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Una canzone per la domenica (6). Il tema di Yumeji dal film “In the mood for love”

proposto da Sandro Russo
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 In the mood for love è un film di Hong Kong del 2000 diretto da Wong Kar-wai, ispirato al romanzo breve Un incontro (noto anche come Intersection) di Liu Yichang.
Il termine inglese mood ha numerosi significati tra cui “modo”, “umore”, “atmosfera”: quindi la traduzione letterale potrebbe essere “Nello stato d’animo di innamorarsi”. Ineccepibile la decisione di mantenere anche per la versione italiana il titolo originale In the mood for love, più inclusivo e evocativo.

Questo articolo è più per parlare del film che della musica. La colonna sonora comunque, giustamente famosa, del compositore giapponese Shigeru Umebayashi, fa da splendido contrappunto alle immagini (riportata in seguito).

La sinossi del film
Un uomo e una donna a Hong Kong, nel 1962: la storia dei brevi incontri ritrosi tra Chow Mowan e Su Lizhen, vicini di casa che scoprono casualmente che i rispettivi coniugi sono amanti.
Si incontrano, si chiedono cosa staranno facendo gli altri due, si parlano come se parlassero a loro, si guardano allontanarsi, e inevitabilmente, senza dirselo mai, finiscono per amarsi.
Il film si basa soprattutto sulla lentezza dei movimenti, sulle riflessioni dei due personaggi che cercano di accettare il tradimento dei loro coniugi, cercando di capire all’inizio come sia potuto succedere, chi dei due abbia potuto iniziare, ma alla fine capiscono che queste cose sono inutili, perché sta accadendo anche a loro, anche se in modo molto velato.
Un “amore” che non avrà mai né un inizio né una fine sia perché lei non ha il coraggio di lasciare il marito, sia perché entrambi temono di essere giudicati dagli altri. Malgrado l’attrazione reciproca, decidono di non iniziare a loro volta una relazione. Dopo la partenza di Chow per Singapore, non si incontreranno più (estratto da Wikipedia).

L’importanza del montaggio
“Il montaggio consiste nell’eliminare ciò che non ci piace e conservare l’essenziale”, dichiara Wong Kar-wai: e infatti il film, che doveva originariamente essere il capitolo di un film a episodi dedicato al cibo, è stato ridotto da due ore a poco più di un’ora e mezzo. Furono eliminate scene degli incontri all’hotel, alcune situazioni a Singapore, una sequenza datata 1972, un finale alternativo nel tempio dove i due si vedevano casualmente per l’ultima volta. La scelta di eliminare progressivamente ogni passaggio, lasciando vuoti di memoria, rappresenta la vera anima del film. L’incanto di questo tempo ignoto dove tutto deve rimanere nascosto, sotterraneo, svanisce lentamente a ogni esitazione, a ogni parola non detta. Dapprima impotenti, congelati in un’intenzione amorosa che non si compie, stretti in corridoi claustrofobici, bagnati dalla pioggia, i corpi riprendono a vivere e a invecchiare anche se con un intimo, doloroso sentimento di perdita. Quel che si vuole sottrarre a questa fatale erosione, si affida a una vecchia leggenda, al sacro di un luogo indifferente al tempo: il tempio cambogiano cui Chow Mo-wan consegna il suo segreto perché non sia mai scoperto da nessuno.

Shigeru Umebayashi (1951) è un compositore giapponese.
Dopo essere stato leader di un gruppo musicale new wave giapponese, gli EX, Shigeru Umebayashi iniziò a comporre musiche e colonne sonore per film nel 1985, quando il gruppo si sciolse.
Umebayashi ha al suo attivo più di quaranta film giapponesi e cinesi ed è conosciuto in Occidente soprattutto per le sue musiche nei film dei registi cinesi Wong Kar-wai e Zhāng Yìmóu. È anche autore della colonna sonora del film di Tom Ford, A single man (2009). 

Su YouTube, dal film In the mood for love, Yumeji’s theme:

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Un’altra esecuzione, sempre da YouTube, dell’ensemble Cécile, costituito di strumentiste donne:

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 I miei appunti a lezione di cinema
Incontro del 15 marzo al Corso di Gianni. Resumé per Danette e Paola che non c’erano e memoria per noi (Gianni, Barbara, Amedeo, Mariangela e Sandro) che c’eravamo. Gianni è il Maestro (da ora in poi citato come G.)

[Nota per i lettori: riceviamo da G. il dvd del film all’incontro precedente. Ad esso si aggiungono in settimana (inviati per mail) due o tre file di informazioni sul film. All’incontro del venerdì quindi tutti dovremmo aver visto il film e letto gli appunti. La lezione vera e propria parte da questa base, ma poi se ne allontana con collegamenti ad altri film, associazioni, diversioni – NdR]

Serata dei grandi eventi questa, per un film che è molto piaciuto e ha molto coinvolto tutti, a vario titolo.

Al giro di opinioni che di solito fa G. all’inizio, Mariangela (alla sua seconda visione) afferma che è il genere di film che lei predilige, quello dei messaggi essenziali; ha notato in modo particolare la presenza delle grate e soprattutto dei vestiti (che, vedremo in seguito, hanno una loro grande importanza)
Barbara ha rilevato degli aspetti per cui le è sembrata, l’atmosfera del film, più vicina al sogno che alla realtà; personaggi quasi sospesi in un non-luogo, in un non-tempo (a parte le date finali). E ci parla della suggestione dell’atto di sussurrare un segreto nel cavo di un albero, che lei conosceva in altra forma (di scrivere di un dolore e sotterrare il biglietto in profondità, tra le radici di un albero; il tempo provvederà a disfare la carta e a disperdere il dolore, con il vento tra le fronde).

Sandro sottolinea il tema del cibo e del mangiare nella cultura orientale (soprattutto cinese). Film come Vivere di Zhang Yimou (1994) e ‘Mangiare bere, uomo donna’ (Ang Lee, 2002). Tanto più che In the Mood for Love era stato pensato in origine come il capitolo di un film a episodi dedicato al cibo. S. ha anche qualcosa da dire sulla scelta del regista di ‘oscurare’ l’incontro sessuale tra i due (poi ne parlerà anche G. alla fine).
G., in una mail successiva all’incontro, ma riportata qui per completezza – si è detto positivamente sorpreso del fatto che da parte di tutti non sono state spese parole sulla ‘trama’.

E veniamo all’analisi vera e propria.

I vestiti. G. ci dice il nome (impronunciabile) del vestito tradizionale cinese indossato dalla protagonista, signora Chan. È stretto, costrittivo; imprigiona come la società delineata nel film.
A confronto, nell’unica scena dove appaiono in veloce sequenza i membri di entrambe le coppie, il vestito della moglie del sig. Chow è meno formale, lei è più spigliata, ha le spalle nude; i suoi movimenti sono meno rigidi. La signora Chan (quando porta la sigaretta accesa al marito) è costretta nel vestito, ha il collo imprigionato, una pettinatura turrita.

 I personaggi. La Signora Chan, Maggie Cheung – Il sig. Chow, Tony Leung
Appaiono come figure paradigmatiche, o ‘non personaggi’; non sembrano due individui ma due simboli – maschile/femminile – distaccati dalla realtà (di ricollega all’impressione di Barbara, che sia la messa in scena di un ricordo, o di un sogno).

Dove va l’occhio. Le immagini che G. ci ha inviato, di quadri famosi, sono emblematiche della chiusura o apertura dello spazio. Il quadri di Raffaello mettono una distanza e spingono l’occhio verso il fondo; in Caravaggio (a parte i tipici ‘sprazzi’ di luce) l’occhio non riesce ad andare in fondo (vengono interposti ora un volto, ora addirittura le terga del cavallo; è una pittura ‘ansiosa’, partecipativa…
Come in Caravaggio, in Wong Kar-wai la m.d.p. si sofferma su un particolare in primo piano; su un particolare non significativo (come in Hitchcock), ma senza fini di depistaggio. Ancora (dice G.) l’importanza del ‘fuori campo’: di messaggi ‘non detti’; di persone ed eventi ‘non visti’.
Sulla costruzione dello spazio: l’insistenza sugli spazi ristretti, meandri di corridoi; percorsi tortuosi come quelli dei pensieri in una mente: come/dove si muovono i ricordi..!

Altri aspetti delle differenze ‘culturali’ Occidente / Oriente (oltre all’importanza del cibo, di cui si è detto): un caratteristico ‘pudore’ delle immagini e dei sentimenti.

Molte ellissi narrative: tagli di montaggio (voluti e messi in bella mostra) denunciati da un vestito o da un’acconciatura dei capelli diversi, mentre dagli atti sembra una sola azione. Ci si riferisce alla cena di loro due al ristorante (…vedi in seguito).
Anche quando ad un certo punto cominciano a darsi del ‘tu’, è successo ‘qualcosa’ che noi spettatori non abbiamo visto e saputo,

Amedeo parla di ‘narcisismo del cinema’: quando la m.d.p. riprendendo le immagini dal basso, mostra le gambe del tavolo, delle persone, e costringe gli stessi attori ad abbassarsi al suo livello. Un esempio di come il cinema ‘piega lo spazio’. Tecnicamente viene anche notato come mostrare ambienti angusti significa, nella realtà delle riprese, di dover disporre di uno spazio molto più ampio per far muovere tutte le persone e le macchine necessarie alla conduzione pratica delle riprese.

Ancora sullo spazio. Alcune scene inquadrano persone, oggetti, attraverso ostacoli, finestre, particolari sfuocati (è una tecnica che abbiamo notato in Max Ophuls),
Vengono impiegate inquadrature in spazi angusti e quindi introdotto uno specchio per dilatare il campo; ma mai per mostrare un particolare importante, rivelatore. Lo specchio raddoppia lo spazio; unisce e divide (cfr. i tanti specchi dei film di Truffaut!).
Quando attraverso lo specchio sono mostrati i personaggi non è subito chiaro qual è il reale e quale il riflesso. Nello specchio i personaggi sono allo stesso tempo presenti e assenti. È allo specchio, l’unica scena in cui vediamo la signora Chan sorridere (in quel momento lei ha un vestito verde). Come se fosse più un desiderio – che quell’amore fosse felice – che una cosa accaduta davvero.
È raro che i due personaggi siano inquadrati insieme – succede, allo specchio, ma sono dentro una cornice (!).
Non si vedono mai insieme… Come se assistessimo alla proiezione attraverso gli occhi di lui (o di lei). Nella realtà delle storie, gli amanti non ci sono mai contemporaneamente, ma appunto sono visti (o rievocati) attraverso l’uno o l’altra dei due.

Il tempo. Ripensiamo alle volte che lei scende a prendere il cibo… e poi risale. L’immagine si blocca sullo stipite della porta, o su una lampada. Poi si vede lui che scende. Il particolare inanimato, tra i due, rappresenta una specie di punteggiatura narrativa. La scena si ripete più volte. Le immagini sembrano uguali, ma non lo sono: far attenzione al vestito di lei che cambia! Sono immagini recuperate dal Museo della Memoria; il flusso della memoria trasposto in immagini. Non è il ‘tempo lineare’, attimo dopo attimo, passato-presente-futuro, che siamo abitati a considerare.
È il “Tempo molle” degli orologi di Dalì: il Tempo soggettivo della Memoria [vedere assolutamente – consiglia G. – i primi 10 min de L’anno scorso a Marienbad, di Alain Resnais (1961). Lo ritroveremo in 2046 (ancora di Wong Kar-wai) [altri esempi di tempo ‘non lineare’ per flash disordinati, in Hiroshima mon amour (sempre Alain Resnais, 1959) e in Antonioni (L’eclisse; L’avventura)]. Nella memoria, ogni linearità degli eventi è perduta; a volte i ricordi sono stipati in disordine temporale, secondo l’importanza e la coloritura emotiva.

Ancora nella scena del ristorante. Il gioco di ruolo; lui che fa la proposta a lei e poi viceversa: “Non so cosa piace a tua moglie…” – “…E a tuo marito?” Non è una scena reale, ma ricordata con pezzi sparsi delle volte che i due sono stati a cena insieme: il diverso vestito, l’orecchino che cambia. Il tutto viene presentato come un evento fluido (raccordo sul movimento) mentre sono flash giustapposti.

Davvero non c’è stato niente tra loro? …tranne che attrazione e amore non confessato?
G., in analogia con altri ‘non detto’ o ‘fuori scena’ del film, ipotizza che no: che un incontro (o più incontri) ci sono stati.
Indicativo secondo lui l’andirivieni di lei sulle scale dell’albergo – quelle dai tendaggi color ‘rosso passione’. Sale, scende, risale; sembra indecisa o in preda ad una forte emozione. Ma nulla è lasciato chiaramente vedere.
Da tutto quel che sappiamo del film (e intorno ad esso), il fatto che il Regista abbia effettivamente girato una intensa scena di sesso tra i due, ci mostra la sua indecisione sullo sviluppo. Che poi abbia deciso di non inserirla è stata una ‘scelta estetica’: indovinata alla fin fine (dico io) perché la ‘non risoluzione’ del rapporto è la cosa che più si ricorda e che forse, più di ogni altra, ha decretato il successo del film.

Scena finale. Dove viene sussurrato il grande segreto (e un grande dolore) nel cavo di un albero; non confidato allo spettatore, che lo conosce bene! In un luogo – Angkor – sopravvissuto al tempo e alle vicende umane e perciò stesso fuori dal tempo

Grande Gianni e grande film! Cento di questi incontri!

 [by Sandro – 22.03.2013]