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Al mare con la foto della moglie che non c’è più

segnalato da Sandro Russo
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Abbiamo pubblicato stamane sul .pdf estratto da LT Oggi (cronaca del Golfo, pag. 30) – leggi in Rassegna Stampa [2] odierna – la notizia e la foto scattata sul lungomare Caboto a Gaeta.

Non immaginavamo di ritrovarla rimbalzata e moltiplicata dal tam tam del web, addirittura oggetto di un articolo (in prima pagina de la Repubblica e seguito nelle pagine interne) a firma di Elena Stancanelli, una giornalista e scrittrice brava di quel giornale.

Oltre al ritaglio da LT Oggi (cliccare per ingrandire), riportiamo integralmente l’articolo, con un solo commento sulla frase finale: “né con te né senza di te” (ni avec toi, ni sans toi). Ripresa dal finale de “La signora della porta accanto” (La femme d’à côté), film di François Truffaut del 1981, con Gerard Depardieu e Fanny Ardant: la storia di un amore folle e tragico tra un lui e una lei che non possono vivere né insieme né separati (ciascuno con un nuovo compagno/a).

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Commenti
Il caso
L’amore vive in una foto

di Elena Stancanelli

L’amore degli altri, l’amore ai tempi di qualcos’altro, l’amore dopo l’amore… Non c’è attività umana che non si alimenti dello struggimento, del piacere dell’assenza. Ci commuove quell’uomo anziano che porta ogni giorno la foto della moglie davanti al mare. Siede in silenzio, piange, forse ricorda. Non sa più stare in una vita senza di lei e quindi si accontenta di evocare un fantasma. Poco importa che andarsene ogni giorno al mare con una cornicetta, posarla vicino a sé e disperarsi appaia, a una mente lucida, un comportamento inquietante, persino un po’ spaventoso a voler essere onesti. Come le madri che apparecchiano il posto a tavola per il figlio morto, o quelli che conservano sul comodino le ceneri del gatto.

Ci commuove e basta, perché immaginiamo che quel marito e quella moglie abbiano vissuto accanto tutta la vita, attraversando tutte le esperienze insieme, uniti per sempre in matrimonio. Ci commuove anche se nessuno di noi ha più la minima idea di cosa significhi “per sempre”. Viviamo amori spezzettati, relazioni multiple e seriali, nel migliore dei casi ci incontriamo tardi, più che adulti, dopo aver già sperimentato parecchio e quindi del tutto sprovvisti di innocenza e verginità. I nostri amori sono brevi viaggi, staffette tra una solitudine e l’altra. Non aspirano a nessun assoluto, sono per natura fragili e imperfetti. Ma non sono meno emozionanti. Sono belli i nostri amori, o anche brutti, ma comunque sono i nostri, quelli che abbiamo a disposizione in questo nostro tempo, convulso e volgare.
Eppure quello che ci fa struggere è un uomo rimasto solo dopo aver diviso la sua intera esistenza con un’altra persona. Un unicorno, un dinosauro, qualcosa di estinto sulla terra. Ma non perché lì ci fosse maggiore romanticismo: nessuna persona sana di mente direbbe che un quieto matrimonio contiene in sé maggiore carica emotiva di un flirt, un innamoramento, un’improvvisa fiammata tra due corpi. La ragione per cui quel vecchio ci fa struggere, è che si tratta di qualcosa che non esiste più, che non è più alla nostra portata.

Dovessi spiegare a qualcuno che cosa abbiamo venerato in questi nostri anni — peggio, che cosa abbiamo considerato rivoluzionario — direi la nostalgia. Ogm, vaccini, detersivi… è infinito l’elenco di ciò che stiamo rifiutando in nome della nostalgia.
Siamo diventati regressivi, infantili e passatisti, ce la prendiamo con la scienza, ci rifugiamo nei miti e nelle ricette della nonna. Colpa della velocità, diciamo. Tutto corre e si trasforma con tale precipitazione, che i nostri sentimenti non possono che tentare di ancorarsi a quello che sanno, o sapevano.
Più il mondo si affanna, più noi arranchiamo. Vero, certo. Ma anche molto pericoloso. La nostalgia è un giudice severo e un po’ miope, che rischia di vanificare libertà acquisite, conquiste civili, razionalità. Piuttosto che rimpiangere amori eterni, impariamo piuttosto ad amare questi nostri amori poco epici, evitando così di trasformarli in tragedie del “né con te né senza di te”.

[Da la Repubblica del 7 luglio 2018]

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La storia
Amore eterno
Il vecchio (la foto) e il mare “L’immagine della mia Ida è ciò che mi tiene in vita”
Gaeta, parla il pensionato dello scatto virale “La porto sempre con me e mi sento meno solo”

di Caterina Pasolini

Un pensionato, in canotta e pantaloni corti, guarda il mare sotto il sole del mattino.
La testa piegata, pensieroso. Accanto tiene stretta la foto della moglie morta, rivolta verso le onde come se anche lei potesse ancora una volta godersi la brezza. Questa immagine, scattata da un ristoratore di Gaeta, ha commosso la rete e svelato una storia d’amore che sa di antico e di rimpianto, difficoltà e piccoli e grandi segreti. Una storia nata tra due adolescenti e durata 40 anni.

Giuseppe Giordano, 70 anni, tre figli, una vita alla Sip in giro per l’Italia prima della pensione, da quella foto non si separa mai.

Perché la porta in giro?
«Io vivo per questo pezzo di carta, lo so che è solo una fotografia ma mi aiuta da quando mia moglie non c’è più. La metto a capotavola quando mangio, la guardo negli occhi, le parlo, la appoggio sul cuscino prima di andare a dormire. E così ho l’impressione di avere la mia Ida sempre vicino, e mi sento meno solo. I figli sono affettuosi, ma con lei il rapporto era diverso e in qualche modo continua. La porto in collina dove passeggiavamo, mi siedo sulla stessa panchina con la sua fotografia incorniciata, andiamo in riva al mare dove nuotavamo da ragazzini e la metto in modo che guardi il mare accanto a me. E le compro dei regali».

Quando vi siete conosciuti?
«Dovevamo fare compagnia a una coppia di amici che non potevano uscire da soli, e invece ci siamo baciati subito. Io avevo 16 anni, lei 17. È stata la prima donna della mia vita e il vero amore. Quando per un anno ho lavorato a Milano come apprendista nel settore radio tv ci scrivevamo lunghe lettere, poi sono tornato a Gaeta, abbiamo continuato a stare assieme ma è arrivato il militare e i problemi a casa».

Genitori contrari?
«Quando io sono partito a 20 anni per il servizio militare lei aspettava il nostro primo figlio, ma io non lo sapevo. Al quarto mese i suoi l’hanno scoperta e cacciata di casa, così è andata a stare dai miei, che le sono stati vicino quando ha partorito, mentre io non potevo tornare subito dal servizio di leva.
Ma il problema è che loro non volevano il matrimonio, le famiglie non si piacevano e così noi ci siamo sposati senza genitori. Era il 13 luglio del 1969. L’anno prossimo sarebbero stati 50 anni».

Amore e discussioni?
«Le uniche baruffe erano per il frigorifero, forse perché aveva fatto la fame, Ida lo stipava di roba, spesso ci trovavi roba scaduta da settimane. Uno spreco di soldi».

Cosa pensava di lei?
«Era lei era la colonna di casa, cresceva i nostri tre figli, io dal lunedì al venerdi per anni sono stato in giro per l’Italia. Eppure Ida mi faceva sentire bravo, mi metteva su un piedistallo, diceva che sapevo aggiustare tutto, aiutare chi aveva bisogno. Quando mi hanno mandato in pensione, a 50 anni, abbiamo riscoperto la bellezza di stare insieme 24 ore al giorno, tutti i pomeriggi a passeggiare tra mare e colline, perché lei in casa non ci voleva stare».

Poi è arrivata la crisi…
«Nel 2005 con grande fatica le ho detto l’unico segreto che mi tenevo da anni come un peso, una cosa brutta brutta. Lei si è offesa, era gelosa, non ci parlavamo, ci siamo scritti lunghe lettere. Poi so solo che mi ha perdonato e da li è cominciata la nostra prima vera luna di miele, chi mai aveva avuto tempo e soldi e per farla a vent’anni…. Il nostro rapporto è ricominciato meglio di prima, ma è durato troppo poco, nel 2011 si è ammalata,ed è morta in pochi mesi. Io però non vado a trovarla al cimitero».

Perché non va a trovarla?
«Lei mi prendeva in giro dicendo che, come non andavo dai miei parenti, non sarei mai andato a portarle i fiori al cimitero. Così ho deciso di tenere le sue ceneri a casa, adesso le rose le ha fresche, sempre, e io la sento vicina». Come quando in questi giorni di sole va al mare dove nuotavano assieme da ragazzini. Nello stesso posto. Per non dimenticare. Per sentirsi ancora vivo, amato da quella donna che lo sapeva capire e perdonare.

[Da la Repubblica del 7 luglio 2018]