Ambiente e Natura

Racconto di Natale. Scogli scuri

di Francesco De Luca

 

Declina dietro la collina l’astro arancione e riverbera nell’occhio lo scintillìo. Avverte che fra poco si appanneranno i contorni, i dettagli li confonderà il velo del tramonto e dominerà l’indistinto.
Osserva, che non s’abbia a perdere il bello delle cose incastonate le une alle altre, e gli effetti naturali amplificati nel loro intreccio!

Sta appoggiato al muro Vittorio e guarda l’articolarsi della vita. Il lavoro l’ha impegnato nel disbrigo delle pratiche d’ogni giorno. Che egli rende gradevole perché mentalmente lo ha raffigurato come l’atto del passeggio.
Ogni persona che si dirige al suo sportello in banca è un passo. Viene il cliente esigente che gli chiede la compilazione della distinta per un versamento, eppoi se la guarda attentamente. Vittorio lo giudica come una sporgenza sul marciapiede. Non l’hai vista e ci inciampi. Entra la persona spavalda, contenta di depositare il liquido. Nella sua metafora costui è un passo sveltito da un colpo di vento. E così, nell’alterno procedere fra avanzamenti e intruppi Vittorio arriva al termine dell’orario lavorativo.

La meta è uscire fuori da quei locali, perennemente illuminati da neon e chiusi da porte di sicurezza da cui entra l’aria ma non il suo profumo. Per cui nel pomeriggio ama intrattenersi nel piccolo orto, posto sull’alto di una collinetta. Essa, attraversata nel mezzo dalla strada, discende al mare dove si increspa in una costa di roccia bianca. Nella parte superiore ci sono quattro terrazzamenti dove Vittorio coltiva, ma è meglio dire vede crescere, un po’ di viti e qualche ortaggio. Qui si fa frastornare dal vento. Specie il ponente che lo raggiunge dopo essere stato forzato nella strettoia di due colline e gli scombina gli attrezzi e gli steccati. Gli impedisce di gironzolare, tanto sferza con furia. Vittorio si mette seduto al riparo del muro e si lascia distrarre dal volo sgraziato di una busta di plastica. Che con rumore innaturale sbatte vicino ai pali, sfrega i muri e si impiglia fra i rami, dove si lamenta.

In basso, il mare si porge alla vista conchiuso in una baia. Gli offre visioni tanto variegate che lo stare a guardare è come la lettura di un libro. Pagine allegre sono la dipartita delle barche a pescespada nei pomeriggi. Con le banderuole legate alle canne simili a segnali neri o rossi, che si sfrangiano al vento, e la prua con orgoglio spacca il mare.

Pieni di raccapriccio appaiono invece gli scafi che lo scirocco sballottola, ora affossando la prua e ora dondolando le murate fino a lambire l’acqua. Lasofferenza è visibile nello sballottìo e Vittorio immagina lo stato d’animo dei pescatori che tornano a mani vuote e con lo stomaco sottosopra.

Ora tutto è calmo. Nessun impedimento viene a disturbare l’immobilità apparente che s’è stabilita fra le cose. Il paesaggio appare come fissato fra le linee di un quadro smagliante. Irreale.

Vittorio è urtato da tanta inerzia. Anche oggi, come ieri e come ogni giorno, la sua passeggiata metaforica lo ha portato lontano dal luogo della noia ma la sua intima insoddisfazione è amplificata dalla quiete stagnante che pervade. Così si alza e, guardando le colline di fronte, grida a piena gola. Il suono viene assorbito dall’universo intorno, poi gli risponde l’eco. E l’uomo grida ancora. Dalle rare case nei paraggi non si evidenziano segnali che possano convincerlo a smetterla con quella trovata giocosa, un tantino stupida. Se ne avvede anche lui e con un certo   imbarazzo smette. Non ha smosso un bel niente e l’eco ha trovato ricetto soltanto nei suoi timpani. E’ contento di questo perché un po’ si vergogna di quella sfuriata da insofferenza e quasi alla chetichella s’allontana. Fa pochi passi e lo sguardo indifferente gira senza afferrare immagini. Lontano, quei piccoli scogli che nemmeno si vedono, sono circondati di bianco. Macchie mobili sulla distesa azzurra. Sono gli scogli scuri, così chiamati dalla gente perché rappresentano un pericolo pei naviganti. Neri e insicuri. Vittorio ricorda l’espressione del padre.
In quel Natale non si parlò d’altro a casa e nel paese intero.

Insieme al fratello era stato occupato nei preparativi in casa. In verità a lui, che era gracilino, non facevano fare quasi niente. La mamma architettava il presepio sul comò: con le colline, la capanna, le casette e il castello di Erode. Antonio, il fratello maggiore, procurava i rami di lentisco per incorniciare di verde il tutto.

Vittorio aiutava a prendere il muschio, poi correva dietro con la mente alle immagini in parte sentite narrare in chiesa, in parte ripetute dalla vecchia zia, e le animava. E le statuine si muovevano per partecipare a quell’evento: il cacciatore col fucile puntato sull’uccellino nel ramo in alto non riuscirà a sparare il colpo, mai; al contrario, lo guarderà con attenzione rallegrandosi ai voli. Il pescatore invece con la canna nel torrente le prenderà le trote e col cesto pieno si incamminerà con gli altri verso la capanna. Soltanto il pastore dormiente non smetterà di riposare e permarrà sdraiato sulle alture, incurante dell’animazione che Vittorio immetteva nelle viuzze che rasentavano la bottega del macellaio, sporco di sangue e inghirlandato di trecce di salsicce, per confluire sul sentiero dove era incamminata la gente per recar doni a Gesù.

La sera della vigilia s’alzò il vento. Il papà aveva avuto un bel da fare per arrostire i fegati di merluzzo.

Aveva approntato la fornacella sulla balconata che guardava il porto. Il vento ne infastidiva il fuoco e nel contempo spandeva l’odore forte del fegato sulla graticola. L’uomo andava fiero di quel compito perché era rapportato alla particolarità culinaria che stava realizzando. Nel ricordo Vittorio ancora riassapora quel gusto che non riprovò più.

Stavano tutti e quattro vicino alla tavola (madre, padre e i due figli) e la porta a vetri, col tintinnìo insistente, indicava l’inspessirsi del vento.
– Sarà difficile andare alla messa di mezzanotte con questo vento – disse la madre. Il padre annuì, ma il sapore della “menesta maretata”, verdura lessa, condita con pinoli e uva passa, non lo distolse.

Al termine della cena il vento, ormai padrone dello spazio esterno, faceva sentire la sua potenza. La mamma chiuse gli scuri dei finestrini, il papà andò a sentire la radio. Essa stava in una stanza interna. Così, mentre la donna ancora si attardava in cucina a sistemare, gli altri andarono dove il vento infastidiva meno. I ragazzi si misero a giocare con le statuine dei Re Magi, facendoli avanzare per strade diverse, con diversa andatura. Poi anche la madre pose attenzione alla radio. Giusto il tempo per ascoltare qualche canzone napoletana che strappa il cuore con le immagini degli zampognari, poi ordinò ai figli di mettersi a letto: – Stanotte non è tempo di andare in chiesa. Il Bambinello lo andremo a vedere domani mattina.

Quando prese possesso del sonno dei ragazzi, già da molto tempo il nero signoreggiava sul paese. Che, perdendo il colore bianco delle case, si stringeva in un abbraccio, addossandole le une alle altre, per far fronte all’impeto incalzante del vento. Una notte nera, come nella tradizione, dovrebbe essere ogni notte di Natale. Ma per alcuni fu tragica. Il mattino seguente il padre scese prima di tutti, quando la mamma stava ancora preparando per rendere quel giorno il più bello dell’anno.
Al ritorno disse: – Ieri sera è affondato un bastimento sugli scogli scuri.
E riportò quello che si diceva in paese: nella notte un bastimento carico di ferraglia era andato ad urtare. Forse la causa era stato lo spegnimento dei fari preposti a segnalarne nel mare la presenza. Non s’era salvato nessuno, o meglio, fino ad allora le ricerche, per quello che era stato possibile effettuare, non avevano condotto ad alcun esito favorevole. Il mare però era in tempesta e, se questo rendeva difficili i tentativi, lasciava sussistere qualche speranza.

L’uomo parlava a mezzavoce e la donna, nel sistemare i vestiti della festa ai figli, trasmetteva ai suoi gesti maggior calore, come a proteggerli. Se ne accorse Vittorio che sentì nella mano della madre quello che i genitori volevano impedirgli di ascoltare, parlottando fra loro. Così, quando fu fuori, Vittorio andò sul posto dove gli scogli scuri si mostravano netti. Aveva compreso bene. Era pieno di gente, nonostante che il vento costringesse a trattenere i cappelli, a stringere i lembi dei cappotti.
Tutti guardavano quel mare che da lontano, fra il grigio e il bianco, si rotolava fino a sbattere con rabbia sulla roccia.
Forse per scorgervi un segno che fosse d’uomo. E mai Natale fu più umano.

 

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