di Francesco De Luca
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Sofia è attenta a tutto. Di ogni gesto, di ogni particolare vuole essere messa al corrente.
Ai piedi della vetrata, sul cortile, Angelo, il nonno, ha raccolto un uccellino. Forse stremato dallo sforzo della migrazione, non ha bene interpretato il biancore della vetrata e vi ha urtato.
Angelo lo tiene delicatamente nella mano. Sofia guarda quell’esserino il cui cuore batte fuor di misura.
Mi accosto e commento: E’ na cutrussella (un codirosso). “No – mi corregge Angelo – è na cutrussella munacella”. Ha infatti il capino cenerino come il cappuccio di un saio.
Sofia un po’ vuole prenderlo, un po’ l’ intimorisce, così si limita ad accarezzarlo. Ma Angelo vuole fare il nonno. Con la nascita dei nipoti gli uomini (ma anche le donne) si accollano il dovere di presentarsi come depositari delle conoscenze. Prende il becco con due dita e, osservando il corpicino dell’uccello, recita:
Si si’ mascule te mpienne,
si si’ femmene te cierne.
Ovvero, se l’uccellino spinge col becco allora è maschio perché si oppone, si impenna; se invece ruota su se stesso, quasi facendo moine, allora è femmina.
Si si’ mascule te mpienne,
si si’ femmene te cierne.
Sofia sgrana gli occhioni su quella scena d’altri tempi, su gesti che sanno di antico. Ma lei non lo sa, guarda il nonno (e le dovrà sembrare un sacerdote), guarda l’uccellino che ruota su di sé, senza sapere perché. La natura femminea così le suggerisce.
Ne è passato di tempo da quando i Ponzesi attendevano il periodo del passo degli uccelli come un dono del cielo. Carne per variare la dieta, carne che imponeva astuzia, pazienza, maestrìa. Ma che dava soddisfazione perché la preda cacciata appaga il cacciatore.
Non si coglieva l’aspetto naturalistico del fenomeno e nemmeno la sua eccezionalità.
Il passo degli uccelli migratori è un fenomeno che ha dell’inverosimile e da ciò trae la sua bellezza.
Oggi i Ponzesi colgono questo aspetto. Lontani dall’indigenza, che suggeriva comportamenti belluini, i Ponzesi si beano nel vedere i colli e le scarpate allietati dal frullare dei culbianco, usignolo, pigliamosche, averla, magnanina. Intorno alle eriche, alle ginestre, ai uastaccette, alle agavi. In cerca di un pasto per ritemprarsi dal lungo viaggio fatto. Mentre in alto i falchi trapassano veloci.
Una terra agognata, quella delle isole. Non soltanto dagli uccelli.
Sofia oggi non sa di aver assistito ad una scena che si radicherà nell’intimo e la segnerà. Domani, dopodomani, come cittadina del mondo, si porterà in terre diverse, dai costumi diversi, ma lei resterà una isolana. Stupita dagli aspetti che il mondo le offrirà eppure ferma a quella tiritera per nulla magica, non saggia, ma suggestiva e unica:
Si si’ mascule te mpienne,
si si’ femmene te cierne.
Luisa Guarino
13 Aprile 2018 at 18:28
E’ fortunata la piccola e tenerissima Sofia ad avere accanto due figure di riferimento così attente e ricche di conoscenze come nonno Angelo e zio Francesco. La spiegazione data per riconoscere il genere della ‘cutrussella’ è deliziosa, specie per chi come me non l’ha mai sentita prima. Anche ‘cierne’ è un verbo che non conosco. Conosco però la forma ‘ciurnuléa’, terza persona del presente indicativo, e mi sembra abbiano la stessa radice. Per una felice coincidenza, anche la poesia di Tommaso Lamonica riportata per il centenario della sua nascita dal fratello Silverio parla di un uccello. Il nostro arcipelago potrebbe essere davvero un paradiso per tutti i volatili, soprattutto quelli migratori.