di Rinaldo Fiore
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Mio padre ci raccontava, quando eravamo piccoli, che in famiglia, quando lui stesso era piccolo, allevavano il maiale e ogni giorno bisognava portarlo a pascolare. Allora papà aveva 12 anni e quindi il periodo era intorno al 1923. Con un suo amico tutte le mattine andavano alle Tre Croci, al limitare del paese, a pascolare i loro due maiali.
Alle Tre Croci c’era un grande spazioverde dove, in altri tempi, oltre a portare i maiali, si trebbiava e si lavorava la calce quando ce n’era bisogno. C’era una grande e bella buca, piena d’acqua, dove prima c’era la calce, rimasta così da quando parecchi mesi prima l’avevano usata. I ragazzi avevano preso l’abitudine di fare le corse coi loro maiali e di fargli saltare la fossa, e così anche quella mattina si misero a distanza di una diecina di metri per la rincorsa.
Per primo partì Giammino, l’amico di papà: – Jamme, uée jamme… – …e Giammino partì in groppa al maiale che prese una bella corsa, spinto dalle mazzate con le mani sul groppone; arrivato vicino alla fossa il maiale fece un salto e in un attimo si trovò dall’altra parte.
Tutto contento Giammino si fermò e aspettò che partisse Giuseppe.
Papà preparò il maiale accarezzandolo sul collo ripetutamente e montò in groppa…
Dalla groppa al maiale che teneva con la capezza, papà cominciò a incitarlo: – Daje… daje… curre… curre, belle zecnotte..! – gridò colpendolo più volte con schiaffoni sui prosciutti e con le ginocchiate e il maiale cominciò a correre grugnendo a più non posso, quando… all’improvviso, giunto a un paio di metri dalla fossa, si arrestò bruscamente e… Giuseppe volò nella fossa.
– Mamma mia… pe’ la Madonna… te pozza cala’ lu tocche… brutta bestia! – furono le imprecazioni di Giuseppe, mentre Giammino rideva a crepapelle…
Giuseppe uscì dalla fossa che colava d’acqua come una fontanella e si scrollò cercando inutilmente di togliersi tutta l’acqua da dosso: si tolse la giacca ma la maglia pure era bagnata e così imprecando imprecando raccolse la corda del maiale e rapidamente con Giammino riprese la strada di casa.
– Mo’ figurate le mazzete de zi’ Carlucce!
– Te cunve’ passa’ a monde, senza fatte vede’ da patrete! – disse Giammino.
Giuseppe ancora confuso per l’accaduto, senza sentire un minimo di freddo tanto era stordito, aveva ascoltato le parole di Giammino e, molto preoccupato, rifletteva:
– Si papà vede chille che me so’ fatte, me riegne de mazzate a non fini’ – e così Giuseppe decise di passare dietro le case per rientrare da sopra.
Arrivato alla porticina di dietro chiese a Giammino di tenergli il maiale per la mattinata e entrò in casa; zitto zitto cercò la madre Elvira che stava al primo piano. La madre intravide Giuseppe e subito esclamò: – Giuse’ che te si fatte!?
– Zitte Ma’… me successe che so’ jute dentre la fossa, scusame!
– Vi’ ecche, tie’ asciughete e mittete le vestite pulite… zitte zitte, nun faceme sape’ niente a Carlucce!
E così Giuseppe si cambiò, aiutato dalla madre che era sempre dolcissima e poi, rasserenato, uscì di nuovo per andare da Giammino a riprendere il maiale per sistemarlo nel suo recinto.
Intanto Carlucce, ignaro e preso dai suoi pensieri, batteva il ferro incandescente con la mazza, suonando una millenaria melodia: Deng… den… den dindeng… deng…