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Memorie di un “attaché” e di un giornalista di agenzia

di Giuseppe Mazzella di Rurillo
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Sono stato per 26 anni – dal 1976 al 2002 – “addetto stampa di un ente pubblico” e per 26 anni – dal 1980 al 2006 – anche “corrispondente e collaboratore” di una agenzia di stampa.
Questo lungo periodo è passato negli anni della “maturità” e della “responsabilità”. Passata l’irrequietezza giovanile di inizio carriera nel piccolo giornale locale e nella realtà piccola ma abbastanza importante come l’isola d’Ischia – considerata comunque sempre un “piccolo centro” dalla stampa nazionale e regionale – e la voglia di “farsi spazio” anche con i servizi “scandalistici” pagati a pezzo (ho collaborato perfino al settimanale scandalistico degli anni ’70 “ABC”!) assumere a 26 anni un incaricato di responsabilità presso un grande Ente come era la Provincia di Napoli mi costrinse all’“autoformazione”, ad imparare un nuovo “mestiere” che allora non aveva nemmeno la dignità di “lavoro giornalistico”.
Infatti l’Ordine dei Giornalisti non considerava gli “uffici stampa” lavoro giornalistico né questo lavoro poteva per la Federazione della Stampa Italiana (FNSI) essere considerato oggetto di contrattualizzazione giornalistica.
Non esistevano allora né scuole di giornalismo né l’Ordine teneva corsi per “crediti formativi”.
Entrai infatti in Provincia come “impiegato di concetto”, vincitore di concorso pubblico, ma la conoscenza politica fu importante per un incarico che veniva considerato “politico” come l’“addetto stampa” che era preposto a mandare ai giornali, alle agenzie ed alla RAI solo le notizie che il capo politico della Amministrazione desiderava diffondere.
L’autonomia dell’“addetto stampa” era molto limitata.

Così dovetti imparare come si scrive un “comunicato stampa” o una “notizia per la stampa”. La stampa cittadina non aveva in grande considerazione gli “addetti stampa”, considerati poco più o poco meno di “portaborse”.

Ma fin dall’ inizio della mia attività cercai di conquistarmi una “professionalità” in questo lavoro ed aderii al Gruppo Giornalisti Uffici Stampa (GUS) che allora nasceva a Napoli per iniziativa di Claudio Azzolini che era l’addetto stampa della compagnia area ATI-ALITALIA. In venti e più anni non facemmo molti passi in avanti sia sul terreno della “professionalità” sia su quello “normativo-economico”.
Non facemmo passi in avanti nemmeno con un Gruppo che costituimmo per iniziativa del capo redazione dell’Agenzia Giornalistica Italia (AGI), Eugenio Ciancimino, costituito da “giornalisti che si occupavano delle cronache della Regione e degli enti locali” che chiamammo “Gruppo dei Giornalisti Politici”.

Ma non facemmo passi in avanti nemmeno nella considerazione dei “politici” dei nostri enti locali perché questi politici cambiavano di partito ad ogni elezione sostituendo altri di altro colore e quindi avevano il loro proprio nuovo staff.

Qualcosa cominciò a cambiare verso gli anni ’90 con l’approvazione della legge 241/90 sulla trasparenza degli atti amministrativi e la richiesta di accesso agli atti del cittadino. La legge imponeva per ogni ente locale la costituzione dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) in uno con la riforma della Pubblica Amministrazione. Così nacque per gli enti pubblici la differenza tra “Comunicazione” e “Informazione” che portò alla legge 150 del 2000 che riconosceva la figura dell’“addetto stampa” per l’“informazione” e del “comunicatore” per l’URP con buone possibilità di unire le due funzioni. Ma la legge prevedeva per l’accesso una Laurea in discipline economiche, giuridiche, politiche. Insomma: unità tra “tecnica” e “cultura”.

Sia la 241/90 e sia la legge 150/00 hanno avuto “discrezionalità” di applicazione negli enti pubblici. C’è chi ha applicato entrambe le leggi – al Nord ed al Centro d’Italia e ne sono prova i Forum della Pubblica Amministrazione che si tengono a Roma da venti anni! – ma anche chi – soprattutto gli enti minori del Mezzogiorno come i sei comuni dell’isola d’Ischia – non ha applicato né la prima né la seconda. Sono passati 28 anni dalla 241 e 18 anni dalla 150!

Nel 2002 capii che non avremmo mai raggiunto i nostri obbiettivi e gli ultimi 8 anni della carriera li ho fatti da “funzionario amministrativo” forte di una competenza nella burocrazia di una Pubblica Amministrazione che un addetto stampa deve necessariamente conseguire per la tipicità del lavoro.

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Il modello al quale mi sono ispirato per il “giornalismo di ufficio stampa” è stato quello del “giornalismo d’agenzia” e per questo continuo aggiornamento professionale ho mantenuto le collaborazioni, perfettamente compatibili, prima con l’AGI e poi per 26 anni con l’ANSA, la più importante agenzia di stampa nazionale, dove vigevano le chiare indicazioni del mitico direttore Sergio Lepri, valide ed impegnative per tutti dal redattore capo all’ ultimo collaboratore-corrispondente.
Così nello scaffale dell’ufficio c’erano sempre i due “manuali”: quello di Paolo Murialdi “Come si legge un giornale” e quello di Sergio Lepri ed altri sul “Linguaggio giornalistico”.

Ho ritenuto che quanto si richiedeva al giornalista dell’ANSA si deve richiedere anche al giornalista di ufficio stampa e che l’ufficio stampa di un ente pubblico è una vera e propria “agenzia di stampa”.

I 12 punti di “deontologia professionale” per un giornalista dell’ANSA fissati dal direttore Sergio Lepri erano la “Bibbia”: “il giornalista dell’ANSA è un cittadino come un altro: ha il diritto di possedere convinzioni politiche ma non quello di fornire, attraverso l’agenzia, la sua personale visione delle cose o peggio ancora di mirare, con la manipolazione o l’omissione delle informazioni, ad un obbiettivo di parte; deve sentirsi testimone degli avvenimenti non protagonista; deve “aderire ai fatti”; deve essere “imparziale”; deve essere “completo nelle informazioni” che devono essere esatte e l’esattezza è ancora più importante della “rapidità” e per l’ANSA non ha importanza arrivare “tardi” se questo “ritardo” è speso per il controllo della notizia.

Infine il “linguaggio”: le notizie devono sembrare scritte tutte da una stessa mano; sono importanti il “lead” delle prime righe e la regola eterna delle cinque W [(*) – vedi nota in fondo all’articolo].
Se queste regole sono “Decalogo” puoi anche, come ho fatto, oltre l’Agenzia su un giornale regionale o locale “esprimere la tua Opinione”. Ma i “Fatti” ne sono la base.
Se oggi l’ANSA sia quella di Sergio Lepri non lo so perché ne sono fuori da 12 anni.

Sono sempre stato fedele a queste regole con la mia sigla W05 e con la presidenza dell’indimenticabile Amato Lamberti che era un sociologo, un giornalista ed un professore universitario impegnato nella lotta alla legalità riuscii a trasformare l’ufficio stampa della Provincia in Agenzia Stampa della Provincia di Napoli” con i colleghi Antonio Vista e Mimmo Pennone soprattutto negli anni che vanno dal 1995 al 2001 in cui il Presidente Lamberti tentò un forte rilancio del ruolo e delle funzioni della Provincia ai sensi della legge 142/90. Ma il Mondo veniva anche rivoluzionato dall’informatica e dalla telematica.

Non ho conservato un “diario” di quei sette anni di tutte le iniziative messe in atto e di quella “voglia” di partecipare al “Rinascimento di Napoli” che ci fu anche grazie alla Presidenza di Amato Lamberti che – morto nel 2012 – dovrebbe essere ricordato non solo come il lottatore contro l’illegalità e la camorra ma anche come un capace amministratore locale il cui esempio dovrebbe essere seguito anche e ancor di più oggi in tutti i livelli di governo della Repubblica.

In lingua francese il termine “addetto” si traduce in “attaché” ed è applicato soprattutto in diplomazia. Spesso viene usato nel linguaggio italiano come dispregiativo ad indicare un comportamento “servile”.

Viviamo tempi difficili e constato che gli “addetti stampa” – giovani o meno giovani – vivono tempi duri per la scadente classe politica che ovunque ci ritroviamo ed i giovani non trovano un lavoro adeguato al loro titolo di studio e soprattutto vivono questa assurda precarietà lavorativa con una enorme discrezionalità del potente di turno. Questo stato di cose va a scapito di quella “dignità professionale” che ho sempre ricercato.

Se abbiamo fatto passi in avanti o invece passi indietro rispetto a 45 anni fa, soprattutto nella “stampa locale” che il prof. Edoardo Malagoli ci disse essere “minore” solo per area diffusionale ma non per “qualità”, mi dichiaro incapace di scegliere. Ed allora propongo una Agenzia di Stampa “locale” che diffonda notizie ed opinioni ma separatamente tanto per legarci a IL CONTINENTE.

Servirà a poco. Del resto 45 anni hanno lo stesso bilancio.

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Il Continente – Agenzia di Stampa – Autorizzazione Tribunale di Napoli n. 36 del 10.10.2017; Anno II. Giuseppe Mazzella, direttore responsabile.

Casamicciola, 12 aprile 2018

 

Note (a cura della Redazione)
(*) La cosiddetta regola delle 5 W è la regola principale dello stile giornalistico anglosassone. In inglese sono note sia come Five Ws che come W-h questions e fanno parte delle regole di buona formazione del discorso.
La regola delle 5 W è anche utilizzata nel problem solving e, con alcune modifiche, nella pianificazione dei processi.
Le cinque W stanno per:
Who? («Chi?»)
What? («Che cosa?»)
When? («Quando?»)
Where? («Dove?»)
Why? («Perché?»)
Sono considerate i punti irrinunciabili che devono essere presenti nella prima frase (l’attacco o lead) di ogni articolo, come risposta alle probabili domande del lettore che si accinge a leggere il pezzo [sintetizzato da Wikipedia, a cura della Redazione]

(**)
E’ la stampa bellezza! Estratto YouTube dal film: “L’ultima minaccia” (Richard Brooks, 1952), con Humphrey Bogart:

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