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Madamoiselle al confino (prima parte)

di Rita Bosso

 

La lettera che segue – che pubblichiamo in due parti – è stata scritta da Margherita Durand, compagna di Cesare Rossi dal 1926; diventerà sua moglie nell’autunno del ’41.
Sulla figura di Rossi, sul suo soggiorno a Ponza e sui privilegi di cui godeva abbiamo già scritto (leggi qui [1] e qui [2]).
Il destinatario della lettera è, presumibilmente, il giornalista Guglielmo Giannini che nel 1944 fonderà Il Fronte dell’Uomo Qualunque.
Margherita afferma che sull’isola manca un cinema. Non è vero: è in funzione il cinema Primo a via Corridoio. È però vero che ai confinati non è permesso accedervi.
Rossi ha preso in affitto una casa a Sant’Antonio, al secondo piano del palazzo in cui  oggi si trova il bar Onda Marina. Appena giunto a Ponza, Rossi si sistema in una casa a pianterreno ma è disturbato dal “vocìo delle donnette in strada”; si mette alla ricerca di una sistemazione più comoda, anche perché ha in programma di sposarsi e prevede di dover ospitare la suocera, rimasta vedova. La casa di Sant’Antonio era ed è un bellissimo  appartamento signorile vista mare ma, evidentemente, non soddisfa madamoiselle Durand.

Cesare Rossi

Ponza, 23 giugno 1941

Egregio Signor Giannini,

Grazie per il volume che mi avete inviato e che leggo con molto piacere. La lettura, purtroppo, è il nostro unico passatempo su questo scoglio ove la nostra esistenza diventa sempre peggiore e addirittura impossibile.

Siamo obbligati a restare sino alle otto di sera tappati in casa, perché il sole dardeggia ovunque – e quando non c’è il sole c’è il vento – e non si trova un albero, in tutta l’isola, a pagarlo a peso d’oro! Poi le mosche, le pulci, le zanzare, le formiche ci assediano notte e giorno. Il paese non offre il benché minimo svago: né un cinema, né un caffè decente, né un luogo per passeggiare, almeno di arrampicarsi, in mezzo ai ciottoli, su sentieri di capre.
La vita è più cara che a Roma e tutto – ossia quel poco che riesce ad arrivare col piroscafo, che giunge quando gli pare e non più di due volte alla settimana – viene dal continente, sicché il prezzo di ogni genere raggiunge prezzi proibitivi ed astronomici. In quanto al pane – 200 grammi a testa, uno dei pochissimi Comuni con tale basso regime – è semplicemente immangiabile, perché non si sa di cosa composto: magari fosse di puro granturco come a Roma! Noi siamo costretti a farlo abbrustolire per poi mangiarne solo la crosta; il resto biscotti di difficile ricerca.
Aggiunga che l’ambiente non è proprio quello nostro; gente buona in fondo ma rozza, pettegola, fiacca: è assolutamente impossibile che noi – specie quando, a fine Agosto, ricominceranno i venti impetuosi – si rimanga qua. La casa – ed è una delle migliori – è costruita con finestre e porte tutte d’infilata; quindi correnti micidialissime, alle quali non si può rimediare. La mamma, tanto delicata dei bronchi e dei polmoni, rischierebbe di morirvi. In quanto a me che – come ricorderete – soffro di crisi d’appendicite, qui sarei nell’impossibilità di farmi curare perché non esiste il menomo ospedale, né pronto soccorso o qualsiasi chirurgo, e se si deve attendere il piroscafo che viene – quando il tempo è bello – ogni tre giorni, l’intervento chirurgico non giungerebbe in tempo.
Naturalmente ci dorrebbe molto lasciare qui solo Cesare, dopo tanti anni di separazione. Egli per suo conto conosce molto bene la sua situazione giuridica e non ignora che beneficia – unico negli annali penitenziari e penali – di un trattamento di estremo favore.
Dice che finché non si liquida quella pendenza di pena che deve ancora scontare, non potrà essere del tutto libero.