segnalato in redazione dall’amico Gabriele C.; lo pubblichiamo volentieri.
.
Dalla pagina Fb “Alba Persiana”, data 18 luglio 2018 – https://www.facebook.com/search/top/?q=alba%20persiana
Noi in Iran viviamo malissimo ma c’è una cosa della nostra cultura che adoro, ed è quella di avere una lingua bellissima, una letteratura meravigliosa.
In persiano, per esempio, i profughi si chiamano PanahJou (پناهجو).
Panah non ha un equivalente in italiano (o forse sì?).
Quando eravate piccoli, vi era mai capitato di perdervi nel parco? Ricordate la sensazione di terrore quando con gli occhi spalancati, cercavate la vostra mamma? E quando lì, da lontano, la vedevate correre verso di voi, vi ricordate la sensazione di immensa pace e felicità?
Quella sensazione è Panah.
Siete mai stati lontani da casa per tanto tempo? Avete presente quella sensazione di nostalgia e felicità quando con la macchina girate nella vostra strada e da lontano vedete la vostra casa e sapete che tra pochi minuti, abbraccerete la vostra famiglia e tutti i vostri cari che vi aspettano con gioia e impazienza?
Quella sensazione si chiama Panah.
Avete perso una persona molto cara? Immaginate di essere lì, al funerale, qualcuno vi chiama, vi girate e vedete un vecchio amico, molto caro, che non vedevate da tantissimo tempo e che non pensavate di rivedere mai più. Lo abbracciate piangendo, piangendo forte.
Quella sensazione di sfogo e di tristezza si chiama Panah.
Invece “Jou” vuol dire “una persona alla ricerca di…”
Noi chiamiamo i profughi PanahJou: persone alla ricerca di quell’abbraccio, di quella sensazione.
Forse non servirà a guarire questa malattia di odio e di intolleranza che si sta diffondendo nella società italiana, ma forse smettere di chiamarli i “migranti”, “naufraghi”, “clandestini”, “quelli lì” potrebbe essere un inizio.