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Vicenda Embraco, una brutta storia

proposto dalla Redazione

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Sulla vicenda della Embraco, l’azienda che ha deciso di licenziare circa 500 persone che lavorano nello stabilimento di Riva di Chieri, in provincia di Torino, proponiamo un interessante articolo di Federico Rampini pubblicato su La Repubblica di ieri (21 febbr., integralmente riportato qui di seguito).
E’ incredibile che nel momento in cui l’economia sembra andar meglio, un’azienda in salute e con fatturato in aumento decida dall’oggi al domani di mandare a casa 500 persone. Ed è paradossale che ciò avvenga in Europa per spostare la produzione dall’Italia ad un paese vicino, la Slovacchia, ove trova salari più bassi e incentivi pubblici più generosi. A spregio di tutti i buoni propositi di quanti ancora credono in un’Europa di stati federali.
La vicenda, se da un parte – come sottolinea Rampini – mette in evidenza lo strapotere delle multinazionali che dettano le regole ad uso e consumo proprio, dall’altra mostra il nervo scoperto di un’Europa che fatica a porre ordine in una politica fiscale disarmonica (viste, ad esempio, le agevolazioni tuttora esistenti in paesi come l’Olanda, il Lussemburgo e l’Irlanda) e a controllare in maniera efficace la distribuzione dei fondi strutturali, i quali dovrebbero essere utilizzati per creare nuovi posti di lavoro e non spostare posti da un paese ad un altro.
Della questione si sta interessando – ci auguriamo con risultati positivi – il commissario europeo per la concorrenza, Margrethe Vestager.
Certo è che ancora una volta è in gioco la credibilità dell’Europa ed è quanto mai vera la conclusione di Rampini che chiude l’articolo scrivendo che “nessuno deve stupirsi, a Bruxelles, se dalle urne nazionali escono forze politiche che all’Europa non credono più”.

 

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La delocalizzazione. Una vicenda emblematica

EMBRACO I VERI PADRONI DEL GIOCO
di Federico Rampini

Lo scandalo Embraco, 500 posti di lavoro che rischiano di sparire dall’Italia, è la tragica conferma che le regole del gioco di questa globalizzazione sono state scritte dalle multinazionali a loro uso e consumo. Ivi compreso nel mercato unico europeo. Anch’esso vive nel ricatto quotidiano delle grandi aziende verso le comunità di cittadini e gli Stati nazione. I diktat li conosciamo.

O mi riduci le tasse o chiudo, licenzio, investo altrove. O mi dai fondi pubblici o li ottengo da altri governi. Poi magari, dopo avere incassato le agevolazioni, la multinazionale chiude e se ne va comunque, perché in un Paese vicino (la Slovacchia nel caso di Embraco) trova salari più bassi e incentivi pubblici più generosi. Tra governi va avanti da decenni questo gioco al massacro, una concorrenza distruttiva, una gara al ribasso dalla quale usciamo tutti impoveriti. Un giorno anche la Slovacchia, se i suoi operai osano conquistare salari migliori, vedrà fuggire le aziende: magari verso Paesi balcanici più poveri che stanno negoziando l’adesione all’Unione europea.

Questa Europa è sempre meno la terra dei diritti dei lavoratori, ormai tenta di inseguire un modello americano: il dumping salariale è normale all’interno degli Stati Uniti dove l’Alabama può vietare di fatto l’ingresso dei sindacati in azienda, per attirare fabbriche che lo preferiscono al Michigan. In più il federalismo fiscale consente a vaste zone governate dalla destra (dal Texas alla Florida) di tagliare i servizi pubblici ai cittadini in modo da essere paradisi fiscali per le aziende. Gli Stati Uniti però hanno almeno una difesa esterna.

Lo si è visto di recente proprio in un caso che riguarda la Whirlpool, cioè la casa madre di Embraco. È stata la Whirlpool, produttrice di elettrodomestici, a implorare Donald Trump di proteggerla contro la concorrenza della Lg sudcoreana.

La Casa Bianca ha accolto la richiesta e ha inflitto un superdazio sulle lavatrici Made in South Korea. Il protezionismo è la reazione logica, se ti sei convinto che l’occupazione dei tuoi cittadini è minacciata da una concorrenza sleale di Paesi stranieri. È inutile accusare di demagogia i politici populisti.

Chi alimenta il protezionismo sono le multinazionali. Hanno fatto secessione dai propri Paesi. Hanno tagliato ogni legame di solidarietà con i propri luoghi d’origine. Hanno calpestato i doveri di solidarietà fiscale a cui noi comuni mortali siamo sottoposti.

Hanno creato un mondo dove solo gli stipendi dei loro top manager sono una “variabile indipendente”, fissata da chi quegli stipendi riceve. Poi, se fa comodo in un contesto come quello americano, le stesse multinazionali possono bussare alla porta dei governi chiedendo, oltre agli sgravi fiscali, protezione contro la concorrenza straniera: il caso Whirlpool-Trump.

È ancora più grave che questi giochi al massacro (dei posti di lavoro, del patto di cittadinanza, dello Stato di diritto) possano accadere anche all’interno dell’Ue. Bruxelles ci ha messo troppi anni, per reagire al dumping fiscale dell’Irlanda che è diventata la sede di comodo delle multinazionali Usa.

Quando se n’è accorta, era tardi: Trump ha varato un maxi-condono e i capitali di Apple & C. tornano a casa, allettati da nuovi privilegi e regalie. Nel caso Embraco abbiamo la beffa dei fondi europei usati a fini di dumping sociale.

Nessuno deve stupirsi, a Bruxelles, se dalle urne delle elezioni nazionali escono premiate forze politiche che all’Europa non credono più.

[Da: la Repubblica del 21 febbr. 2018]

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