Ambiente e Natura

La Biancolella di Ponza

di Francesco De Luca

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E’ tempo che si decanti questo prodotto delle terre ponziane. Parlo del vino Biancolella.

Ponza è fin dalle cronache della colonizzazione produttrice di vino.
I coloni, di discendenza ischitana, riprodussero quanto conoscevano dalla loro isola d’origine: la coltivazione della vite. Quali vitigni? Quelli che imperano a Ischia: il Biancolella e ‘u pete ‘i palummo (rosso).

Sulla nuova isola terrazzarono dovunque, dalle cime dei colli giù giù fino a pochi metri dal mare. Le viti basse, addossate alle parracine per preservarle dal vento. E poi cantine in ogni appezzamento, con palmenti – uno grosso per il bianco e uno piccolo per il rosso.

Nel periodo migliore – inizio 1900 – la produzione era tanta che venivano velieri a comprare il vino. Troppo per la popolazione residente.

Si sa, la terra vulcanica fa prosperare la vite.
Soltanto al Fieno ci saranno una quindicina di cantine. Alcune occultate dai rovi, altre inattive e alcune addirittura eroiche. Sì… cantine eroiche.

L’espressione la riprendo dalla locandina che pubblicizza il Convegno sulla Biancolella di Ponza, tenuto dalla Regione Lazio il 23 settembre.

Viticoltura eroica!
Noi Ponzesi sappiamo quanto di eroico c’è nel vinificare in quella parte di Ponza dove il sole è generoso, l’acqua sapientemente raccolta e distribuita, e le viti da sotto il Monte Guardia degradano nella lingua di terra che si inoltra nel mare in direzione di Palmarola.

Eroica la cura da dare alle viti, eroica la vendemmia, eroica è la vinificazione.
Perché? Perché quel terreno sembra volersi proteggere, dall’antropizzazione, dalla civiltà.
Ci si arriva o per mare o per un sentiero non agevole.

Però… però il vino del Fieno si avvale di una nomea indiscussa. Già il Mattej, viaggiatore illustre del 1748, parla nel libro dedicato a Ponza di un festino dove si gustava il celebrato vino del Fieno.

Del vitigno Biancolella, di sicuro. Attenzione però… l’eroico Emanuele Vittorio ha fatto analizzare biologicamente il vitigno e si è dimostrato che quello di Ponza ha una diversità da quello ischitano. Non è il Biancolella (di Ischia) bensì il Biancolella di Ponza.

Domanda: ma allora non vi è stato trapiantato dai coloni borbonici. Il tempo intercorrente è troppo breve perché possa avvenire una mutazione nel DNA. Forse, e qui l’analisi storica sposa il mito e la poesia, furono i Greci della Magna Grecia ad aver piantato quei tralci che noi oggi celebriamo.

E già, il verbo celebrare è appropriato. La Regione Lazio, seguendo indirizzi europei, vuole promuovere la coltivazione della Biancolella. Attraverso incentivazioni miranti a far emergere i vigneti dismessi, ad incrementare nuovi impianti, a risistemare quelli antichi. Con quali finalità ? Anzitutto quella di incrementare la produzione vinicola. La quale, oggi, ha un blasone di nascita che sta trovando riconoscimenti sia nazionali, sia internazionali. E insieme quella di qualificare il territorio con sentieri, cantine, con percorsi enologici che coniughino il gusto con la cultura.

Chi lo avrebbe mai pensato che dietro un bicchiere di vino c’è una storia. Che va raccontata perché è la nostra storia. La storia dei Ponzesi.

Non lo dico per seguire mode mediatiche e dunque non c’è amplificazione nelle mie parole. Ma è certamente qualcosa da tramandare come il Fieno, rifugio e paradiso di Giustino, Luigi ‘u niro, Silverio Coppa (‘a Bufera), Silvio Mazzella (Ninotto), Gioì, Liberato, oggi sia il centro dell’attività vinicola di Emanuele Vittorio. “Le Antiche Cantine Migliaccio” stanno portando nel mondo il sapore del vino del Fieno e insieme la storia di quel luogo fonte di tanto incanto e di tanta fatica.

Il Convegno non s’è fermato alla declamazione eroica dei vitigni e dei viticoltori nostrani. Fra i quali c’è da nominare la Casa vinicola “Casale del Giglio”. Anche nei suoi vini c’è il Biancolella. Ne parlo in maniera meno diffusa soltanto perché manco di approfondimenti.

Il Convegno ha inviato un appello ai Ponzesi tutti e in particolare ai giovani, affinché ci si organizzi in cooperative, in consorzi, in aziende agricole per poter partecipare all’ azione della Regione per l’incremento produttivo dell’isola.

Storia, cultura, ambiente, enologia, società, politica. Coniugare in modo simpatetico questi aspetti è davvero un’impresa difficile. Ma ricca di sorprese, di novità.

Il futuro non va subito, va costruito!

1 Comment

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  1. Biagio Vitiello

    3 Ottobre 2017 at 15:05

    Ho letto l’ottimo articolo di Franco riguardante il vitigno Biancolella; ho da fare solo delle piccole osservazioni: la ” viticoltura eroica” non è solo quella fatta intorno alla collina del monte Guardia, che è la più conosciuta grazie ai vecchi del posto (molto famosi) come Giustino, Luigino, “la Bufera”, Ninotto, Liberato… ecc. ecc., ma nell’isola vi sono anche delle altre realtà poco note o del tutto ignorate, come ai Conti , ai Faraglioni e soprattutto alle Forna.

    Molti di questi “piccoli vignaioli” stanno dando l’adesione alla “rete di conservazione e sicurezza”, al fine di recuperare i vecchi vitigni di Biancolella e Piedirosso (veramente autoctoni), ma restano alquanto titubanti se si parla di fare un’unica “associazione di produttori vinicoli”, dove essi intravedono che potrebbero sorgere “sperequazioni”, come per esempio che il voto di “qualcuno” conti doppio.

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