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Per una volta parliamo di Torre Del Greco (2)

segnalato da Biagio Vitiello

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 Il contatto con la redazione di www.latofa.it [1] è andato a buon fine. Presto avremo altri interessanti scritti in collaborazione con quel giornale/sito.
La Redazione

Tra un’eruzione e l’altra
Avvenimenti e personaggi torresi del ’700 e dell’’800 (parte seconda) 

[2]

La sommità tronca del vulcano dopo il 1794, da Torre del Greco

di Giuseppe Di Donna

 Intanto erano giunte anche a Torre a fine settecento le idee della rivoluzione francese, portatrice di rinnovamento sociale.
Esse permeavano l’intera Europa ma i torresi, di natura pragmatica, erano piuttosto presi dalla febbre del corallo. A Torre tuttavia non mancarono presenze massoniche e giansenistiche come quelle di G. de Bottis, S. Loffredo, G. d’Istria.
Il vento del cambiamento giunse dalla Francia con un esercito guidato dal generale Championnet che invase Napoli causando nel regno scaramucce, guerriglie, tumulti fra repubblicani e realisti fedeli al re Ferdinando IV.
In quel periodo gli animi furono accesi, notevole l’odio che si respirava e c’era chi se ne approfittava, in nome di un qualche ideale o piuttosto per mero tornaconto, con vendette, rivalità e razzie, perpetrate soprattutto da delinquenti.
La mite anima del parroco santo Vincenzo Romano (1751-1831) tentava di stemperare gli odi e i dissapori tra le opposte fazioni a Torre. Dopo lo scoppio della Rivoluzione napoletana, agli inizi del 1799, fu nominato presidente dell’Alta Commissione militare, Giorgio Pagliacelli.
Esemplari furono le numerose condanne in tutto il Regno. Il tribunale militare inflessibile, ad aprile del 1799 aveva deciso di punire con dieci condanne a morte un gruppo di giovani di Torre accusati di aver assaltato la tenuta del ‘cittadino’ Giuseppe Mazza, rubando oggetti di valore e titoli, nonché di aver fatto irruzione nell’eremo dei padri camaldolesi apostrofandoli come giacobini, pronunciando frasi irriverenti e gettando al suolo il crocifisso.
Il re, preoccupato dalla critica situazione, scappò a Palermo con la sua famiglia. Nella nostra cittadina, come in altri luoghi, fu eretto l’albero della Libertà sotto il quale S. Loffredo esclamò pubblicamente: “spuntasti alfine o giorno aspettato e tanto felice”. Ma questo giorno durò poco. L’albero della Libertà fu trasformato in una croce, da qui il toponimo (’u Vico ’ra Croce). Infatti nel giugno del 1799 ci fu nelle nostre contrade l’estrema resistenza dei repubblicani con scaramucce tra le truppe di Schipani e i realisti, fino all’arrivo della bande di Ruffo e la conseguente restaurazione borbonica. Le aspirazioni libertarie furono soffocate dalle bande della Santa Fede che posero fine all’effimera repubblica partenopea, costruita su modello francese. Pagliacelli fu impiccato dai Borboni nell’ottobre dello stesso anno assieme a Cirillo e Pagano, così come il governatore di Torre, N. Fiorentino.
La politica del re Ferdinando era ambigua verso la Francia e, preoccupato di un’altra invasione napoleonica, nel 1806 scappò di nuovo a Palermo.

I francesi avevano di nuovo riconquistato il regno di Napoli. Sul trono di Napoli si insediò Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, e con lui ebbe inizio il decennio francese, dal 1806 al 1815. Abolì il sistema feudale dal Regno di Napoli, facendo di ogni paese libero comune. Veniva destituito il baronato dei Langella. Con la caduta di Napoleone nel 1810 Ferdinando tornò a Napoli. I torresi continuavano a pescare o a coltivare il suolo e i pochi antirealisti tacevano in attesa di tempi migliori. Le attività benefiche in quel periodo non mancavano, nel 1813 infatti un ulteriore ritiro, che si aggiungeva a quelli della Visitazione, delle Trinitarie e Teresiane (scappate da Torre nel 1794), fu voluto dal zelante sacerdote torrese Giuseppe Brancaccio, apostolo della gioventù e fervente educatore, che edificò a sue spese una chiesa dedicata a San Giuseppe Colasanzio, presso l’attuale via Comizi. Sarebbe diventata la Chiesa dell’Addolorata con annesso il monastero delle suore dell’Addolorata e S. Croce. Venivano rinchiuse le figliuole delle più ricche famiglie di Torre, alle quali si insegnava l’arte del ricamo e del cucito. Ebbero sede a Roma ma il loro apostolato si espanse fino in Brasile.
Il municipio torrese avrebbe voluto una fusione con gli altri ordini presenti all’epoca ma esse pare che si siano opposte rivendicando all’origine una fondazione privata e forse un lignaggio diverso dalle altre istituzioni. L’oratorio della chiesa divenne cappella serotina in onore di G. Colasanzio, presso la quale veniva impartita ai ragazzi la dottrina cristiana. Nel ’700, grazie alla ricchezza di Torre, erano numerose le istituzioni benefiche che non mancarono nei secoli successivi (1).

Ferdinando II successe al I nel 1830. Fu di stampo autoritario ma fu l’artefice della prima ferrovia italiana, inaugurata nel 1839. Il nuovo rione mare, nato dopo il 1794 su progetto di I. De Nardo, fu tagliato da tre larghe strade di cui una avrebbe permesso alla nascente ferrovia borbonica, progettata da Bayard, di proseguire verso Salerno nei successivi anni. Ma il fuoco spento nel 1806 si stava riaccendendo e dava vigore alle nuove idee libertarie e risorgimentali.
Durante la tirannide di Ferdinando, fu arrestato nel 1848 e poi assassinato il torrese massone S. Brancaccio, martire della resistenza antiborbonica, seviziato dalla polizia borbonica in quanto accusato, insieme ad altri, di aver attentato alla vita di Pio IX, ultimo Papa dello stato pontificio che ebbe critiche contro per la sua condotta di vita, nonostante fosse stato intentato un processo di beatificazione. Intanto le idee risorgimentali avanzavano.
Nella nostra citta-dina non mancavano carbonari (a volte travestiti da papuoti) ed una setta era presso il convento dei padri Francescani. Si racconta di episodi avvenuti in quel periodo a Torre, come quello del 1860, riportato dallo studioso Ettore Regina, che vide coinvolta la statua di S. Gennaro presso i Carmelitani Scalzi, i quali erano stati espulsi in quell’anno assieme ai cappuccini e ai camaldolesi. Il Santo, ritenuto un conservatore, si trovò in balia dei rivoluzionari.
La famiglia napoletana Nasta, che villeggiava nei pressi della chiesa, estirpò in tempo dal petto della statua, per proteggerla dai rivoluzionari, una reliquia che fu donata alla basilica di Antignano. Si tenne, per tale avvenimento, nella zona del Vomero, una solenne pro-cessione con la presenza di numerosi aristocratici. La reliquia pare che fosse stata riconosciuta tale da Papa Pio IX, ma non dal cardinale Prisco. La statua del Santo, non vi saprei dire se questa o un’altra, fu poi tagliata per farne legna da bruciare.
La libertà dei torresi era imminente, desiderata fin dal lontano 1522 con la ricapitolazione degli statuti, poi con il riscatto del 1699 e finalmente nel 1860 con l’unificazione d’Italia.
Su quella stessa linea ferroviaria voluta dal Borbone sarebbe passato esultante Giuseppe Garibaldi il 7 settembre del 1860, per la zona costiera vesuviana e per Torre del Greco, salutando il liberale massone Pietro Palomba, figlio di quel Raffaele di stampo borbonico visto nella puntata precedente. Avrebbe fatto parte del novello parlamento nazionale.
Un garibaldino di origine milazzese R. Di Palma sarebbe morto a Torre del Greco nel 1861.

Scrisse George Alfred Henty che a Torre del Greco e Portici il cammino dell’eroe dei due mondi diventò quasi impossibile per l’esultanza degli astanti, per cui il treno dovette procedere a passo di lumaca fino a Napoli.
Le strade del quartiere della marina (via Unità italiana, della Libertà e corso Garibaldi) ricordano tale glorioso avvenimento.
L’anno dopo sarebbe avvenuta l’unificazione d’Italia accompagnata dal botto del Vesuvio, causato da un tremendo sisma eruttivo con gravi danni per Torre (vedi La Tofa n° 185-186).
L’8 dicembre del 1861 si aprì una frattura principale a Montedoro che si propagò fino al mare per un chilometro, tagliando Capotorre insieme a faglie minori.
La mattina del 9 si ebbe un sollevamento del suolo con conseguente sommovimento del mare e con fuoriuscita di letali mofete le cui emissioni durarono fino al 1865.
Il bradisisma provocò il crollo di numerosi edifici costruiti dopo il 1794. Allora la popolazione era sui 24.000 abitanti. Alcuni anni dopo in ricordo dello scampato pericolo ci fu il primo carro trionfale dedicato all’Immacolata.
I filo-borbonici esuli scrissero disgustati di un episodio, forse inventato, per mettere in cattiva luce i filo-italiani torresi: la Vergine Immacolata era stata vestita con il tricolore. Ella sarebbe diventata la nostra protettrice. Lo scrittore corso filo-borbonico Oscar de Poli, in un suo testo del 1865, elogia Francesco II, sostenendo che, nonostante il tradimento dei torresi, il re li volesse aiutare dopo l’eruzione del 1861 ma che essi avessero rifiutato tali soccorsi. Nello stesso scritto il corso evidenzia come il nuovo governo spogli i monaci dei loro fondi e trafughi la ricca biblioteca e i quadri della antica chiesa camaldolese come pure di altri ordini religiosi a Torre. Non sappiamo se sia stato vero o solo propaganda politica. Tuttavia il corso forse dimenticava le ruberie francesi compiute dai rivoluzionari che spogliarono di molti beni l’Italia.
Il Risorgimento torrese, nella nuova aria di rinnovamento, vide in prima fila, oltre al patriota giureconsulto Diego Colamarino (1837-1888) e il generale Crescenzo Mazza, anche il giornalista massone torrese Giovanni De Francesco, nato a Torre nel 1836, un antesignano del giornalismo investigativo, dedito alla critica e alla polemica, cosa che gli procurò numerosi nemici. Egli, dopo aver partecipato a diverse campagne risorgimentali, si trasferì a Cagliari divenendo prima direttore del Corriere della Sardegna e poi fondatore dell’Avvenire della Sardegna. Morì a Cagliari nel 1914, lasciando numerosi scritti e opuscoli di interesse storico ed economico.

La popolazione dopo l’eruzione del 1861 incrementò. La città fu riedificata con nuove strade e palazzi assumendo un aspetto moderno. L’intera economia fondata sulla pesca e la lavorazione del corallo faceva sì che il governo cittadino venisse rappresentato da una massiccia presenza di una borghesia benestante liberale di proprietari di case e di armatori. Di pari passo con la pesca del corallo, l’industria corallifera si incrementava lungo la filiera con sviluppo del settore secondario e terziario: botteghe per la lavorazione del corallo (la prima fabbrica fu fondata dal marsigliese Martin), botteghe per la lavorazione di accessori alle feluche (vele, remi, funi, ancore, chiodi, etc.), la fabbrica delle gallette, dei cordami, società per l’assicurazione marittima, società di credito popolare per raccogliere capitali e risparmi grazie alla pesca e alla lavorazione del corallo.

Nel 1878 fu fondata la scuola di incisione sul corallo. A fine ’800 la presenza di compagnie assicurative, di istituti di credito e società di mutuo soccorso, derivate da una ricca tradizione che ha inizio nel ’500, resero Torre una cittadina prospera rendendola ancora più autonoma dal capoluogo. Di pari passo si ebbe a fine ottocento anche un risveglio culturale con la nascita di giornali locali (Il Momento ed il Corriere Vesuviano) diretti da O. Maglione e R. Pane.

Gli effetti della microglobalizzazione iniziata dagli anni ’80 del secolo scorso ufficializzata con la nascita delle province e l’istituzione della città metropolitana, voluta da una certa classe di politici per scopi puramente speculativi, ha provocato la “napoletanizzazione” dell’intera area vesuviana, con effetti dannosi sulle specifiche autonomie ed economie locali.

 

Nota (1)
Attraverso lasciti testamentari e elargizioni benestanti torresi donarono terreni e case per ospitare alcuni ordini tra i quali si ricordano:
– Le suore Battistine di Angri giunte a Torre nel 1899 giunsero. Il loro ordine fu fondato dall’angrese S. Alfonso Maria Fusco. Furono monache questuanti e il loro scopo educativo era rivolto ai bambini poveri. Durante una questua a Torre incontrarono una giovine di nome Rosina che vestì l’abito delle Battistine con il nome di suor Maddalena del Santo Sepolcro.
– Le suore di clausura benedettine dal 1927 di S. Geltrude di Maria Geltrude d’Arce dei Principi Caracciolo di Avellino, con chiesa ed orfanotrofio.
– Le suore Agostiniane di S. Rita appartenenti alle suore della Carità fondata da S. Giovanna Antida.
– Le suore dei “servi dei poveri” del beato Cusmano presso il ricovero della Provvidenza.
– Le suore Goriziane il cui fondatore fu Luigi Scrosoppi presenti a Torre dal 1965.
– Le Filippini (La Tofa n. 184) sul C.so Vitt. Emanuele.

[Da www.latofa.it – La tófa n° 271; 8 aprile 2018 ; 2 – Fine]