Ambiente e Natura

Epicrisi 151. Quante “Ponza” ci sono?

di Enzo Di Giovanni

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A Ponza è inverno.
Il nostro Silverio Lamonica ce lo fa dire nientemeno che da Shakespeare, scomodato per l’occasione: (Soffia, soffia, vento invernale):
            tu non sei sì tanto cattivo
            come l’umano animo ingrato;
            non è sì affilato il tuo dente
            proprio perché nessuno t’ha visto,
            anche se hai rude il respiro.
Sì, a Ponza è inverno.
E’ inverno dentro, fin nell’anima della gente, molto più che altrove.

Spesso, d’estate, capita che qualche viaggiatore (preferisco chiamarli, così, “turista” sa troppo di consumo), chieda incuriosito come si sta d’inverno. E’ chiaro: è una curiosità perversa; non è una domanda, è una presa d’atto.
Quando scompaiono i luccichii della bella stagione, ed i negozi colorati, ed il giorno infinito in cui si passa senza stacchi dal pareo ai tacchi da sera, in un vortice di profumi, “…hai visto Ronaldo!?”, musica assordante, “andate lì che si mangia bene!”, aperitivi, tramonti, abbronzature, “certo, è un po’ cara ma ne vale la pena…”, mare piatto, “un mare così, neanche ai Caraibi…” barche, pontili, “…ma quello non era Totti?”.

…E quando tutto questo finisce, che fate voi ponzesi – o si dice ponziani -? Ma veramente qualcuno resta, quando fa notte alle cinque, ed i traghetti non partono, e gli ospedali non ci sono, e tira vento, ed i negozi sono chiusi, e senti solo il rumore dei tuoi passi?!
“Come si sta?”, ci chiede il nostro viaggiatore-turista.

Come si sta? Si sta così: si abbandona ogni ansia di vendita e si chiude nella vita quotidiana. Dove i compaesani ritrovano il burbero fraseggio, l’aridità dei gesti, l’essenzialità degli scambi.
Si sta soli, anzi, di più: qui, sull’isola, negli occhi dei ponzesi si palesa la loro individualità. Nuda.
E’ una solitudine condivisa, che, chi ponzese non è, fatica a comprendere, e spesso non comprende mai; è difficile accettarsi così, nudi, e taluni non-isolani si coprono di alterigia, di saccenteria. Poveri dentro e vestiti di anticaglie (su e giù per Ponza 2).
Ho citato questi pensieri di Franco De Luca perché mi ci ritrovo particolarmente. Questa solitudine collettiva è il nostro respiro, ci si attacca addosso come una patella allo scoglio, e ci rende più veri, che piaccia o no.

Di un approccio differente alle isole, ed al mare che ne è parte integrante, ne dà testimonianza Simone Perotti, di cui segnaliamo l’ultima fatica letteraria, (Atlante delle isole del Mediterraneo): “…dalle isole non ci si allontana, semmai si fugge, oppure non si vorrebbe abbandonarle mai più. L’isola è il mondo concentrato in un punto dove si recupera la proporzione tra uomo e universo. Un’illusione, naturalmente. Per questo si parla di isole immaginarie. Sarebbe forse possibile con i continenti?

Ma l’immaginario collettivo, come si sarebbe detto una volta, si nutre di suggestioni differenti, spesso in antitesi l’una con l’altra, tutte a concorrere a formare un’idea, quell’idea di cui il nostro viaggiatore cercherà rassicurante conferma – e forma – quando le congiunture spazio-temporali lo porteranno finalmente da noi.
Ed ecco allora, di ben altro tenore, l’approccio segnalato da Luisa Guarino (Street food a Ponza). Con occhi e ritmi televisivi siamo passati dall’isola immaginaria all’isola inventata
Ci sono poi persino approcci… mancati. In Linea Blu l’ultima puntata del 2017, l’attenta ricerca di Luisa coglie su una rivista la presentazione del format televisivo con una foto che ha la sagoma a noi ben nota del porto borbonico come fondo. Peccato che in realtà si parli di Salerno!

Che ne direbbe Sang’ ‘i Rutunne? Questa è una truffa bella e buona, altro che castagne e nemmiccule… (Attenti alle truffe).
Ma non si vive di sola Ponza. La nostra Luisa (…e chi sennò?), ci segnala un passaggio televisivo di Sermoneta, a cui ci lega ormai un filo [Sermoneta a Kilimangiaro (Rai3)].
Del resto, prosaicamente Rita Bosso ci ricorda che i passaggi televisivi sono operazioni pubblicitarie, oltretutto diversamente verificabili con le leggi variabili di quella scienza in-esatta che è l’economia (Balle contate e balle raccontate).
Ma allora, tra balle ed interessi s-velati, che senso ha parlare di quante “Ponza” possono esistere? E quali di queste possono essere vere?

Ricordo, ai tempi di Un’altra vita, una signora non più giovanissima, che si cimentò nell’impresa di venire a Ponza in vacanza per un giorno, partendo dal lontano Nord-Est, solo per vedere i luoghi della sua fiction preferita. Col fiatone, dalla terrazza di casa mia, rimase in contemplazione del porto da cui era partita la dottoressa, lasciando il suo bell’Antonio in attesa di una seconda stagione che non ci sarebbe stata.
Non so se a colmare i sensi ed il cuore di quella signora fu l’attesa finalmente soddisfatta di rendere reale, per un breve attimo, la storia che l’aveva appassionata. O se in quel breve intersecarsi di vite un genius loci venne a prestarle soccorso, quale premio di tanta perseveranza. Non lo sappiamo: e forse non ha importanza.

E poi ci siamo noi di Ponzaracconta: ponzesi, isolani, anomali.
E a proposito di piacere, sappiamo di non piacere a tutti. Perché, sembra, abbiamo rotto la regola, abbiamo rotto quell’aridità di gesti e parole, al punto che secondo qualcuno ci specchiamo troppo in noi stessi. Insomma, abbiamo rotto… Sapete, quella spocchia tipica da intellettuali!
Non credo sia così: de-scrivere, osservare quello che siamo non significa essere diversi, essere altro. E’ solo la ricerca continua, incessante, di trovare le parole per raccontarla, con la consapevolezza e l’orgoglio di quella patella attaccata allo scoglio, appunto.
Per questo apprezziamo gli auguri e la condivisione degli amici che riescono a rompere il muro dello spazio che ci separa, come Giuseppe Mazzella di Rurillo (Gli ottomila articoli di Ponzaracconta. Poca favilla gran fiamma seconda).
Il quale ha anche un altro merito: aver risvegliato i ricordi del nostro capo-redattore Sandro Russo, che rievoca anche i primordi della nascita di Ponzaracconta. Che non si possa dire che non ce la suoniamo e cantiamo tra noi… (Scrittori per caso e per necessità).


Di Ponza si può anche parlare indirettamente. Perché le storie di mare parlano tutte la stessa lingua (Il naufragio del san Silverio del 1928 1, 2, 3), specialmente quando coinvolgono il nostro Santo e la Sardegna. E come sappiamo, per mare non ci sono taverne, purtroppo, ma neanche confini.

Con Refolo indagatore Franco ci introduce alla prossima festività in onore dell’Immacolata. Quest’anno la festa sarà arricchita dalla presenza di Ambrogio Sparagna che proporrà un concerto di musica sacra e la proiezione del suo film Lascia stare i Santi.
L’inverno scorso, con Gennaro Di Fazio ci trovammo a Gaeta proprio in occasione della proiezione del film-documento. Ci piacque pensare di portare a Ponza l’evento, un giorno: non sospettando minimamente che quel giorno sarebbe arrivato a breve!

Abbiamo appreso della scomparsa di Laura Capozzi, testimone preziosa di una Ponza che non esiste più (Laura Capozzi non è più tra noi).


Personalmente non la conoscevo, ma non ha importanza. Ognuno di noi porta con sé i segni del tempo che passa e delle ferite che lascia, indelebili. Ma anche la dolcezza del ricordo, che per le persone care che restano è anche presenza: leggera, dolce, sgravata dal peso dei malanni e dalle miserie quotidiane. E questo ci aiuta a vivere.

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