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Dal Golfo agli Oceani… e ritorno

di Rita Bosso

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È appena giunto in libreria un volumetto che ci riguarda.
Una delle ragioni è che l’autore, Tonino Mazzella, è un ponzese mancato. Scrive nelle prime pagine di Dal Golfo agli Oceani… e ritorno:
Per poco la mia nascita non andò diversamente: prima della guerra alcune bilancelle di Monte di Procida lavoravano a Ponza, per il trasporto del caolino. Non so esattamente come si svolgeva il lavoro, forse queste piccole barche di 40 – 50 tonnellate, dalla riva dove stavano le cave caricavano il caolino e lo trasbordavano su navi più grandi, o forse lo trasportavano direttamente a Napoli. Mio padre, che stava imbarcato su queste barche, soggiornava a Ponza, e con lui mia madre e i miei fratelli maggiori, Michele, Giovanna e Vincenzo. Con loro c’era anche mia nonna materna Lucia con i suoi figli, che pure lavoravano a Ponza. Quando ero nel grembo di mia madre finì il contratto per il caolino e la mia famiglia tornò a Monte di Procida.
Mi avrebbe fatto piacere nascere a Ponza, è un’isola che mi piace molto. Nel 2014 io e il mio amico Emidio Coppola siamo stati ospiti di una famiglia di Ponza, a Le Forna, parenti della mamma di Emidio, e a fianco della nostra abitazione c’era una signora che si chiamava Mazzella. Poi, visitando il cimitero di Ponza, trovai che vi erano sepolte molte ma molte persone che di cognome facevano Mazzella. Con tanti Mazzella, se fossi nato sull’isola non sarei stato fuori luogo!

Dal Golfo agli Oceani … e ritorno ci riguarda per tanti motivi. C’è, nel racconto di Tonino Mazzella, il linguaggio dell’uomo di mare, che molti di noi riconoscono  per aver avuto un padre navigante o pescatore; sono parole asciugate dalla salsedine, scevre da ogni retorica, sottratte ai silenzi delle lunghe navigazioni. C’è la successione di imbarchi e  di sbarchi; c’è il passaggio da una condizione lavorativa precaria a uno status di lavoratore del mare che gode di diritti e di retribuzioni adeguate e il ritorno, negli ultimi anni, al lavoro nero e allo sfruttamento di masse di diseredati. Non è il mare raccontato dagli skipper, insomma.
Il libro è da leggere; per stuzzicare l’appetito, pubblichiamo la prima parte della bella introduzione del giornalista Rosso (Rosario) Capuano.

Questo report di Tonino Mazzella sulla sua vita di uomo di mare ci coinvolge, ci emoziona e ha la freschezza di un dialogo, fatto a tu per tu, nel corso di un incontro o di una cena con lui.
Prima di leggere questo scritto non ho mai conosciuto Tonino: alla fine della lettura l’ho sentito come un vecchio amico. Sono fortemente convinto che molta gente di mare montese e non, leggendolo, si identificherà nel suo vissuto, si commuoverà e rivivrà le stesse emozioni, paure, sentimenti, delusioni, dolori, gioie, speranze. Questo testo dovrebbe essere conosciuto, in particolare, dalle nuove generazioni, sia come un libro di storia vissuta che come sprone ad affrontare le difficoltà della vita e superarle con intelligenza e tenacia.
Un tempo i paesi di mare del nostro Meridione si somigliavano un po’ tutti; poi, nel corso del tempo, hanno, acquisito caratteristiche particolari dovute al tipo di attività economiche prevalenti, agli usi, ai costumi e al dialetto che, in un certo modo, li rendevano distinti e riconoscibili rispetto ad altre comunità. E Monte di Procida non ha fatto eccezione: la storia della sua gente è come un grande mosaico in progress a cui ogni generazione apporta nuove tessere di vario colore, e Tonino Mazzella col racconto della sua vita ha il merito di dare un grosso contributo alla composizione di quel mosaico. Il suo scritto è una miniera di notizie sulla condizione umana e sulla vita sul mare, che nel secolo scorso è stata, credo, l’attività che ha coinvolto la maggior parte della popolazione maschile montese. Questi suoi ricordi sono un po’ la storia di molti che hanno vissuto le stesse esperienze. Egli è nato in un’Italia ancora in guerra e, avendo iniziato la sua vita sull’acqua salata da giovanissimo, sotto l’ala protettiva di fratelli e zii, ha avuto il tempo di vivere ancora la navigazione a vela su piccole imbarcazioni da trasporto merci, soprattutto di materiali edili come tufo e pozzolana, nell’ambito del golfo di Napoli e dintorni, isole comprese. Ci parla della vela aurica che sostituisce quella latina, ci testimonia dell’avvento di nuove tecnologie che trasformano i velieri in motovelieri, del suo spirito di adattamento nell’apprendere il funzionamento di quei motori (Deutz a testa calda). Insomma, da poco più che adolescente, vive la fine di un periodo preindustriale, in cui la navigazione era rimasta immutata dai tempi di Ulisse, a parte qualche innovazione, e il trapasso a un’altra epoca.
Questo modo di lento e sonnolento scorrere della nostra storia si è protratto fino a poco più della metà del secolo scorso: proprio in quegli anni è iniziata un’accelerazione sconvolgente apportata, prima, dalla rivoluzione tecnologico-industriale e l’avvento della società dei consumi, giunta abbastanza in ritardo in Italia e in particolare al Sud; e poi, verso la fine del secolo, la vera e propria deflagrazione della società dei mass-media e della globalizzazione.
Questi avvenimenti hanno iniziato una costante demolizione di quelle caratteristiche uniche di ciascuna comunità, incidendo fortemente sulle basi economiche e sulla vita dei singoli. I paesi e i loro abitanti sono stati spogliati della loro specifica identità: sono stati omologati e, gradualmente, hanno perso la memoria delle loro radici e della propria storia, e persino della loro lingua-dialetto. Tutto ciò ha provocato a livello individuale, specie nelle nuove generazioni, spaesamento, alienazione, senso di solitudine. Paradossalmente, i nuovi media, che dovevano servire a facilitare la comunicazione, l’acquisizione di saperi e la fissazione dei ricordi, si sono trasformati in mezzi di eliminazione o superficializzazione dei rapporti interpersonali e di cancellazione del passato e della memoria, trasformando tutto in un eterno presente, affollato di notizie ora banali, ora atroci, ora liete, che scivolano sulla coscienza individuale e vengono immediatamente dimenticate.

Rosso Capuano