica di Vittorio Nocenzi). Testo molto bello, delicato e originale insieme, tastiere leggere il giusto e progressive quando serve, una splendida interpretazione di Francesco Di Giacomo…

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 Ed ecco il testo:

Già l’acqua inghiotte il sole, 
ti danza il seno mentre corri a valle
con il tuo branco ai pozzi
le labbra secche vieni a dissetare
Corpo steso dai larghi fianchi, 
nell’ombra sto, sto qui a vederti
possederti, sì possederti… possederti…

Ed io tengo il respiro, 
se mi vedessi fuggiresti via
e pianto l’unghie in terra, 
l’argilla rossa mi nasconde il viso
ma vorrei per un momento, stringerti a me, 
qui sul mio petto
ma non posso, fuggiresti, fuggiresti via da me
io non posso possederti, possederti
io non posso, fuggiresti, 
possederti, io non posso…
Anche per una volta sola.

Se fossi mia davvero, 
di gocce d’acqua vestirei il tuo seno
poi sotto i piedi tuoi
veli di vento e foglie stenderei
Corpo chiaro dai larghi fianchi, 
ti porterei nei verdi campi e danzerei, 
sotto la luna, danzerei con te.

Lo so la mente vuole
ma il labbro inerte non sa dire niente, 
si è fatto scuro il cielo, 
già ti allontani resta ancora a bere, 
mia davvero, ah fosse vero
ma chi son io, uno scimmione
senza ragione, senza ragione senza ragione, 
uno scimmione, fuggiresti, fuggiresti
uno scimmione, uno scimmione, senza ragione
tu fuggiresti, tu fuggiresti…

Una delle perle della mia personale antologia dei brani più amati.
Ma niente è per sempre, e niente ci viene risparmiato in questi tempi cinici e bari!
È di poco tempo fa un incontro con un amico e la rievocazione nostalgica delle musiche che abbiamo amato: …ai nostri tempi… ti ricordi?
Quando, per aver nominato questa canzone del Banco, all’improvviso mi è arrivata la stilettata al cuore (…e questi so’ gli amici!):
– E come no!? Me la ricordo! La canzone del pipparolo!
No, per favore… non me la rovinate! La canzone del pipparolo no!

 

1 Comment

1 Comment

  1. Rinaldo Fiore

    4 Settembre 2018 at 08:10

    Questo pezzo mi ha profondamente commosso! Le ultime, o quasi, parole di Francesco Di Giacomo, riportatemi dal suo figlioccio Filippo Marcheggiani (che conosco molto bene: suona con il nuovo Banco), sono state ancora una volta un simbolo della libertà: “La libertà è un vestito di niente…” (se ricordo bene il senso è quello).

    La vita gli aveva donato la voce e ascoltandolo, religiosamente e in silenzio, pare di sentire e toccare l’anima, proprio come fa un bimbo quando sente e tocca la madre… mentre la musica di Vittorio Nocenzi mima il richiamo materno…
    Grazie Sandro!

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