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Kalahari express (2)

di Giovanni Hausmann

 

Il nostro arrivo a Maun nel primo pomeriggio ci permette di fare un volo sopra il delta per dare un’occhiata dall’alto a questo fenomeno naturale.

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In due giorni arriviamo nella terra dei Boscimani chiamati così dai bianchi – Bushmen – che li consideravano poco più di bestie ed infatti li hanno cacciati per anni decimandoli. Di un etnia risalente a diverse migliaia di anni: i San. In effetti il loro aspetto era molto più simile ad un orango che ad un occidentale: molto bassi, con un gran sedere, un grosso stomaco con una andatura claudicante. Solo ora però si inizia ad apprezzarne la loro cultura primordiale e la infinita capacità a sopravvivere nel nulla del deserto.

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Conoscevano tutti i trucchi per avere sempre acqua che conservavano in gusci di uovo di struzzo, espertissimi cacciatori muniti di archi corti ma molto efficaci che lanciavano frecce a frammentazione la cui punta, imbevuta di una veleno estratto da alcune erbe, si rompeva nella carne ed era impossibile estrarla per cui il veleno piano piano intorpidiva i muscoli delle prede (e dei nemici) i quali morivano per paralisi. Pensate, cacciavano anche erbivori di grandi dimensioni come elefanti, rino e hippo. Grandi pittori, hanno invaso tutte le grotte e gli anfratti delle zone da loro abitate con bellissimi dipinti rupestri che celebravano le loro imprese nella caccia.
Grandi farmacisti estraevano dalle piante tutte le sostanze necessarie per la medicina. Insomma una civiltà ancestrale compiuta ma devastata dalla nostra.

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Giraffe (Twiga)

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[5]Vipera soffiante

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Ed eccoci al clou del nostro viaggio: 200 km verso il Kgalagadi attraverso piste di sabbia in mezzo al nulla. Per fortuna ci aggreghiamo ad un gruppo di ricercatori amici di Anna che stavano lavorando sulla migrazione dei felini.

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Tramite internet (mi domando come abbiano fatto a collegarsi in questo nulla ma in Africa tutto è possibile) ci incontriamo on the road e dopo aver pagato delle fees alla popolazione locale proprietaria della zona di conservazione che intendevamo traversare, iniziamo la nostra ennesima avventura che prevedeva una notte sulle sponde di un pan fuori dalla civiltà, in mezzo al nulla. A nostro conforto i nostri amici erano accompagnati da due San esperti tracciatori (trackers) e profondi conoscitori di tutta l’area.

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Serata infinita attorno al fuoco con uno dei più sontuosi brai (sorta di barbecue). Fuoco acceso tutta la notte per allontanare animali indesiderati ed il caffè la mattina davanti ad un’alba difficile da descrivere, intorno qualche traccia di leopardo e di antilopi. Indimenticabile.

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Smontato il campo ci accomiatiamo dai nostri ricercatori e riprendiamo la pista con paesaggi sempre più straordinari ed eccoci tornati alla semiciviltà in un campo all’interno del Kgalagadi.

Il parco era chiamato originariamente Ghemsbok (in italiano Orice) per la presenza di molti branchi di questi magnifici animali dalla lunghe corna a tortiglione.

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Recentemente è stato unificato con la parte del Botswana e reso più fruibile con un po’ di attrezzature ricettive molto basiche ma efficienti.

Il parco nasce intorno ad alcune fortificazioni tedesche sorte durante la prima guerra mondiale per fermare l’avanzata degli inglesi ed una serie di pozzi scavati lungo le due valli che compongono il parco. Non vi spaventate non si tratta di edifici impressionanti ma poco più che casupole con qualche feritoia ed un piccolo forte in pietra che sembra quello dei soldatini di buona memoria, tutto perfettamente adattato all’ambiente.

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I giorni passano e senza accorgersene ci troviamo in aeroporto ciascuno per la sua destinazione noi Roma, Anna ed Enrico verso Helsinki e Giulia e Federica verso Belfast con una promessa però: tra due anni traversata dal lago Malawi verso l’arcipelago della Quirimbas nel nord del Mozambico al confine con la Tanzania attraversando il parco Niassa .

A presto, buona Pasqua
Giovanni & Mariolina

 

Se volete andare, due bei libri:

 

[Kalahari express (2) – Fine]