Ambiente e Natura

Epicrisi 188. L’angoscia e la speranza

di Enzo Di Fazio

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Nelle ore serali, quando mi capita di dover scrivere qualcosa, mi fa compagnia la voce tenue di una piccola radio. In genere la sintonizzo su una stazione da cui sul tardi trasmettono normalmente brani di musica classica. Mi distende e aiuta a concentrarmi. In questi giorni, però, tutte le reti sono impegnate in aggiornamenti continui sul crollo del ponte di Genova ed è inevitabile che il pensiero non vada a quello che è successo e alle immagini di desolazione di questa immane tragedia riprese da tv e giornali. Per lo più sono sempre le stesse e vengono utilizzate per accompagnare i resoconti e i racconti dei cronisti. Ne girano tante, tutte descrittive del disastro e proiezione del dolore che si è impadronito di tante famiglie, ma due in particolare mi hanno colpito: quella del volto smarrito, con uno sguardo perso nel vuoto, di una persona anziana seduta ai margini delle macerie e quella di una vecchietta intenta ad innaffiare una piantina sul balcone, lì accompagnata da un vigile a prendere delle cose dall’abitazione che forse dovrà lasciare per sempre.

Due immagini, nemmeno così importanti rispetto alle tante altre più cruenti che di rimbalzo ci vengono dai luoghi della tragedia, ma per me significative perché espressione di due momenti che sono agli antipodi del vivere quotidiano: l’angoscia e la speranza.

Parto da qui perché è alla speranza, in compagnia della conoscenza, che farò spesso riferimento nel corso di questa epicrisi.

Il crollo del ponte di Genova ci insegna tante cose e bene ha fatto il Comune, in segno di solidarietà, ad aderire alla giornata di lutto nazionale.

Viviamo una enorme crisi di sistema dove quasi tutti i politici usano le emozioni e i malesseri della gente in termini di propaganda più che di indicazioni per risolvere in maniera concreta i problemi facendo propria l’indignazione popolare per accrescere i consensi. Ciò che sta accadendo per Genova è emblematico. Cavalcare la legittima rabbia di tutti coloro che sono stati colpiti dalla tragedia è un esercizio quotidiano, come quello di lanciare anatemi contro i governi passati, le privatizzazioni, addirittura contro l’Europa e i vincoli di bilancio. Non di meno l’opposizione e i governanti di ieri tentano di ribaltare le accuse con improbabili argomentazioni e analisi frammentarie e lacunose.
Come se proclami e buone intenzioni potessero sostituire in eterno atti e soluzioni; senza sapere che, se si può rifuggire dalle responsabilità del passato, non è possibile farlo da quelle di progettazione del futuro che appartengono a tutti (maggioranza ed opposizione).

Da queste considerazioni il passo è breve se, pensando a Ponza, andiamo ad analizzare la questione del P.A.I., diventato il fatto più importante della settimana sia per l’interesse che ha suscitato che per le implicazioni che ha sul futuro delle nostre isole.
 E c’è da rammaricarsi non poco se sia sfumata l’occasione per esaminare a fondo la questione e fare fronte comune per presentare a chi deve responsabilmente decidere (la Regione e l’Autorità dei Bacini regionali) una proposta corredata di studi, analisi, approfondimenti, numeri capaci di dare sostegno ad una speranza di cambiamento.
E invece tutta l’attenzione si è consumata intorno ad una frase che, al di là di come è stata detta (ne esistono tre versioni), evocando un triste luogo che ha bisogno solo di essere rispettato, ha mortificato la seduta consiliare già provocatoriamente messa in ridicolo fin dalla sua apertura con l’esibizione di magliette con le famose scritte “parche-ggio” e “imbar-rco” indossate dai consiglieri di minoranza.
Ancora una volta sono prevalse la collera e il gusto di mortificare e distruggere, rispetto alla necessità di costruire.

C’è da chiedersi se veramente tutti vogliono il bene di Ponza o se questo accanimento, come qualcuno lo definisce, ha altre motivazioni.

Ma la speranza di cambiare le cose non deve sentirsi sconfitta perché emergono nella settimana dall’isola, in maniera pacata e senza clamore, tanti segnali che vanno nella direzione del riscatto.
Li possiamo leggere tra le righe di quello che scrive Enzo Di Giovanni a proposito della convenzione firmata tra il Comune e ASSO, tesa a rendere più proficua e regolare la collaborazione tra Ponza e i professionisti archeologi e speleologi subacquei; con la finalità di conoscere meglio e di più ciò che il mare di Ponza conserva e nasconde.

La conoscenza, applicata alle nostre isole, può fare la differenza del loro futuro.

In questa direzione vanno le iniziative del Centro Studi e Documentazione Isole Ponziane e il dibattito-incontro con la relativa mostra foto-documentaria di domani sera è il primo esempio di ricerca che vuole essere anche divulgazione.

Non dobbiamo mai abbandonare la speranza di poter cambiare le cose che non vanno, soprattutto quelle che palesemente ledono i nostri diritti o tendono a peggiorare le nostre condizioni di vita.
Significativo lo scritto che ci propone Nicola Lamonica a proposito della tassa di sbarco ai non residenti di Procida proprietari di abitazioni sull’isola e al costo dei biglietti dei nativi non residenti, tema più volte trattato su queste pagine ma mai affrontato seriamente dalla nostra amministrazione. È forse il caso di riparlarne ai margini della lettera di denuncia di Gennaro Di Fazio sui disservizi Laziomar.

Di estrema gravità sono le notizie che arrivano da Ventotene sulla funzionalità del dissalatore.
L’assessore alla salute e all’ambiente Francesco Carta descrive una situazione allarmante, documentandola, con possibili strascichi giudiziari. È un po’ di tempo che non si parla più di quello da installare a Ponza ma, alla luce di quanto sta accadendo a Ventotene, dobbiamo considerare non infondate le incertezze e le osservazioni che hanno accompagnato il relativo progetto fin da quando sull’isola è arrivato il nuovo gestore.

Anche qui la conoscenza può aiutarci a non commettere errori.

Come può servire per capire le finalità di un progetto come il PonDerat che dovrebbe dare solo risultati positivi ma che, invece, sembra non raggiungere gli effetti sperati. Se ne lamenta Biagio ed è giusto che abbia delle risposte.
Insomma può sembrare un pensiero contorto… ma senza la conoscenza siamo più fragili, meno indipendenti e più facilmente attaccabili e se ci manca la speranza abbiamo meno stimoli per migliorare e accrescere la conoscenza.

Passo ora a parlare degli altri scritti pubblicati sul sito questa settimana.
Continua la traduzione (siamo alle puntate (6^ e 7^) del saggio di Emilio Iodice sulla complessa figura di Mussolini. Questa volta sono trattate la lotta alla mafia e le qualità oratorie che affascinavano intere piazze.

Ci sono poi tre racconti intensi e molto belli a firma di Tea Ranno, Vittoria Tedeschi e Silveria Aroma.
Con il primo, Acqua e rifriscu, troviamo nel mondo della tradizione siciliana echi della cultura napoletana come se un filo comune legasse il mondo dei riti antichi di questi due popoli.
 Nel secondo, Norcia, in attesa di ricostruire, ci sono le ferite che lascia un terremoto ma anche la forza (che pure qui si coniuga con la speranza) della gente umbra di volere andare avanti.
Nel racconto di Silveria, Il chakra della nonna, la rievocazione di un antico rito, quello di tirare i capelli (che ricordo anche io) per attenuare gli effetti di uno spavento.

C’è poi Silverio Guarino con i suoi racconti “erotici”. Questa volta è la vespetta la complice per raggiungere l’obiettivo; Franco De Luca con la morale a ‘u cantere e l’arciule e Sandro Vitiello con un bel ricordo di Claudio Lolli, bravo cantautore da pochi conosciuto, scomparso qualche giorno fa.
C’è, infine, la canzone per la domenica di Sandro proposta, come spesso fa, assieme ad un film. Questa volta sono le note soffici e seducenti del sassofonista Dick Morrissey a deliziarci.

E termino ritornando al tema della speranza con alcune parole rubate al commento di Tea Ranno all’articolo Altre tragedie. A margine del crollo di Genova “…Ditemi che speranza ha forza di tempesta buona, di tempesta che travolge la malinconia e affoga il senso del disastro… Ditemi che speranza comunque vince”.

1 Comment

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  1. Enzo Di Fazio

    20 Agosto 2018 at 00:11

    E’ probabile che, nel menzionare l’articolo di Nicola Lamonica sulle tariffe dei nativi non residenti dell’isola di Procida e nell’assimilare la situazione di Procida a quella dei nativi non residenti di Ponza, abbia lasciato intendere che i ponzesi non residenti non godano di alcuna agevolazione. Preciso che intendevo riferirmi esclusivamente alla possibilità per i non residenti-proprietari di abitazioni sull’isola, già beneficiari dell’esenzione della tassa di sbarco, di usufruire anche di una tariffa ridotta del biglietto di viaggio, questione, negli anni scorsi molto dibattuta ma, mi pare, mai affrontata né dalle passate amministrazioni né dall’attuale. A quest’ultima va, però, il merito (leggendo le precisazioni del sindaco all’articolo di Lamonica) di aver esteso, con delibera del 18/05/2018, l’esenzione dal pagamento della tassa di sbarco a tutti i nativi di Ponza indipendentemente dal possesso o meno di un’abitazione sull’isola.

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