Ambiente e Natura

Victimae paschali laudes

di Francesco De Luca

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Lo vivo come un sogno.

Sto rannicchiato nel letto in attesa che arrivi il sonno. La postura è quella elaborata negli anni del collegio. Nella camerata eravamo in dodici; io, il primo lettino a destra. Mi annodavo su di me per ritrovarmi. Con me, il ricordo dei cari, le paure, i desideri. Le esperienze del giorno.

Eravamo stati chiamati, durante le ore di studio, e ci recammo in una grande sala. Non la cappella adiacente alle camerate. In un’altra. Don Mario si mise all’armonium e ci presentò il canto per le prossime funzioni pasquali. Nella cattedrale, il vescovo, il capitolo dei monsignori.

Eravamo la schola cantorum. Non ricordo bene, una quindicina di noi, grandi e piccoli. Don Mauro era stimato dai superiori perché aveva una bella voce e cantava bene. Aveva avuto questo incarico dal vescovo.

Il canto era Victimae paschali laudes. Un canto gregoriano. Io l’avevo già sentito a Ponza da don Luigi.

Victimae paschali laudes, immolent christiani
Agnus redemit oves, Christus innocens patri
Reconciliavit peccatorum

Alla vittima pasquale si innalzi il sacrificio di lode,
l’Agnello ha redento il gregge,
Cristo l’innocente ha riconciliato i peccatori col Padre

Don Mario accompagnava il fluire cantilenante del motivo gregoriano e io provai a lasciarmi andare al flusso delle note. Lasciarsi andare ad un fluido che porta la mente fuori e lontano dal presente. Il gregoriano, si dice, è preghiera in veste di canto, per me fu come un uscire dalla dimensione terrena.
Questo effetto me lo suscita ogni volta. E’ come spogliarsi della materialità e divenire altro.

Mors et vita duello conflixere mirando
Dux vitae mortuus regnat vivus.

Morte e Vita si sono affrontate in un duello straordinario.
Il Signore della vita era morto, ora, regna vivo.

La volta di quella cappella risuonava delle nostre voci bianche, e io ero a Ponza, in chiesa, all’atto del Gloria. Mezzogiorno di domenica di Pasqua. Al Gloria cade il grande telo.
Gli uccellini, ristretti in quell’ambiente artefatto, sciamano nella cupola. Sono rondini, pettirossi, fucetule, ruscegnuole, crasteche.
Don Luigi stentoreo cantava, e noi coi visi in su a seguire i voli impacciati degli uccellini. Aniello e Luigi raccoglievano il grande panno. Silverio Di Fazio inondava di profumo d’incenso l’aria.

Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?
Sepulcrum Christi viventis, et gloriam vidi resurgentis;
angelicos testes, sudarium et vestes
surrexit Christum, spes mea, praecedet suos in Galileam.

Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?
La tomba del Cristo vivente, la gloria del risorto;
e gli angeli suoi testimoni, il sudario, le vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto e precede i suoi in Galilea.

Ci aspettava ’u casatiello. A casa, mamma, papà e i fratelli avremmo mangiato quel dolce che da giorni spandeva profumo per casa. Intoccabile.
Lo avevamo visto impastare con le robuste braccia di papà. E poi portato al forno di Temistocle. E poi, cotto e fumante, disposto nella credenza. Ce n’erano anche due piccolini. Fatti apposti per il nostro pascone.

Scimus Christum surrexisse a mortuis vere.
Tu nobis, Christus rex, miserere.

Siamo certi che Cristo è veramente risorto.
Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi

I uastaccette in fiore. Al di sotto, avvolti in un profumo di primavera, tentavamo i primi approcci con le ragazze. “Non facciamoci sentire… se no…”. E gli amici, non vedendoci, ci chiamavano in quel tratto di Panoramica, dove ai piedi della falesia frange il mare e sulla rotondità del colle gli uccelli in migrazione gioivano per aver saltato indenni il tratto del Mediterraneo.

Il canto lo ricordo ancora a memoria. Alle superiori ne tradussi il testo e lì dove il Re vittorioso si specchia nell’abbi pietà di noi, lì ho abbandonato l’ingenuità giovanile e ho preso coscienza della possanza dell’umanità. Non c’è chi possa dare pietà se non l’uomo all’uomo. Il re vittorioso, visualizzato in quella statuina di Gesù coperto soltanto da un mantello nell’atto di involarsi, mi apparve poca cosa di fronte al mistero della vittoria sulla morte. Quella sì, quella è vera, come è vero che dopo l’aspro inverno ritorna a scaldare gli angoli dei muri il sole, e il gabbiano ritorna al nido di sempre con la compagna di una vita, come è vero che mi ritrovo a vedere oggi, a distanza di sessant’anni, il mio cantuccio, in collegio, il primo lettino a destra. Aspetto il sonno. E sogno.

Questo il canto evocato, da YouTube.
Canto gregoriano: “Victimae Paschali Laudes”, sequenza della Domenica di Pasqua. Registrazione dal vivo della Cappella Musicale Pontificia “Sistina”, diretta da Mons. Giuseppe Liberto, nel novembre 2005.

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