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“Youthquake” è la parola dell’anno

segnalato da Sandro Russo
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“Le parole sono importanti!” – l’hanno detto in tanti… [tra gli altri Nanni Moretti prima di ammollare una papagna sulla faccia della giornalista che l’intervistava, in “Palombella rossa” (1989… secoli fa!; adesso non si sa cosa rischierebbe!].
Ma sono importanti anche parole recentissime, come “post-verità”,  “fake news” e “millennials”, con cui giornalmente ci confrontiamo.
Come sono importanti i giovani e il loro impegno… Atteso… sperato… Verrà?!
Questi due articoli che abbiamo scelto di riprendere e divulgare, proprio di questo parlano..!

 

Hai Presente “Youthquake”? È la parola dell’anno
di Marco Belpoliti

Una parola fa primavera?
All’Oxford Dictionary probabilmente lo credono, dato che hanno scelto come parola dell’anno 2017 Youthquake: “Terremoto giovanile”. L’ha usata per la prima volta negli anni Sessanta del Ventesimo secolo Diana Vreeland, direttrice di Vogue.
Indicava quello che stava succedendo allora nella cultura giovanile, nella musica e nella moda.
Oggi si riferisce al «risveglio politico della vituperata generazione dei millennials». Così ha affermato Caspar Grathwohl, direttore del dizionario inglese.
Per giustificare la scelta ha detto: è «parola di estrazione politica, ma offre una forte nota di speranza». Che vogliano farsi perdonare quella del 2016, post-verità (sul sito, leggi qui [2]e qui [3]), che di speranza ne offriva ben poca, dato che indicava un universo parallelo dominato dalla manipolazione?

Le parole-chiave degli ultimi due anni ci immettono in una realtà dove vale l’aspetto performativo. «Dire è fare», sosteneva il filosofo del linguaggio J. L. Austin. Ovvero, le parole creerebbero la realtà solo per il fatto di essere pronunciate.
Nel 2017 i linguisti dell’Oxford Dictionary, quali provetti sismografi del parlato e dell’ascoltato, hanno individuato una crescita del 401 per cento del temine Youthquake, usato per indicare «un terremoto che non distrugge ma che scuote le coscienze».
Quali? Quelle degli adulti sembrerebbe, della generazione del baby boom, cui è seguita la generazione no-baby, delle culle vuote, e ora la generazione che terremoterà il futuro prossimo venturo.

Pare che il termine abbia ricominciato a circolare in occasione di un raduno dei giovani iscritti al Partito Laburista di Jeremy Corbyn. In Inghilterra i giovani nutrono grandi attese per questo leader politico. Di terremoti che non distruggono, terremoti dolci, non si hanno però molte notizie. In genere mandano in frantumi vecchi edifici e obsolete strutture del passato.

Non è molto che sono stati celebrati i cento anni della rivoluzione russa del ’17, e c’è stato l’anniversario di Caporetto, dove giovani italiani morirono sotto l’alto comando di generali più anziani di loro.
I millennials ce la faranno a scuotere la terra e a farla sussultare sino a provocare un terremoto? Nella politica come nella società la giovinezza appare un valore: tutti vogliono essere giovani; tuttavia il dominio economico e politico degli anziani resta sempre forte. La vita che si allunga, la natalità che si dirada, la complessità dei problemi, la globalizzazione delle questioni. Per ora restiamo affidati alla «forte nota di speranza» dell’Oxford. Sperare nelle parole è già qualcosa.

[Da la Repubblica del 16 dicembre 2017]

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“Youthquake” parola dell’anno è solo l’inizio: i giovani stanno tornando (e aiuteranno anche gli anziani)
La scelta di far rientrare “youthquake” tra le parole dell’anno dell’Oxford Dictionaries è più che altro un (buon) auspicio per il futuro. Ma i giovani forse sono già pronti per dare una scossa alla società, combattendo anche in nome dei vecchi

di Francesco Nicodemo e Giusy Russo

Lo scorso 20 novembre sul New Yorker è apparso un lungo articolo di Tad Friend sul pregiudizio nei confronti dei più anziani.
Dalla tecnologia al cinema sembra esserci infatti un tendenziale abbassamento dell’età media delle persone coinvolte.
Friend ci ricorda ad esempio che Larry Page e Sergey Brin avevano solo venticinque anni quando lanciarono Google nel 1998 e che Mark Zuckerberg nel 2004 aveva diciannove anni quando ha creato Facebook.

Come si pone la società nei confronti di chi non è più giovane?
L’atteggiamento sembra essere quello volto a isolare e quasi a stigmatizzare.
Eppure nota ancora Friend, sulla Terra nel 2020 per la prima volta il numero di chi ha più di sessantacinque anni sarà maggiore rispetto al numero di chi ne ha meno di cinque. Nel 2000 solo il 12,8% degli over 65 lavorava, nel 2016 la percentuale è salita al 18,8 ed è superfluo aggiungere che questa categoria detiene anche più risorse.
Se da una parte c’è chi ha i capelli grigi e un bel po’ di esperienza sulle spalle, dall’altra ci sono i giovani.

Per definire questa categoria spesso ci si basa più su caratteristiche prese a prestito dalla sociologia o dalla psicologia che su indici anagrafici in senso stretto. Diverso è anche il ruolo che viene ciclicamente assegnato.
Abbiamo sentito parlare spesso delle nuove generazioni come di un gruppo a cui sono state sottratte possibilità e occasioni, altre volte invece quasi è stato incolpato di non aver saputo cogliere le opportunità offerte per indolenza e mancanza di spirito di iniziativa.
Si tratta probabilmente di narrazioni contraddittorie e parziali ma a fare chiarezza in merito ora c’è una definizione ed è quella di Oxford Dictionaries, che in questo periodo stila una sorta di bilancio ed elenca le parole che hanno caratterizzato l’anno che sta per finire.
Ebbene per il 2017 il termine scelto è stato youthquake, che potremmo definire come una sorta di scossa giovanile e che viene descritta come “un significativo cambiamento culturale, politico o sociale nato proprio grazie all’azione o all’influenza dei giovani”.

Questi ultimi dunque hanno caratterizzato il 2017 ma è proprio così? Come si legge sul Guardian, Casper Grathwohl, il presidente di Oxford Dictionaries, ha spiegato che la scelta potrebbe sembrare non giustificata a prima vista.
Il fenomeno in altre parole non sembra forte e presente ovunque ma vari episodi hanno mostrato un aumento dell’attivismo e dell’impegno politico giovanile. Più che una tendenza data per accertata tuttavia youthquake assume soprattutto i connotati di un auspicio. Grathwohl in una nota ha spiegato: “a volte tu scegli una parola come parola dell’anno perché riconosci che è arrivata, ma altre volte ne scegli una che sta bussando alla porta e che tu vuoi aiutare a entrare”.

Di solito Oxford Dictionaries introduce neologismi ma in questo caso l’espressione era già nota, dal momento che era stata coniata negli anni Sessanta da Diana Vreeland di Vogue per indicare l’influenza che i giovani britannici stavano avendo sulla moda e sulla musica.

Stavolta invece la scossa giovanile riguarda soprattutto la politica e proprio con questa accezione, l’uso del termine è aumentato del 401% nel corso dei dodici mesi scorsi. Sono i giovani inglesi e neozelandesi ad essere citati come esempi di una generazione che vuole impegnarsi per una causa. Tutti ricordiamo ad esempio gli attivisti di Momentum e del Labour Party che hanno aiutato Corbyn durante le elezioni, combinando abilmente i vecchi metodi fatti di volantinaggio e conversazioni porta a porta con le moderne tecnologie fatte di app e condivisioni on-line.

La spontaneità di un ragazzo che parla di futuro e che trascorre un po’ di tempo a parlare di questioni come le tasse universitarie, gli affitti o il sistema sanitario forse riesce a catturare l’attenzione anche dei più indifferenti e disillusi.
In parte nel Regno Unito è successo e potrebbe accadere altrove.

Riconoscere il ruolo che possono avere o hanno i giovani non è un modo per contrapporli agli anziani, tutt’altro.
I primi trasmettono entusiasmo ai secondi, questi ultimi hanno dalla loro parte l’esperienza. L’impegno giovanile può giovare a entrambi perché se è vero che ciascuno partecipa per rivendicare istanze della categoria a cui appartiene, è altrettanto probabile che la politica pungolata da più parti sia maggiormente incentivata a fornire risposte, ai giovani e non solo.

[Da http://www.linkiesta.it [5] del 16 dicembre 2017]

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Note (a cura della Redazione):