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Epicrisi 160. Dei tempi nuovi, di cui poco capiamo

di Enzo Di Giovanni
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Viviamo tempi particolari. Per essere precisi: sono tempi di scarsi slanci ideali, o, per essere ancora più cinici, tempi in cui di ideali non è rimasta traccia alcuna. Delle Religioni del XX secolo, per dirla con Bertrand Russell che non ne amava nessuna, sembra essere in vita solo quella del libero mercato, del Capitalismo. Ma probabilmente, se una parvenza di capitalismo sussiste, – azzardo, non essendo uno studioso del settore – è solo perché confondiamo le più elementari esigenze vitali – i maccarune ienghene ‘a panza -, con la necessità di tenere in piedi l’economia di mercato.

E’ il cinismo a fare da motore: senza soldi non si cantano messe ed in nome di questo precetto si è disposti a tutto, e tutto è accettabile. Dalle continue uscite di Trump che suo malgrado è diventato il simbolo di questo periodo storico essendo a capo del paese capitalista per antonomasia, fino alle più disparate notizie quotidiane, l’ultima delle quali è l’uso dei braccialetti per i dipendenti di Amazon.

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La verità è che non basta genuflettersi al dio denaro o pregarlo prima di addormentarsi, magari sfregando una monetina su un gratta e vinci, per ingraziarsene i favori. Nessuno conosce gli effetti a medio termine delle azioni politiche sul mercato ed anzi, molto probabilmente, il protezionismo americano spinto di Trump e l’avanzata dei grandi colossi di vendita on-line come Amazon ed Alibaba favoriranno nuove crisi economiche dalla portata inimmaginabile, come più volte previsto da diversi economisti di spessore. In realtà, è morto anche il Capitale, quello delle grandi famiglie industriali i cui luoghi di culto sono ormai cadaveri – basta guardare alle aree dismesse su tutto il territorio nazionale -, solo che non ce ne siamo ancora accorti.

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Ed allora: viviamo un’epoca senza alcun ideale. Peggio: senza idee. Ed è proprio per questo che la Politica paga il suo dazio. Per sopravvivere ci si affida alle fake news, inventando notizie ad uso elettorale, cercando di spostare l’asticella verso i bisogni che si ritiene possano interessare l’elettore. Magari inventandoci di rappresentare tali bisogni, anche se non ci appartengono.

Miliardari che difendono gli interessi delle classi lavoratrici; pluridivorziati che rappresentano la famiglia tradizionale; atei dichiarati che cercano il voto dei cattolici…

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In tal senso si colloca la produzione dei contributi politici che anche questa settimana sono stati in  prevalenza. A partire da Pillole elettorali (1). I bimbi e le promesse [5] e Pillole elettorali (2). Il viandante [6] in cui Pasquale Scarpati, in maniera ironica, surreale e leggera rappresenta lo svilimento dell’esercizio elettorale cui ci si appresta a partecipare.

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C’è ancora un sussulto in questo teatrino in cui non si sa più chi debba rappresentare cosa?
Probabilmente sì: se c’è ancora qualcosa da esprimere, questa è la politica di territorio.

E’ questo il tenore degli altri pezzi sull’argomento: Domani, 29 gennaio, a Latina la presentazione della Lista Civica Nicola Zingaretti Presidente [8]; La preferenza [9]; “Accorciamo le distanze”… ma accorciamole davvero [10];  A un mese dal voto [11].

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Comunque la si pensi, infatti, la novità di questa tornata elettorale è che abbiamo un rappresentante della comunità ponzese in lizza alle regionali, il dott. Gennaro Di Fazio [13].

In assenza di ideali e di idee, in cui tutti si autoreferenziano e si proclamano paladini di non si sa cosa e perché, ecco cosa rimane a nobilitare la proposta politica: l’appartenenza ad un territorio. Sta a Gennaro riuscire ad esprimere questa appartenenza e trasformarla in consenso!

A proposito di territorio, c’è un pezzo di Franco De Luca che mi sembra cada a fagiolo: Ponzesi allo specchio. Maurino [14]. E’ il richiamo ad una storia minimalista, e perciò autentica. Il tempo, che sembra scomparso, in cui nelle cose di tutti giorni si esprimeva lo spirito di appartenenza e di servizio ad una comunità. In modo semplice, diretto, e soprattutto senza fini nascosti.

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Mi piace rimarcare: La comunità ponzese non ha espresso personalità di spicco nazionale, e non lo ha fatto perché la sua gente è semplice, autentica. Le figure rimarchevoli sono quelle che vivono in umiltà la loro socialità”.

E dall’umiltà Su e giù per Ponza (6). Pescatori [16] all’invisibilità il passo è più breve di quello che potrebbe sembrare.

The Harvest. Un docu-musical sugli immigrati sikh delle campagne pontine [17]: quante volte vediamo passare questi lavoratori, a tutte le ore, in bicicletta o a piedi, sulla Pontina, cioè una delle strade più pericolose della regione? “Gli invisibili”, li chiamano. Che diventano visibili solo quando servono, strumentalmente, da cassa di risonanza per politiche fintamente territoriali, con al centro la caccia allo straniero, “all’invasore”. Dimenticando – volutamente e colpevolmente – che a cambiare e distruggere il nostro comune sentire, le nostre tradizioni, sono le mutazioni economiche sovranazionali, non certo i raccoglitori di pomodori.

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A proposito di tradizioni: c’è un altro filone che si è sviluppato sulle pagine di Ponzaracconta negli ultimi sette giorni: il dialetto.

In verità non è certo argomento nuovo: tutte – o quasi – le nostre pagine sono intrise di espressioni dialettali. Bene ha fatto Enzo Di Fazio a documentarci sull’incontro formano a cui ha partecipato, e soprattutto a stimolare la Pro-Loco, e chiunque fosse interessato, a lanciare questo importantissimo strumento di coesione sociale. “La giornata nazionale del dialetto”, un’occasione per parlare del patrimonio culturale della nostra isola [19]. E bene ha fatto Franco De Luca a rilanciare: ’U dialetto… ’u dialetto [20].

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E poi c’è la Storia, che il nostro amico Paolo Iannuccelli ripesca nel magico cilindro della memoria, anzi della Memoria con la emme maiuscola. Luigi Pacifico. Un ponzese in un campo di concentramento nazista [22]. Sarà retorico dire che solo la Memoria ci può salvare, o almeno dare un senso ed un equilibrio ai fatti del vivere contemporaneo, retorico ma anche una profonda verità. Il mondo va veloce, e l’illusione di avere il sapere a portata di click è, appunto, una illusione.

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Di Murakami conoscevamo solo Murakami Haruki, uno dei più importanti scrittori giapponesi. Adesso scopriamo esistere anche un Sushi Boat Restaurant [24] che, si annuncia sul web, approderà a Ponza spinto dal caso.

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Non è chiaro?
Parliamo di food innovation, che dovrebbe essere una rivisitazione della tradizione adattata alla modernità. I gusti insomma cambiano, ed i presupposti con cui un piatto si conformava all’ambiente pure. Venute a mancare le motivazioni storiche per cui un piatto nasceva, quello che resta è l’approccio culturale al piatto stesso, ma non il piatto, che deve essere in sintonia con i gusti ed i ritmi attuali. Non a caso si parla di Food Valley, in assonanza con la Silicon Valley, per definire i luoghi dove si sperimenta l’innovazione culinaria.

Che significa?
Per esempio che abbiamo già pizzerie storiche dove non si fa più la margherita e la marinara come da disciplinare, ma si inventano cento gusti, con dispiego di pepe rosa, sale dell’Himalaya, fiori di zafferano e salsa di ceci erborinata. Provata a Salerno dal sottoscritto.

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Non giudico, né faccio altre valutazioni, mi limito a dire che l’argomento merita di essere analizzato, ma non è il momento.
Anche perché è pronta la cena: una bella favetta ponzese cucinata senza fronzoli, assolutamente nel rispetto della tradizione, senza innovazione né inglesismi.
Insomma, perdente su tutta la linea.
Per cui, libero da ansia da prestazione gastronomica, passo senz’altro a tavola.

Buona cena-colazione-pranzo a tutti!

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Favetta “alla ponzese”. Ricetta (cliccare per ingrandire)