Libri

Storie di madri (5). “Una madre lo sa”, di Concita De Gregorio

a cura della Redazione

 

Di seguito alle storie di “Madri”, come suggerito da Roberto Landolfi qualche settimana fa, alterniamo recensioni ed esempi di letteratura “alta” e racconti di esperienze “comuni”, non per questo meno sincere e intense.
Stavolta il libro di una giornalista e madre recensito da una critica letteraria d’eccellenza.
La Redazione

 

Storie di madri e d´amore
Luci e ombre della maternità nel libro di Concita De Gregorio
Attraverso il racconto di venti vicende, semplici e tremende, l´indagine su un sentimento ambivalente
Nel film “Volver” di Pedro Almodovar compaiono quelle madri storte, formidabili e assassine
Le mamme di Plaza de Mayo uscivano in cerca dei figli scomparsi. Il loro impulso materno era anche bisogno di conoscenza

di Nadia Fusini

«È una storia di madri. Tutte madri storte, madri formidabili e assassine»: così commenta Concita De Gregorio il bel film di Almodovar, Volver. Le pagine dedicate a Volver sono a tutti gli effetti il commiato migliore con cui congedare il lettore, anzi dovrei dire la lettrice, anzi dovrei dire me stessa.
Sì, parlerò in prima persona di me come lettrice di questo avvincente libro dal titolo Una madre lo sa (Mondadori, pagg. 123, euro 14), dove in più di venti storie “vere”, semplici e tremende, l´autrice racconta con intensa partecipazione tutte le ombre dell’amore perfetto.
Così recita il sottotitolo della raccolta, che illumina con grande rispetto e intelligenza quelle ombre e scruta senza paura nelle pieghe dell’amore della madre. Intorno a quel genitivo, oggettivo e soggettivo, si apre una questione immensa, qui affrontata soprattutto nel versante soggettivo, ovvero da quel lato dell’amore di cui la madre è il soggetto. E insieme vittima, perché quell’amore sopra ogni altro lei lo patisce.
Del resto, fin dall’introduzione l’autrice dichiara senza mezze misure che il libro “nasce dal disagio” della maternità; disagio che è un miracolo una donna non provi, tante sono le aspettative che pesano sul legame tra la madre e il frutto del suo ventre, o della sua scelta. Tutti, uomini e donne in ogni circostanza e professione credono di sapere che cosa significa essere madre e com’è che dev’essere l´amore della madre.
E dunque tutti si sentono autorizzati a dire la loro, a legiferare, a criticare, a giudicare, ma pochi sanno veramente ascoltare le risonanze interiori di quell’esperienza – la più perturbante. Unheimlich veramente: perché insieme la più “naturale” e la più “straniante”.

Dei vari modi in cui una donna si fa madre Concita De Gregorio ci offre lo spettro vario, contemporaneo: c’è chi il figlio lo fa da sola, chi per farlo sospende la propria esistenza, per poi ritrovarla dopo accresciuta, chi il figlio lo va a cercare in Cina, chi lo tiene nella propria pancia per nove mesi, per poi all’uscita affidarlo alla peruviana che per tenere il suo ha lasciato il proprio in patria, chi affronta le pene della malattia.
Ci sono madri coraggio come Lesley con la sua Molly, forse la più commovente di tutte le storie. Io non la conoscevo quella storia “vera” e confesso che grazie alla prosa scarna e alla tensione tanto più efficace, emotiva, del racconto, mi sono commossa, perché in esso si dispiega la grande bellezza di un amore senza retorica ma grandioso, che apre senza fronzoli su conoscenze essenziali. Molly nasce e dovrebbe morire subito “perché qualcosa nel suo corpo consumava i muscoli e la vita”.
Secondo i medici è perfino inutile portarla a casa. Ma Lesley lo fa e Molly vivrà quattordici anni. E vivrà perché Lesley da sola combatte affinché per il tempo che le è dato Molly possa vivere come un essere umano. Nessuno le è accanto, se non la madre e la nonna; il padre scompare. Mai appaiono all’orizzonte le associazioni per la vita, chi predica l’amore della vita come che sia.

Concita De Gregorio è una scrittrice minimalista: con poche parole ricrea una situazione altamente drammatica. Così come con pochi gesti essenziali la madre coraggio Lesley affronta la sua prova d´amore: rinuncia a tutto, c’è per lei un solo dovere: rendere la vita possibile a Molly. Lo fa, a un altissimo costo impara dall’esperienza la profonda verità che «tutto nasce e tutto muore: tutto comincia a morire subito».
Eccellenti filosofi, eccelsi pensatori hanno dissertato sul tema della “finitudine”, di come per la creatura umana il tempo sia non “infinito”, ma “finito”, cioè “contato”. Contati i giorni della nostra permanenza in questo mondo qui, terreno. Sì, è così, noi viviamo nel tempo che ci resta giorno dopo giorno. Il tempo è poco, sempre poco. E alla luce di questo sublime paradosso, ecco che Lesley giorno dopo giorno impara ad amare la sua creatura. E quando il tempo di Molly si è tutto speso, ha la forza di dire: «L’amore profondo è un’esperienza molto negativa».
È qui che l’amore materno si fa conoscenza: una madre lo sa. Sa il valore della vita. È vero. Come lo sapevano le madri argentine di Plaza de Mayo quando uscirono di casa in cerca dei figli. Il che non significa che l’amore della madre non sia anche tremendo. Una passione feroce, oscura.
La ninna nanna che Concita De Gregorio a un certo punto cita, io la ricordo così: «Ninna nanna ninna oh / questo bimbo a chi lo do/ lo darò alla befana che lo tenga una settimana/ lo darò all´uomo nero che lo tenga un anno intero,/ lo darò alla sua mamma che gli canti la ninna nanna». E ricordo ancora adesso il brivido di paura che provavo ai primi versi. L’ho cantata a mia figlia e lei forse la canterà ai suoi.

Perché non riconoscere infatti che la madre prova ambivalenza verso la sua propria creatura? E se in certe favole i genitori poveri abbandonano i figli nel bosco, non sarà perché i figli significano fatica? Sono un peso?
È certo che con la loro nascita la madre non sarà mai più assoluta, cioè libera. Un pezzo di lei sarà per sempre presso il figlio, la figlia. Se sarà una madre abbastanza buona li renderà liberi, farà in modo che si spezzi il cordone ombelicale, ma non per lei. Per una madre un figlio rimane per sempre figlio. O figlia. Gli amanti, i mariti passano, i figli restano.

Questo libro racconta la verità: dall’esperienza di avere un figlio, una figlia, la vita di una donna molto più di quella di un uomo è cambiata, travolta. Ne è anche arricchita, perché è una ricchezza provare un tale amore senza confronti. Comunque “perfetto”.

E forse alla fine del libro, dico forse, ho capito come intendere quell’aggettivo “perfetto”, che l’autrice usa nel sottotitolo. Sempre e comunque perfetto è l’amore materno, quando si colga in esso la prolificità di un affetto che giunge a contenere in sé gli estremi della passione, l´amore e l´odio, la dipendenza, il bisogno e l´altruismo, il rancore, il risentimento e la nostalgia e la gratitudine.

Questo libro ci aiuta a raffigurare un’esperienza dove le viscere e il cuore e la mente si tengono la mano.
E in verità, a che altro, se non a tale ossimorico connubio, apporre la definizione di “perfetto”?

[Di Nadia Fusini. Da ‘La Repubblica’ del 14 ottobre 2006]

Note (estratte e sintetizzate da Wikipedia a cura della Redazione)

Concita De Gregorio (Pisa, 1963) è una giornalista e scrittrice italiana. Madre di quattro figli.
Firma di punta de La Repubblica, è stata direttrice dell’Unità dal 2008 al 2011. Attualmente tiene su “La Repubblica” una rubrica giornaliera “Invece Concita” (sottotitolo: “Il luogo delle vostre storie”).

Nadia Fusini (Orbetello, 1946) è una scrittrice, critica letteraria e traduttrice italiana.
Ha insegnato Lingua e Letteratura Inglese all’Università di Bari; in seguito è diventata Ordinario di Lingua e Letteratura Inglese presso l’università La Sapienza di Roma, dove ha insegnato Critica Shakespeariana fino al 2008.
Ha tradotto e commentato moltissimi autori, tra cui Virginia Woolf, John Keats, Shakespeare, Samuel Beckett, Mary Shelley.

 

[Madri. (5) – Continua]

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