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Il Giovane e il Mare. Una storia vera di Coraggio, Fede e Speranza (5)di Emilio Iodice . Francesco Sandolo, un capitano che viveva vicino alla chiesa di Santa Maria Assunta a Le Forna riusciva a vedere chiaramente Palmarola con un binocolo dal suo balcone. Era il terzo giorno dalla sparizione della barca. Francesco si alzò presto e, alle prime luci dell’alba, iniziò a esaminare l’isola, dalle sue spiagge alle colline, fino alle cime delle montagne. Tutto d’un tratto, vide qualcosa. Un fuoco e delle larghe colonne di fumo si alzavano da uno dei picchi. “Sono lì”, disse a sua moglie, e informò immediatamente le autorità. Nella tarda mattinata una barca a motore della guardia costiera partì in direzione di Palmarola; Raffaele Iodice, il padre di Silverio, era arrivato a Ponza. Il titolo in prima pagina di un giornale napoletano descriveva il disastro. Raffaele era devastato, il giornale riportava in modo errato i nomi dei sopravvissuti e dei morti. I vivi erano dati per dispersi e coloro che avevano perso la vita erano dati per vivi. Temeva per la salvezza di suo figlio. La barca a motore raggiunse l’isola in meno di un’ora. Emiliano la vide e corse giù verso la spiaggia. Quando l’imbarcazione lo raggiunse, aveva già raccolto quattro uomini, incluso Silverio. Tre erano rimasti aggrappati a dei pezzi della loro barca ed erano stati trasportati verso luoghi più sicuri sulla riva. I cinque sopravvissuti erano i membri più giovani della ciurma, i marinai più anziani erano periti con il loro capitano, Fabrizio. Il suo corpo fu l’unico a non essere mai ritrovato. I ragazzi rimasero seduti in un silenzio attonito dovuto allo shock per tutto il viaggio di ritorno; sarebbero andati avanti, ma non avrebbero mai dimenticato la disavventura della quale erano stati testimoni quel giorno. La pelle di Silverio era diventata scura e marrone per l’acqua gelida e le ferite. Era coperto di tagli e lividi e aveva perso molto sangue. Era un miracolo che avesse resistito a quell’incubo. Di ritorno a Ponza, dovette di nuovo lottare per la vita: aveva contratto un’infezione che gli causò una febbre molto alta. Infine, dopo altre due settimane, la febbre passò. Emiliano andò a fargli visita e gli raccontò la storia dell’anziano uomo. I ragazzi si recarono in chiesa per ringraziare Dio di averli salvati; si inginocchiarono davanti all’altare di San Silverio. Emiliano guardò profondamente il volto del Papa martire e le lacrime gli riempirono gli occhi. Si girò verso Silverio e disse: “Era lui”. Epilogo Sei mesi dopo il suo naufragio a Palmarola, Silverio partì per l’America. Approdò il giorno dopo il crollo del mercato azionario a Wall Street, all’inizio della Grande Depressione. Andò avanti, ebbe una vita attiva e di successo nel Nuovo Mondo e fu un pilastro della comunità dei Ponzesi. Con la prima paga sostanziosa che ricevette, creò una statua per San Silverio che fu il centro della Festa di San Silverio a New York per cinquanta anni. Raccontò molte volte la storia per la quale quasi perse la vita, la raccontò molte volte a me in particolare. Nel 1971, Silverio ed Emiliano si ricongiunsero. I due migliori amici si incontrarono a Ponza e rivissero i momenti del loro naufragio. Fui fortunato da vederli piangere e abbandonarsi al ricordo dei loro compagni perduti, dell’eroismo di Fabrizio e della grazia di Dio e di San Silverio che li avevano salvati dagli abissi. Divenne un simbolo di fede e coraggio per molti, specialmente per me.
Tu mi sollevi, così che io possa stare sulle montagne [Dalla canzone You Raise me Up: Autori: Secret Garden, Rolf Lovland e Brendan Graham] Ringraziamenti
[Il Giovane e il Mare (5) Fine] Per le puntate precedenti digitare – Il Giovane e il Mare – in “Cerca nel Sito”,
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