Attualità

Pillole elettorali (2). Il viandante

di Pasquale Scarpati

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La vita è un viaggio. Siamo viandanti. Ognuno imbocca una propria strada che a volte è stretta e accidentata, a volte si presenta larga e sembra facile da percorrere. Anch’essa però può riservare insidie.
All’improvviso, infatti, possono aprirsi buche profonde se non voragini da cui si stenta a risalire a meno che non c’è qualcuno che ci dia una valida mano. Abbiamo, infatti, bisogno l’uno dell’altro.
Per questo, lungo questo percorso, alcuni si offrono, o per meglio dire, offrono i loro servigi, al fine di migliorare la nostra condizione e di aiutarci a risalire la voragine in cui siamo precipitati. Essi non solo ci indicano la strada migliore per raggiungere la meta ma addirittura dicono di prenderci per mano o quanto meno di accompagnarci lungo il percorso.

A scadenze prefissate, pertanto, essi si affacciano più capillarmente sul territorio chiedendo a noi, viandanti, di aiutarli a mettere in pratica ciò che loro pensano di attuare per migliorare la nostra condizione. Dicono che, così facendo, diveniamo artefici del nostro destino perché essi non faranno altro che servirci, porgendo l’orecchio alle nostre istanze e cercando di risolvere i problemi.
Senonché l’elettore viandante viene talmente irretito o confuso da assomigliare a quello che cammina, in un bosco, in una notte buia e tempestosa.
Nulla gli è chiaro.
Nella penombra aguzza la vista per scorgere qualcosa che gli possa dare conforto o quanto meno gli indichi la strada maestra. La bussola, impazzita, non lo aiuta. La Luna e le stelle non possono guidare i suoi passi, poiché ottenebrate da nuvoloni o dal fumo denso dello smog. Si aggira a tentoni, scrutando, vagando, cercando qualcuno che gli tenda una mano, gli dica parole, si confronti con lui in un dialogo aperto e costruttivo, senza giri di parole, senza frasi fatte ed aggettivi altisonanti. I quali, per la loro natura, accompagnano i sostantivi ma non li possono sostituire. Tende l’orecchio ma sente solo raspare animali selvatici o grugniti di cinghiali o ululati di lupi. Anche gli alberi gli fanno paura. Nella sua fantasia assumono le forme più strane.

Finalmente crede di sentire delle voci in lontananza e si rassicura. Tende quindi il passo verso tali voci e crede ed è sicuro che troverà delle persone con cui dialogare. In questo turbinio fatto di incertezza e di fantasia, scorge delle forme umane. Quando si avvicina si accorge che sono soltanto sagome che parlano attraverso una voce registrata (dicono infatti tutti le stesse cose) che proviene da una vecchia musi-cassetta posta nella pancia e collegata alla bocca attraverso un filo. Deluso, si allontana e cerca qualcuno che lenisca i suoi affanni e attenui le sue paure.
Ad un certo punto ode altre voci. Queste sono molto suadenti simili a quelle delle sirene. Confortato si dirige là da dove provengono nella speranza o per meglio dire certezza di trovare persone con cui dialogare. Si accorge, invece, che quanto più lui si avvicina, tanto più quelle si allontanano. Per questo, ulteriormente deluso, desiste dall’inseguirle.
Ecco, all’improvviso, voci roboanti simili a quelle dei venditori ambulanti che vanno di qua e di là magnificando la propria merce. Ci sono quelli che passano con camioncini e furgoni spandendo a destra e a manca la loro voce. Ma a ben guardare la voce è forte ma anch’essa proviene da un altoparlante ed è registrata. Ripete, quindi, ossessivamente, le stesse cose in tutte le strade o su tutti i canali. Se, per caso, si incontra il conducente, questo si ferma un attimo se gli viene dato qualcosa, altrimenti si limita ad un fugace cenno di saluto.

A volte può capitare che tra le giogaie dei monti si spande una voce che sembra più chiara delle altre. Allora il povero viandante indirizza verso di lei i suoi passi. Ma cammina, cammina, non trova mai nessuno. In effetti quella voce non è altro che un’eco di uno che sta parlando da lontano attraverso un megafono.

Può succedere, però, che il viandante-elettore forse stanco, forse attratto dal tono e dal timbro della voce, o meglio ancora perché crede di aver capito o intuito tutto il proclama o discorso (anche quello che non ha sentito) si lascia persuadere da quella voce.

Passata la notte, quando si fa giorno ed il sole torna alto nel cielo – cioè dopo le elezioni – cerca quella voce o per meglio dire la persona da cui proviene. Il più delle volte non la trova perché quella sfugge e fugge. Si nasconde dietro gli alberi o nelle grotte. Si confonde tra mille persone, insomma è introvabile. Salvo poi farsi sentire di nuovo in altre simili occasioni. Se, per caso, riesce a trovare il candidato-eletto, l’elettore gli chiede di attuare le sue promesse. Quello, però, si schermisce asserendo che il viandante non ha capito bene il senso del discorso perché ciò che ha ascoltato è soltanto un’eco, la quale, per sua natura, riporta soltanto la parte finale di una parola, quindi è molto parziale.
Così ancora una volta il viandante rimare schernito, pensando che quando si ripresenterà l’occasione non si fiderà più delle parvenze, ma cercherà di ascoltare e capire per intero tutto il discorso. Dimentica, però, che molte di quelle persone, con il tempo si sono arroccate nella città turrita (la burocrazia) che è difficile se non volutamente impossibile da espugnare.
Esse di là non escono più o raramente perché amano le comodità e soprattutto la sicurezza che offre quella città (di cui ho già parlato: leggi qui e articoli segg: “Elucubrazioni di Pasquale” da 1 a 12 bis – NdR). Quando vogliono far sentire la loro voce, salgono sulle torri e di là effondono i loro messaggi. Non si sa, però, se quella che si ascolta è la loro vera voce o quella di un altro; se legge un discorso scritto da un altro o parla a braccio oppure è una voce come al solito registrata.

 

[Pillole elettorali (2) – Continua]
[Per la puntata precedente, leggi qui]

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