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Quelli che…

proposto da Sandro Russo
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In questi giorni bui – degli esordi del nuovo governo con le esternazioni del nostro prode ministro degli Interni, di quell’altro fiero condottiero di popoli, stavolta oltre-oceano, che mette in gabbia i bambini; e infine con i coraggiosissimi eroi di casa nostra, che quasi ammazzano di botte un cane e lo buttano ancora vivo nel cassonetto dei rifiuti – (la notizia è sul .pdf di Latina Oggi come riportiamo in Rassegna Stampa odierna) -, ho sentito molto citare dei versi attribuiti a Brecht che anche noi anni fa abbiamo riportato sul sito (febbraio 2012: leggi qui [2])

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari 
e fui contento, perché rubacchiavano. 

Poi vennero a prendere gli ebrei 
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. 

Poi vennero a prendere gli omosessuali, 
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. 

Poi vennero a prendere i comunisti, 
ed io non dissi niente, perché non ero comunista. 

Un giorno vennero a prendere me, 
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Attribuiti a Bertold Brecht, poeta, drammaturgo e regista teatrale tedesco; ma in realtà di altro autore, Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller (1892-1984), teologo e pastore protestante tedesco, oppositore del nazismo, più volte rimaneggiati, nel corso degli anni…

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Con una diversa voce e un altro registro mi sono venuti  in mente il folgorante inizio (con filmati di 70-80 anni fa che scorrono insieme alla colonna sonora di Jannacci) e tutto il film di Lina Wertmüller del 1976, Pasqualino Settebellezze, con un grande Giancarlo Giannini…

Nel ’77 candidato a quattro premi Oscar: miglior film straniero, migliore regia (prima regista donna mai candidata all’Oscar), miglior attore protagonista e migliore sceneggiatura originale, non ne vinse nessuno, ma il capolavoro resta. Come non si dimentica la storia di Pasqualino, che si presta a tutte le bassezze pur di sopravvivere nella dura realtà di Napoli, negli anni intorno alla seconda guerra mondiale, inclusa l’esperienza in un campo di concentramento tedesco, dove trova comunque il modo di barcamenarsi diventando l’amante della laida kapò del campo.

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Ma la scena che più si imprime nella memoria è quella di Pedro (Fernando Rey), l’anarchico spagnolo che davanti all’ennesima crudeltà dei nazisti di mettere i prigionieri uno contro l’altro, si ribella e inizia ad insultare gli aguzzini. Quindi, inseguito dalle guardie, si suicida gettandosi nel fosso della latrina.

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A guerra conclusa e quando tutto è finito, nel finale del film, Pasqualino osserva la sua immagine nello specchio che non riflette più il volto del guappo fiero e puntiglioso che era, ma quello di un uomo sconfitto, umiliato e ferito.
E alla madre che cerca di rincuorarlo: «Il passato è passato, non pensarci più a queste miserie! Tu sei vivo! – replica amaramente: – Sì… sono vivo.

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Imperdibile l’apertura con i titoli di testa di “Pasqualino Settebellezze”, con la canzone “Quelli che…”, una delle più geniali di Enzo Jannacci.

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